Fascismo

28 Nov 2018

Sandra Bonsanti Presidente emerita Libertà e Giustizia

“Non sapevano e non volevano sapere” dice e scrive la senatrice a vita Liliana Segre raccontando del suo ritorno da Auschwitz tra i parenti e gli amici che la incoraggiavano a “pensare al futuro”. Ma loro “non potevano sapere…non avevano sentito l’odore acre della sera e il fumo provenire dai forni delle SS”.

Liliana Segre sta aspettando che prenda il via la Commissione parlamentare di indirizzo e controllo su fenomeni di intolleranza, razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza che ha proposto appena arrivata in Senato. “Bisogna lavorare contro la fascistizzazione del senso comune che sta appena un gradino sopra l’indifferenza che 80 anni fa ha coperto di vergogna l’Italia fascista”. Lei adopera parole e concetti facili, tutti, se vogliono, possono capire quello che dice. Non si può fraintenderla. Quello che succede ora “non è nuovo”, non è nuovo l’incitamento all’odio, una vera e propria “scuola dell’odio”. Non sono nuovi questi sentimenti vergognosi.

Così Gustavo Zagrebelsky nel suo importante articolo sulla resistenza civile (qui accanto sul sito di LeG ndr): “Ma i nemici della democrazia sono proteiformi, non necessariamente fascisti nel significato che esso ha assunto storicamente. Si può essere antidemocratici senza essere fascisti”. Sta a noi, come avverte la senatrice Segre, vincere ogni segnale di indifferenza, perché è nell’indifferenza che la storia del secolo scorso potrebbe trasformarsi in un uragano e abbattersi sulle nostre deboli democrazie. Non lasciamoci ingannare dai sorrisi di Salvini o della Meloni o dall’antiparlamentarismo pentastellato.

L’esigenza di vigilare su sentimenti e manifestazioni di estrema destra si prospettò alla classe politica più accorta e preoccupata già all’indomani della nascita della Repubblica. Il 27 agosto del 1950 la Questura di Roma aveva presentato un rapporto contro il Movimento Sociale sostenendo che era portatore di una inequivocabile strategia di ricomposizione del partito fascista. Si rese allora necessaria una legislazione che riguardasse anche le organizzazioni collegate, come i Fasci di azione rivoluzionaria, che criticavano il Msi in quanto troppo conservatore.

Fu allora che governo e mondo politico si divisero in due: De Gasperi, La Malfa e altri sostenevano che bisognava evitare che si potesse ripetere una dittatura come quella dalla quale erano appena usciti. Altri invece, Scelba compreso, su influenza degli americani e del Vaticano, insistevano che non si perdesse l’occasione di varare azioni repressive anticomuniste.

In quei giorni difficili, in cui la libertà sembrava di nuovo essere a rischio, Alcide De Gasperi si dedicò a uno strenuo lavoro di analisi e di divulgazione che è stato ben raccontato da Giuseppe Matulli nel suo volume su De Gasperi “Quando la politica credeva nell’Europa e nella democrazia” (edizioni Clichy) . Un discorso ai giovani dc del Lazio è rimasto a testimoniare a testimoniare la preoccupazione incombente: “…la dittatura evoca la dittatura e allora non è illogico e non è nuovo che i due estremismi cerchino di giustificarsi a vicenda. I fascisti dicono: dobbiamo venire noi per respingere i comunisti. I comunisti dicono: guai se non esistessimo noi, perché il fascismo tornerebbe a imporre la sua dittatura…taluno non capisce perché ci allarmiamo del culto nostalgico del passato, del tentativo di riesumare simboli e riti. Sembrerebbero innocui, ma abbiamo ragione di temere il ripetersi fatale degli stessi metodi di violenza , l’imporsi nel Paese delle stesse passioni, delle stesse forze che portarono logicamente alla dittatura di partito, alla guerra di conquista, al disastro nazionale”.

Il fascismo sconfitto, la libertà riconquistata erano tanto vicini eppure ancora così fragili e difficili da analizzare. Tanto che De Gasperi ritiene essenziale studiare il passato, ripercorrere le tappe che venti anni prima avevano portato alla dittatura fascista.”Riesaminare” dice lui. Occorre farlo per “per i giovani che non sanno, non hanno visto, ma cercano la verità e la vogliono difendere. Questo varrà a mettere nel vostro animo quella preoccupazione che angosciò il nostro 1922 e a spiegare il nostro atteggiamento di resistenza attuale, quando ancora la minaccia non appare così grave”. Serve uno “Stato forte”, sostiene De Gasperi, affinché non si ripetano gli scenari del primo dopoguerra. La situazione è tanto più grave in quanto c’è chi lavora proprio per ricreare “l’operazione che fu fatta nel ’23: spezzare il Partito popolare “.

Era un tempo diverso, ma nell’angoscia di De Gasperi troviamo l’incubo di quell’avvento del fascismo che negli anni venti non era stato abbastanza previsto, abbastanza contrastato. Ecco perché mi pare che sia così importante anche per noi, un secolo dopo, rileggere questa parte della storia che racconta di chi il fascismo lo aveva visto venire una volta e poi, quando la memoria era ancora fresca e dolente, temeva che la storia potesse ripetersi. “Sentiamo di opporci alla rinascita del fascismo”, disse De Gasperi presentando la legge Scelba in Senato.

La visione di De Gasperi era pessimista e severa verso l’incapacità del mondo politico di opporsi alla dittatura. Sosteneva che “una volta passato l’uragano” non si può affermare che la “lezione sia stata compresa”.

Cosa serve allora per evitare il ripetersi dell’uragano? Il popolo sovrano e libero deve avere la forza morale “di contenere spontaneamente la propria libertà per lasciare un posto giusto ai diritti degli altri e l’energia di non abusare delle istituzioni democratiche per obbedire a interessi di partito o di classe”. Inoltre, l’elettore democratico deve essere, al momento del voto, “incorruttibile difronte alle menzogne dei demagoghi e ai ricatti dei potenti…”. Quanto alle grandi manifestazioni di popolo è importante “non lasciar sommergere la propria coscienza morale dalla marea dissolvente della psicologia della folla”.

Non era e non è facile esser democratici, esser liberi e giusti e avere la forza di opporsi al fascismo, o alle derive che ad esso possono portare. E non lasciarsi affascinare e trascinare dalla folla: che corre al richiamo di chi sa manovrarla. Loro sapevano. Loro che il fascismo avevano visto arrivare una volta, negli Anni Venti, che non avevano saputo fermarlo e che ne temevano ancora il riemergere negli Anni Quaranta e Cinquanta. In fondo non c’è che un gradino a separarci, ci direbbe ancora Liliana Segre.

28 novembre 2018

Nata a Pisa nel 1937, sposata, ha tre figlie. Si è laureata in etruscologia a Firenze e ha vissuto per molti anni a New York. Ha cominciato la sua attività professionale nel 1969 al “Mondo” con Arrigo Benedetti.

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