Davigo, Se si taglia la prescrizione i processi si accorciano

09 Nov 2018

La riforma della prescrizione è diventata uno dei punti caldi del confronto politico, anche dentro il governo. Piercamillo Davigo, ex pm di Mani pulite, ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati e oggi componente del Consiglio superiore della magistratura, è durissimo con quelle critiche che ritiene siano, semplicemente, bufale.
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Si sta dicendo che la riforma della prescrizione proposta dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede finisca per ledere gravemente i diritti dei cittadini. 
Il sistema di prescrizione come in Italia c’è soltanto in Grecia. Bisogna farsi delle domande, prima di sostenere che vengono lesi i diritti dei cittadini. Quando in Italia hanno introdotto il nuovo codice di procedura penale, ci hanno raccontato che avremmo avuto il processo all’americana. Ebbene: negli Stati Uniti la prescrizione si blocca con l’inizio del processo. Quasi tutti gli argomenti che sono usati in questi giorni non hanno alcun addentellato con la realtà. È l’Italia l’anomalia: abbiamo un sistema giudiziario in cui un imputato condannato in primo grado fa appello per avere ridotta la pena, ma sperando in realtà di non scontare alcuna pena, neppure ridotta, perché tanto arriverà la prescrizione.
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Ma allungando i tempi di proscrizione, dicono i critici, si allungherà anche la durata dei processi, che in Italia è già esagerata.
Non è vero. Intervenendo sulla prescrizione i tempi si accorciano. I processi in Italia durano tanto perché ce ne sono troppi. E una causa è che ci sono troppi appelli e ricorsi in Cassazione, fatti in attesa che arrivi la prescrizione. Altra causa è che alcuni comportamenti che ridurrebbero la durata dei dibattimenti non sono attuati, perché per gli imputati e loro avvocati è più conveniente puntare sulla prescrizione del reato.
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Ci fa qualche esempio?
Le prove acquisite in indagine preliminare potrebbero essere acquisite al dibattimento, ma ci vuole l’accordo delle parti, l’accusa e la difesa. Questo accordo non c’è mai, perché le difese aspettano la prescrizione. Se a un poveretto rubano il libretto degli assegni e questi vengono spesi in dieci città diverse, il poveretto deve fare il giro di dieci processi in dieci città, mentre sarebbe più rapido acquisire la sua denuncia. Un altro esempio: l’articolo 525 del codice penale prevede che le sentenze siano pronunciate soltanto dal giudice che ha acquisito le prove. Ma nella vita reale succede che una giudice possa andare in maternità, o che un giudice sia trasferito in un’altra sede.
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Che succede? 
Se cambia la composizione del collegio giudicante, il processo deve ricominciare da capo. E si può sperare nella prescrizione. Sa che cosa succede invece negli Stati Uniti?
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Che cosa succede? 
Che il 90 per cento degli imputati si dichiara colpevole, se lo è, perché ha interesse a limitare i danni. Semmai le critiche da fare potrebbero essere sul momento scelto per bloccare la prescrizione.
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Meglio il momento della richiesta del rinvio a giudizio, come propone il suo collega antimafia Nino Di Matteo, o dopo l’avvenuto rinvio a giudizio, con l’inizio del dibattimento, come avviene negli Stati Uniti?
Si può scegliere. Ma c’è un’altra questione che non viene affrontata.
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Quale?
In Italia, se appellante è il solo imputato, non è possibile la reformatio in peius della pena: chi fa appello può avere la pena cambiata solo in meglio. Questo, per esempio in Francia, non c’è. Infatti in Francia solo il 40 per cento delle sentenze di condanna a pena da eseguire viene appellato, mentre in Italia il 100 per cento: ti conviene e non rischi nulla. Ma è così che, nella struttura piramidale della giustizia italiana, le Corti d’Appello saltano.
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Le cifre dicono che solo il 20 per cento dei processi si prescrive dopo la sentenza di primo grado. Dunque la riforma non interverrebbe sull’ 80 per cento delle prescrizioni.
Il problema è che da noi la prescrizione non parte da quando il pm acquisisce la notizia di reato, ma da quando il fatto è avvenuto. Così le Procure della Repubblica scoprono molti casi che sono successi magari 4 o 5 anni prima, che si prescrivono in 7 anni e mezzo e con solo 2 anni e mezzo per fare le indagini e celebrare tre gradi di giudizio. Impossibile.
Sarebbe lavoro inutile, così le Procure li lasciano prescrivere per dedicarsi a inchieste più utili. Poi c’è comunque un imbuto tra Procura e Tribunale: a Roma la Procura ha 60 mila processi pronti da mandare a giudizio, ma il Tribunale di Roma ne può accettare soltanto 12 mila l’ anno. Capisce che così il sistema non funziona.
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Che cosa si dovrebbe fare? 
Bisogna ridurre i processi. Si deve depenalizzare drasticamente il sistema giudiziario. Ci sono troppi processi. Tutti questi processi non li possiamo fare.
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Non è che i magistrati lavorano poco e anche per questo i processi in Italia sono lunghissimi?
Le rispondo con le cifre della Commissione europea per l’ efficacia della giustizia, che è un organo del Consiglio d’Europa. Dicono che i magistrati italiani, in quanto a numero di processi trattati, lavorano il doppio di quelli francesi e il quadruplo di quelli tedeschi.
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Molti che erano in passato favorevoli alla riforma della prescrizione, ora che è stata proposta, sembrano aver cambiato idea. Qualcuno anche tra i suoi colleghi magistrati. Perché? 
Lo chieda a loro.
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Alcuni sostengono che andrebbe fatta una riforma organica, non introdotta con un emendamento. 
Lei ha visto riforme organiche in questo Paese?
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Il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2018 

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