A Sandra Bonsanti il premio di giornalismo Ghinetti

17 Dic 2018

Il rigore di un giornalismo d’inchiesta sordo ai richiami dei potenti, unito all’eleganza, alla sobrietà e al rispetto di una penna che ha lasciato il segno. A Sandra Bonsanti, direttore del Tirreno per sette anni, dal maggio 1996 al maggio 2003, oltre che una delle firme più prestigiose di Repubblica, il giornale per il quale ha raccontato i più grandi misteri italiani, da Licio Gelli a Roberto Calvi alle stragi di mafia, a San Miniato, in provincia di Pisa, il premio giornalistico intitolato a Roberto Ghinetti. Da lei, che nella sua carriera ha lavorato anche per il Mondo, Epoca, Panorama e la Stampa, ci facciamo raccontare cosa pensa del giornalismo di oggi e del rapporto tra chi deve informare e chi vuole essere informato.

Iniziamo riavvolgendo il nastro. Torniamo a fine anni Novanta. A chi decidevi di assumere eri solita ripetere: «Mi raccomando: chiarezza e approfondimento. Fai in modo che il giornale, ogni mattina, bussi alla porta di casa del tuo vicino e sia sempre ben accolto». È ancora così?

«Senza ombra di dubbio. Se viene a mancare il rapporto diretto tra il giornalista e il cittadino e il suo diritto ad essere informato, allora la nostra professione non ha più senso. Il nostro compito è questo, oggi più che mai con il bombardamento in atto da parte di tante fonti d’informazione. Mi è piaciuta moltissimo la copertina di Time Magazine, con i giornalisti paragonati a dei guardiani. Riassume veramente il senso della nostra professione. Una bellissima espressione, che mi ha addirittura commosso. Il nostro mestiere, purtroppo, è sempre più difficile, alla luce anche di situazioni economiche totalmente diverse. C’erano già difficoltà qualche anno fa quando dirigevo il Tirreno, ma ora la crisi generale è devastante e si sta abbattendo sui più deboli».

Durante la tua direzione al Tirreno avresti mai pensato ad una tale rivoluzione-involuzione?

«No, sennò l’avrei scritto. Qualche segnale c’era, ma poi nelle redazioni vieni trascinato dalla quotidianità e non te ne rendi molto conto. Con il senno di poi, in certe occasioni, ci poteva già essere la sensazione di camminare su una lastra di ghiaccio molto sottile, che poteva reggere ma anche spezzarsi da un momento all’altro. Purtroppo, è successo quello che oggi abbiamo davanti agli occhi e che ci dimostra ulteriormente quanto la democrazia sia difficile. A me piace ricordare cosa disse Salvemini nei primi anni Cinquanta, all’epoca dello scontro tra Dc e Pci dopo la Liberazione: “Noi siamo una dozzina di pazzi malinconici, ultimi eredi di una stirpe illustre che si va estinguendo”. Insomma, qualcuno se n’era accorto da tempo. Storicamente, il maggior nemico della democrazia è la miseria e in questi anni si sono perse totalmente di vista (coi partiti sempre più lontani dal territorio) la sofferenza delle persone, la mancanza di lavoro e le difficoltà a tirare avanti».

Se la miseria è dinamite, gli attacchi alla libera informazione sono delle fucilate. Non credi?

«Certo che lo credo. Le proposte di Crimi (il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’editoria, ndr) sono spaventose e preoccupanti, non solo per le testate più deboli, come l’Avvenire, il Manifesto o Radio Radicale. Sta passando l’idea che con la stampa non si debba più interagire. Ho un’immagine concreta davanti agli occhi: il portone di Palazzo Chigi che si spalanca, i nostri colleghi in mezzo alla piazza, il rappresentante di turno del governo che esce, fa la sua conferenza stampa e se ne va senza accettare domande e senza alcuna dialettica».

A San Miniato, alla cerimonia di conferimento del premio Ghinetti, ti troverai davanti numerosi studenti delle scuole superiori. Cosa dirai loro? Come aiutarli a discernere tra il vero e il falso nel mare inquinato dei social?

«Ai ragazzi dirò di cercare di insegnare ai loro genitori. Spesso, infatti, i giovani di oggi sono più saggi della generazione precedente. E poi voglio dire loro di cercare e pretendere il giornale di carta, il libro, la lettura. Bisogna solo responsabilizzarli di più, e far capire che il futuro è loro. E che non si crea solo con internet, si crea anche con i libri e i giornali».

Ma ci sarà un futuro di carta?

«Sono convinta che la carta resterà, anche se quello attuale è un periodo di enorme sofferenza. Ma non dobbiamo farci abbattere d’animo, i giornali sono e rimarranno fondamentali. Basta vedere cosa succede in un qualunque bar: la gente se li strappa di mano. Quindi, dentro la voglia di giornale c’è, occorre farla venir fuori. Oggi è difficilissimo dirigere un giornale, sono contenta di aver fatto la mia parte in un’altra fase storica».

Che ricordi hai del Tirreno?

«Mi ricordo che era bellissimo. Specialmente la domenica, il Tirreno era come il vassoio delle paste. Non si poteva avere una domenica senza il Tirreno in casa. Era ed è il giornale amico, anche ora fate un ottimo lavoro. Continuate così».

NELLA FOTO
Il sindaco di San Miniato, Vittorio Gabbanini, che consegna il premio Sandra Bonsanti

Il Tirreno, 15 dicembre 2018

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