Le lettere/Costruire un insegnante a tavolino

04 Dic 2018

Gentile Augias, venerdì lei ha enumerato le qualità, aggiuntive rispetto alla preparazione nella propria disciplina, che un insegnante deve avere per « accendere una scintilla di vita » negli allievi. Tali qualità richiedono una preparazione su tematiche relazionali e metodologie didattiche. In passato sono stati istituiti corsi di specializzazione anticipati rispetto al reclutamento; si formavano masse di “abilitati” in attesa di posto.
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La legge 107 del 2015 ha ribaltato l’ordine: una formazione, in parte universitaria e prevalentemente sul campo, con l’assistenza di esperti, non prima dell’assunzione ma dopo. Per i primi tre anni il vincitore doveva seguire questo percorso. Si attendevano le norme attuative della procedura. Invece niente. Il ministro Bussetti ha deciso che per insegnare basta la laurea, niente più formazione. L’opinione pubblica non ha sentito neppure parlare di questo taglio perché la norma è stata inserita nella legge di Bilancio, sottratta cioè a un effettivo dibattito. Dibattiamolo!
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Giunio Luzzatto – giunio. luzzatto@ unige. it 
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Il professor Luzzatto ritiene un errore aver soppresso ogni corso di formazione prima di poter effettivamente “salire in cattedra”. Da ciò che so, sento e vedo sono abbastanza d’ accordo. Frequento per ragioni professionali, quasi ogni giorno, molti insegnanti. Ne ho conosciuti di ottimi, pessimi, mediocri come avviene per ogni professione. Al di là della competenza nelle rispettive discipline c’è però sempre stato un elemento che li distingueva: il modo di rivolgersi agli allievi, la capacità di rispondere, meglio ancora d’interpretare, le loro domande, le reazioni. Lì si vedeva l’insegnante capace di padroneggiare una situazione e quello che annaspava rifugiandosi magari dietro l’ormai fragile scudo del suo ruolo. Voglio dire che il primo fattore da considerare sono le qualità individuali unite all’esperienza. Credo che Eraldo Affinati, anch’egli insegnante, intervenuto pochi giorni fa su Repubblica, condividesse questa idea quando ha scritto: « Esistono attitudini e sensibilità pedagogiche innate difficili da costruire a tavolino, anche perché ogni persona le declina a modo proprio e ciò che vale per uno non serve ad un altro » .
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Anche questo è un elemento del puzzle. Ma che posto hanno in questo quadro le cosiddette “istruzioni per l’uso”? Se esistono scuole di scrittura dove si ha l’ambizione d’insegnare niente meno che la scrittura creativa di un’opera, ci potranno ben essere delle scuole dove s’ insegni a insegnare. Anche perché mentre il processo creativo per esempio di un romanzo rimane di enigmatico approccio quale che sia la qualità del corso, nel mestiere dell’insegnante ci sono aspetti che confinano con l’oratoria e perfino con la recitazione, che invece si possono insegnare benissimo. L’idea di Affinati è che « bisogna conquistarsela sul campo la nomina ufficiale » , il che è senz’altro vero. Come credo però vero che una preparazione teorica male di sicuro non fa.
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La Repubblica, 18 novembre 2018

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