La propaganda che il governo Conte ha costruito intorno all’arresto del terrorista e omicida Cesare Battisti appare gravemente inopportuna (e probabilmente fuori dalla legalità) nei modi, terrificante nei toni, allarmante negli argomenti.
La presenza dei ministri della Giustizia e dell’Interno all’aeroporto di Ciampino – per non parlare della loro effimera, risibile strumentalizzazione delle divise – è apparsa irrituale e strumentale, mentre le dichiarazioni di «amicizia personale» del presidente del Consiglio verso Bolsonaro, un ex militare dichiaratamente razzista su posizioni di estrema destra, vanno ben oltre i doveri diplomatici.
Il video del ministro dell’Interno che, parlando sotto il logo di una ‘scuola di formazione politica’ (!) della Lega, dice testualmente che Battisti «dovrà marcire in galera fino all’ultimo dei suoi giorni» è sconcertante.
Salvini calpesta e umilia l’articolo 27 della Costituzione, per cui «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». In nessun caso la pena deve essere irreversibile: e comunque a deciderlo non può essere il potere esecutivo, e men che meno un esecutivo animato da odio ideologico (e il fatto che Salvini abbia voluto definire Battisti «assassino comunista» lascia pochissimi dubbi sulla confusione dei ruoli tra ministro dell’interno e capo della Lega).
Il comportamento del ministro Bonafede, poi, rende certi che il Movimento 5 Stelle si è deciso a non lasciare alla Lega il monopolio della disumanità, della ferocia, del disprezzo per le istituzioni dello Stato e per la Costituzione. Erano già parse grottesche le dichiarazioni in cui il Guardasigilli enfatizzava il fatto che un detenuto di 64 anni avrebbe scontato non 30 anni, ma proprio l’ergastolo.
Ma il video diffuso da Bonafede in cui una colonna sonora da spot accompagna le immagini dell’arrivo di Battisti è un documento umiliante: per chi l’ha confezionato, oltre per chi ne è stato vittima. Come ha notato l’Associazione Antigone, l’esibizione del detenuto in video viola due articoli di legge, l’art. 114 del codice di procedura penale che vieta «la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica» e l’articolo 42 bis dell’Ordinamento penitenziario impone l’adozione di «opportune cautele per proteggere» gli arrestati «dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità». In un Paese che conservasse ancora un minimo di decenza, un ministro della Giustizia che commettesse, per ragioni di propaganda politica, una così acerba e clamorosa ingiustizia avrebbe un’unica scelta: dimettersi.
È stupefacente doverlo ricordare, ma nessun detenuto è un trofeo per la politica.
Non si festeggia un arresto, non si esulta per le sbarre che si chiudono. Non si celebra una vendetta pubblica. Sono i fondamenti stessi di una qualunque civiltà: fondamenti profondamente scossi da una barbarie lungamente incubata, e oggi esplosa e giunta al governo del Paese.
Il condannato Battisti è stato trattato in un modo indegno: il detenuto è sacro, e il rispetto di cui è circondato è un indice fondamentale per misurare la credibilità e la giustizia dello Stato, e dei suoi rappresentanti. Chiunque esso sia: un Battisti come un Luca Traini, condannato per tentata strage con l’aggravante del razzismo, già candidato per la Lega e fotografato mentre dava la mano a Salvini stesso.
In un passo memorabile dell’Amleto, il principe chiede a Polonio di alloggiare i commedianti appena arrivati a corte. E quando Polonio risponde: «Signore, li tratterò secondo il loro merito», Amleto lo censura: «Meglio, amico, meglio. Se trattate ognuno secondo il proprio merito, chi si sottrarrà alle busse? Trattateli secondo il vostro onore e la vostra dignità».
Ciò che Salvini e Bonafede, e il terribile coro di voci che li ha acclamati, non comprendono è che il rispetto della dignità umana di Battisti – una dignità che non viene meno nonostante i suoi crimini orrendi – non solo è imposto dalla Costituzione e dalle leggi, ma è il metro su cui viene misurata la nostra stessa dignità, individuale e collettiva. Una dignità che oggi appare in serio pericolo.
