Tra le risposte che, su “La Repubblica”, sono state date all’appello di Massimo Cacciari per una mobilitazione contro il populismo sovranista (che rischia di affermarsi a livello europeo nelle elezioni del 2019), due hanno una pluralità di firme “accademiche”, in un caso di filosofi e nell’altro di pedagogisti, e segnalano la rilevanza, a tal fine, di un rinnovato impegno pubblico per lo sviluppo del sistema scolastico. Il riferimento è giustissimo, poiché i dati mostrano che il consenso elettorale ai populisti è correlato a un basso livello medio di istruzione, ma non è sufficiente.
Infatti, i valori di cittadinanza non sono oggi presenti nei contenuti dei programmi scolastici: affinché essi siano pienamente vissuti dai giovani, anche nella loro dimensione universale, cosmopolita, occorre dar vita a un intervento specifico. La “educazione civica” un tempo presente, e pur del tutto insufficiente, è stata cancellata. Beninteso, singoli docenti trovano il modo di dare un senso “civico” a tutto il loro insegnamento, ma si tratta di iniziative individuali.
Consideriamo un diciottenne “maturo” alla conclusione del ciclo secondario, all’età che gli consente di votare: Liceo o Istituto Tecnico non gli hanno fornito alcun elemento che gli consenta di valutare i problemi della nostra società meglio di quanto possa fare un coetaneo poco scolarizzato. L’analisi della Costituzione, che era alla base dell’Educazione Civica quando questa c’era, è un punto di partenza necessario per l’educazione alla cittadinanza; ma non ci si può fermare ad essa, come non si può fare la formazione del cittadino con mere lezioni dalla cattedra: metodi didattici diversi, interattivi, sono indispensabili per ogni insegnamento (ricordiamo, insieme all’americano Dewey, la nostra Montessori), ma in questo caso sono del tutto decisivi.
La gestione stessa della classe può essere un terreno di sperimentazione di vita collettiva, educando al necessario rispetto per i diversi ruoli, per la funzione di chi ha la responsabilità di una guida autorevole (ma non autoritaria) così come per la partecipazione consapevole di chi sa di dover imparare. Ed è prezioso il rapporto con il territorio: interagire con il Comune (con il Municipio, nelle grandi città) o con una istituzione culturale locale, anche attraverso un buon uso della “alternanza scuola/lavoro”, può essere determinante per comprendere l’assetto democratico delle istituzioni non sulla carta, ma in concreto.
La trattazione della tematica “civica” è rilevante anche al livello universitario: ivi deve assumere un taglio specifico, diverso da quello che essa avrebbe (se vi fosse!) ai precedenti livelli scolastici. Sia se il laureato svolgerà attività propriamente professionali, sia se sarà uno studioso accademico, la sua formazione dovrebbe averlo educato a essere pienamente consapevole delle responsabilità sociali che il suo lavoro comporta. L’analisi dell’impatto che l’azione del laureato in un determinato Corso di studio esercita sull’ambiente (non solo locale e neppure solo europeo, bensì “globale”) deve entrare perciò, a pieno titolo e con spazi adeguati, nella progettazione didattica del Corso stesso.
Prevedere, in questa progettazione, attività formative relative a tali responsabilità si connette a riflessioni ancora più complessive, oggi ampiamente condivise, circa la necessità che gli obiettivi formativi dei Corsi di studio universitari guardino al di là della mera acquisizione di conoscenze settoriali: l’accento va posto non solo sulle competenze disciplinari che consentano di utilizzare al meglio le conoscenze stesse, ma anche sulle competenze trasversali. E nulla è “trasversale” quanto la capacità di inserirsi correttamente nel sistema sociale.
Dispiace, da questo punto di vista, che le risposte universitarie che ho citato all’inizio siano dovute, separatamente, a due specifiche aree disciplinari (entrambe di area “umanistica”): non si è stati capaci di rompere il tradizionale settorialismo, e sono finora mancate le voci dall’area “scientifica”, che pure ha dato origine, soprattutto per la fisica ma anche per la biologia, a strutture di ricerca europee di grandissimo prestigio e pienamente sovranazionali. Occorre che questi limiti nella “mobilitazione” chiesta da Cacciari vengano superati al più presto: e anche “Libertà e Giustizia” è chiamata a dare una mano!
(*) L’autore, già professore ordinario di Analisi Matematica alla Facoltà di Scienze dell’Università di Genova, fin dagli anni ’60 segue le questioni delle riforme scolastiche e universitarie. Fa parte del Comitato dei Garanti di LeG.
Per poter incidere, doverosamente e necessariamente secondo il suggerimento del prof. Luzzatto, sui programmi scolastici, è necessario un successo elettorale maggioritario non solo alle prossime europee, ma anche a livello nazionale.
Per questo è necessario che tutti gli accademici più dotati, non solo filosofi e pedagogisti, focalizzino il loro impegno su questo obiettivo preliminare, consapevoli che analfabeti funzionali e di ritorno e orientati all’uomo forte al comando, viaggiano non casualmente sullo stesso 80% circa della Cittadinanza.
Un’impresa evidentemente molto difficile per la quale non bastano specifiche competenze accademiche, ma anche fantasia e creatività per tattica e strategia nel preparare il confronto elettorale.
Paolo Barbieri, socio circolo La Spezia.
Il filosofo Massimo Cacciari ha più volte dichiarato che la riforma patrocinata da Renzi, approvata dal parlamento dei nominati rappresentanti del popolo, era una schifezza, che Lui in quanto autorevole filosofo, avrebbe difeso votando Si al referendum. Quale autorevolezza può avere un filosofo che afferma simili amenità. La riforma bocciata dal 60% degli italiani aveva come perno centrale il rafforzamento del sistema di potere. Parliamo di un potere che opera in un paese collocato ai vertice delle classifiche internazionali per corruzione. Il filosofo parla dei limiti degli insegnamenti scolastici che non insegnano educazione civica. Quale educazione civica vorrebbe inculcare il filosofo? Trovo grottesco che si voglia combattere i detti sovranisti e populisti che sono il frutto di una classe dirigente scialba che continua a parlare del nulla mentre il popolo soffre. L’italia resta un paese antropologicamente fascista. Lo Stato italiano mai ha fatto i conti con la propria storia fatta di leggi razziali, rastrellamenti, invii nei campi di sterminio di rom ebrei comunisti. In questo paese di corruttori e corrotti nelle luridi carceri non vanno i corrotti ma rom extracomunitari morti di fame. Sono le prove provate che il razzismo, il fascismo, è dello Stato. La magistratura italiana è il perno del sistema di potere, razzista e fascista, che mai ha rappresentato i principi della costituzione nata dalla Resistenza. Al filoso Cacciari consiglierei rileggersi Gramsci. Di limitare le sue comparsate in Tv e di tornare a studiare.
Vedo che libertà e giustizia, dopo aver sponsorizzato senza se e senza ma il M5S, continua ad ostacolare ogni tentativo di riformare (dall’esterno o dall’interno, a volte in forme discutibili e che lasciano perplessi) la sinistra….. accogliendo opinioni e giudizi che nulla hanno da invidiare a IL GIORNALE e a TRALLUSTI
Un buon motivo per ritirare la mia adesione come socio a LIBERTÁ E GIUSTIZIA