Lettera aperta alla Città di Pistoia

20 Set 2018

Pistoia è stata la capitale italiana della cultura italiana nel 2017. Cultura è sinonimo di mutamento, di trasformazione continua, di incontri, dialoghi e scambi. In questi ultimi anni abbiamo avuto occasione di frequentare spesso Pistoia: ci è apparsa una città dinamica, ricca di associazioni e iniziative, aperta.

Non è stato difficile, per due estranei quali eravamo, intrecciare amicizie e collaborazioni. Eppure, proprio da questa città, ci arriva una notizia che ci rattrista e ci colpisce profondamente: la chiusura del centro di accoglienza di Vicofaro in seguito a un’ordinanza del Sindaco.

Non abbiamo né l’intenzione, né la competenza per entrare nel merito dell’ordinanza. Non siamo giuristi né politici e rispettiamo il lavoro delle istituzioni. Siamo, questo sì lo rivendichiamo, studiosi di intercultura e razzismo, osservatori e narratori da oltre trenta anni delle dinamiche interculturali e migratorie. In quanto tali, non possiamo non osservare che la chiusura del centro è solo l’ultima fase di un accanimento rabbioso e cieco contro l’iniziativa di Don Massimo Biancalani di accogliere alcuni rifugiati provenienti dall’Africa.

Era l’autunno del 2017, quando don Massimo aveva accompagnato alcuni ragazzi del suo centro in piscina. Immediatamente, il futuro Ministro dell’Interno postò alcune foto di quei ragazzi, scrivendo testualmente: «Questo Massimo Biancalani, prete anti-leghista, anti-fascista e direi anti-italiano, fa il parroco a Pistoia. Non è un fake, è tutto vero! Buon bagnetto». Un gesto che dovrebbe essere del tutto normale per un gruppo di giovani ragazzi (nuotare in piscina) veniva così additato a pubblico ludibrio, nel contesto di una violenta campagna anti-migranti che aveva come obiettivo quello di “svelare” la presunta inconsistenza delle loro domande di asilo e la supposta presenza in Italia di stranieri in cerca di “pacchia”, arrivati a bordo di “crociere”. Le migliaia di morti nel Mediterraneo ci ricordano con drammatica attualità che non è così.

Subito dopo, le cronache registrarono l’arrivo di militanti di Forza Nuova, che invasero la chiesa dove il sacerdote teneva messa per “vigilare” sulla cattolicità di Don Massimo, accusato di occuparsi del bene della gente e non del bene delle anime (come fossero due cose distinte).

Gli attacchi diretti si sono ripetuti, anche da parte di anonimi cittadini: attacchi culminati nella simulata (ma molto reale negli effetti di violenza e paura che ha prodotto) aggressione armata a uno dei ragazzi accolti. Alla protesta e allo sberleffo di esponenti politici e di anonimi cittadini, si aggiunge ora l’azione dell’autorità cittadina, che, non abbiamo dubbi, avrà rilevato irregolarità nella struttura: ci chiediamo tuttavia se, nel rispetto della legge, non sia possibile rimediare a questi problemi, ponendosi insieme e non contro l’iniziativa.

Pistoia è una città che frequentiamo da anni e da anni risponde con entusiasmo alle proposte culturali che tendono al dialogo. Per questo siamo sorpresi e ci permettiamo di intervenire: davvero Pistoia vuol divenire un esempio, a livello nazionale, di quell’ondata anti-migratoria e intollerante che alcuni politici auspicano?

La città non merita questo castigo, la città non si deve piegare, a nostro giudizio, a questa ondata di odio che percorre il Paese.

Non lo meritano i pistoiesi e non lo merita chi semplicemente sta cercando di offrire un’esistenza un po’ migliore a chi ha già sofferto molto; non lo merita chi agisce in nome di un valore che è la fraternità e in nome dei valori della Costituzione italiana, in cui tutti dovremmo riconoscerci.

Chiediamo quindi che sia fatto di tutto per riaprire il centro di accoglienza e che si possa trovare una soluzione che sia degna di un paese civile e di una città a cui è stato assegnato il ruolo di rappresentante della cultura di questo Paese. La cultura non è fatta solo di quei monumenti, musei, opere d’arte e memorie del passato di cui Pistoia stessa è così ricca: è fatta soprattutto di capacità di convivere, di condividere con gli altri, di essere umani.

Siamo certi che la città saprà reagire a questo cono d’ombra che rischia di offuscare un tessuto sociale quanto mai ricco di umanità.

(*)   Marco Aime, antropologo culturale e scrittore, Università di Genova.

       Adriano Favole, antropologo culturale, Università di Torino

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