Tomaso Montanari, presidente di Libertà e Giustizia
Lessi la carta dei diritti dell’uomo e riporto, stralciando, ora quanto scrissi sui primi tre punti,
Le Nazioni Unite, riunite in assemblea generale il 10 dicembre 1948, promulgarono La dichiarazione dei diritti dell’uomo che esortano tutta la popolazione del mondo alla coerenza con la propria appartenenza all’umanità e perciò ad attenersi a regole di comportamento che non contraddicano i principi di seguito esposti:
• ogni individuo, senza alcuna distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o sociale (fa parte della comunità umana),
• ha diritto alla vita,
• alla libertà e alla sicurezza della sua persona;
- Ogni individuo, senza alcuna distinzione di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o sociale (fa parte della comunità umana)
Forse dobbiamo premettere che intendiamo essere individuo ogni essere vivente che nasce dal connubio di uomo e donna, perché in questo modo rimangono espresse le caratteristiche umane che non possono portare ad ambiguità nel proseguimento del discorso.
L’individuo umano ha il diritto di appartenere alla comunità umana e come tale i suoi consimili che si comportano in modo umano devono avere per lui la considerazione che ciascuno ha per sé stesso.
L’ultima proposizione trasforma ogni diritto che venga espresso per l’individuo in dovere per gli altri individui e perciò per l’intera comunità con i propri comportamenti e questa è la società umana.
L’insieme dei diritti e perciò doveri esprime il concetto fondamentale di comunità umana per il quale gli individui umani vi appartengono organizzandosi in società.
Spero che ora si possa proseguire in modo più costruttivo.
Le caratteristiche di ogni individuo umano che lo rendono diverso dagli altri devono essere accettate dalla comunità umana quando non tradiscono il principio di appartenenza all’umanità e perciò non portano danno agli altri individui e alla comunità riunita nel patto sociale.
Chi non si attiene a questo principio rimane comunque uomo ma può essere additato come individuo fuori dalla così detta società civile.
(l’uomo)
-ha diritto alla vita.
Non è specificato se chi non permette ad altri individui di essere diversi, cioè di razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o sociale diversa abbia diritto alla vita.
Io credo che in quanto uomo ha diritto alla vita (nessuno tocchi Caino) ma è da considerarsi fuori dalla società e come tale gli deve essere riservato un appropriato trattamento di limitazione nel contesto sociale senza trascendere in repressioni disumane.
Per il fatto di essere uomo, nato da uomo e donna, aver diritto alla vita significa che ad un qualsiasi uomo non devono essere impedite, anzi per quanto possibile, devono essere date le condizioni per vivere.
(L’uomo che si attiene alle regole sociali acquisisce la qualità di cittadino e questo gli dà il diritto di esprimersi nel proprio modo di vivere)
L’uomo che fa degnamente parte della società in cui vive deve godere per quanto possibile di indipendenza che, nella società per come oggi si è evoluta, significa avere il denaro necessario a scegliere le attività che gli si addicono senza portar danno agli altri e a sé stesso.
Il problema si sposta perciò dal singolo individuo a chi lo giudica degno. E cioè a come la società umana deve esprimere coloro che avranno il potere di giudicare. Oggi viene considerata risolutiva del dilemma la democrazia rappresentativa che elegge i governanti periodicamente attraverso il voto popolare. Per funzionare però, ha bisogno di una società in cui chi vota sia veramente nella condizione di scegliere e cioè capire il progetto e la affidabilità sociale di chi concorre per governare e altrettanto di far prevalere nella propria scelta i veri interessi sociali ai propri.
Dobbiamo trovare il modo di fare crescere la società per avvicinare i cittadini alla condizione appena enunciata. Mi sembra necessario o addirittura obbligatorio che il voto esprima due entità diverse: il legislatore e il governante e che le ingerenze reciproche siano ridotte al minimo.
Dall’osservazione dell’attualità riscontriamo che i governanti, molto coinvolti nelle esigenze del fare, chiedono a gran voce che non si mettano troppi paletti alla loro azione e perciò hanno sospinto con forza chi fa le leggi a instaurare procedure di comportamento per cui la decisione venga presa facilmente. Il legislatore si è trasformato in questo modo da colui che esprime i principi ai quali il cittadino si deve attenere per avere il buon comportamento a chi detta le procedure del buon comportamento. Ne è nata la burocrazia deresponsabilizzante e deresponsabilizzata, che tanto più si semplifica, cercando di togliere paletti tanto più viene attaccata da chi dovrebbe eseguire senza essere pienamente convinto, che se ha coraggio e possibilità cerca tutte le scappatoie possibili per continuare a fare come crede. Mi sembra veramente importante un’altra considerazione: la tecnologia che fino a due secoli fa metteva a disposizione dell’uomo strumenti, ora gli propina automatismi. Gli strumenti rendevano meno pesante la fatica fisica; gli automi lo sollevano dalla fatica mentale e persino dalle decisioni. Dobbiamo però intenderci, gli automatismi vanno bene quando sollevano l’uomo da decisioni che riguardano unicamente l’individuo senza investire in modo perentorio la globalità. Vanno bene, cioè se possono essere intesi, sotto un certo aspetto, come estensione delle funzioni del nostro sistema nervoso per le sue attività vitali non percepite dalla coscienza perché imposte da necessità a cui non si può fare opposizione. Dobbiamo quindi aver chiaro che la società umana se vuole sopravvivere alla propria evoluzione non può farsi governare dagli automatismi inventati dallo stesso uomo. Ogni volta che un automatismo investe non più l’uomo singolarmente ma la società e quindi la comunità degli uomini la società umana dovrebbe imporre procedimenti di utilizzo di quell’automatismo farlo cioè regredire nelle sue funzioni a strumento e l’uomo deve prendersi tutta la propria responsabilità, usandolo nel modo consentito, cioè mai contro la comunità e l’ambiente in cui vive.
Ma la burocrazia più subdola è quella che condiziona le persone inconsapevolmente. Lo Stato che è l’organizzazione preposta al governo della società è costituito da individui che proprio per governare non possono prescindere dal consenso dell’opinione pubblica e perciò tendono naturalmente a condizionare i cittadini. Io credo che ci sia un solo modo per contrastare la burocrazia dell’inconsapevolezza, e sia estendere il più possibile il potere ai cittadini infatti solo l’esercizio di potere e responsabilità crea l’esigenza e l’abitudine ad acquisire consapevolezza. Procedendo nell’esame accurato degli altri diritti dobbiamo riuscire a scoprire criteri pragmatici di attuazione.
Sulle esibizioni di Salvini e Bonafede, trogloditi condizionati da istinti e da comportamenti pre-homo sapiens, omuncoli che ospitano al loro interno due fascistoidi che urlano disperatamente per uscire allo scoperto, è già stato detto tutto.
Vorrei invece dire due parole su Cesare Battisti, condannato in base a quella famigerata legge Reale che oggi non reggerebbe al vaglio della Consulta. Battisti è sicuramente colpevole, anche se non di tutti i reati iscrittigli, ma civiltà vorrebbe che si tenesse conto del fatto che in 37 anni ogni uomo cambia, e Battisti non è oggi l’uomo di 37 anni fa. E’ un uomo che ha pensato, ha studiato, ha letto, ha scritto: è un uomo diverso.
Ma questa destra sovversiva – che non ha mai neppure sentito parlare di Filangeri e Beccaria – vuole prendersi la sua vendetta sulla pelle di un “assassino comunista”, e così pare anche dalle posizioni di tanti esponenti della nostra sedicente sinistra che, incapaci di controllare le loro represse pulsioni, si sono acriticamente associati alle tante sguaiate grida.
E non mi colpisce neppure la stupida e persecutoria cattiveria dei sei mesi di isolamento, ai limiti della tortura, su cui nessun uomo dello Stato pare abbia espresso un pensiero (sic!).
certamente la parte recitata dei due ministri è stata ignobile.
però vorrei far notare un paio di cose: i presidenti “democratici” della Francia e del Brasile hanno sempre rifiutato l’estradizione di un criminale assassino. ma non solo: in Francia c’è stato addirittura un movimento di intellettuali che ha fatto pressione sulle autorità del Paese per evitare l’estradizione di un assassino.
e allora è normale che il governo italiano ringrazi il presidente brasiliano per avere consentito che un criminale scontasse la sua pena. sarà anche un fascista, ma non mi sembra che i democratici, francesi o brasiliani che siano, si siano comportati bene.
è una cosa che brucia, lo ammetto, ma è la verità, e non bisogna negarla.