Solidarietà per le magliette rosse

12 Lug 2018

Redazione

Sotto le decine di foto in maglietta rossa inviate dagli iscritti di LeG a sostegno della campagna di Libera, sono apparsi in questi giorni diversi commenti ingiuriosi, talvolta apertamente violenti. Alcune foto sono addirittura finite nelle echo chambers, (quegli spazi virtuali in cui informazioni, credenze e messaggi simili vengono continuamente ripetuti e amplificati all’interno dello stesso gruppo di persone) dei gruppi di estrema destra.

Queste foto hanno rapidamente iniziato il loro giro di condivisioni e commenti, e i soci immortalati si sono ritrovati, loro malgrado, a condividere il privilegio d’essere oggetto delle critiche e degli insulti di tanti. Privilegio non tanto in senso ironico, ma nel senso che deriva dalla consapevolezza d’un conflitto inevitabile che abbiamo il dovere e l’occasione di affrontare. Di fronte all’avanzata di atteggiamenti xenofobi e neofascisti, allo sdoganamento dell’insulto, della derisione e della minaccia addirittura come strategia comunicativa, non resta che porsi in un atteggiamento di ferma opposizione, mettendo in gioco noi stessi e i nostri volti affinché venga a galla l’inganno. Tra gli insulti, le (poco) velate minacce, e gli infantili bullismi dei commenti, infatti, emergono anche le accuse – rivolte alle magliette rosse – di essere “radical chic”, gente col Rolex, “buonisti in barca a vela”. Non è così, ovviamente. In maglietta rossa c’era gente di ogni tipo: giovani precari, cervelli in fuga, disoccupati, pensionati in difficoltà economiche, volontari continuamente impegnati in concreti atti di solidarietà rivolti a tutti, italiani e stranieri (per rispondere alle accuse di chi, in malafede, ha sostenuto si trattasse di un’iniziativa di facciata). Uomini e donne che affrontano, come tutti, le difficoltà generate da un paese in crisi. Consapevoli che i migranti non sono i nostri nemici, ma semmai in parte vittime degli stessi meccanismi perversi che alimentano la crisi. Loro, tuttavia, sono in condizioni spesso molto più drammatiche delle nostre.

Oggi, per un piccolo gesto simbolico in difesa di questi migranti e in dissenso all’attuale governo, alcuni partecipanti all’iniziativa sono stati liberamente oltraggiati in rete, da persone che di loro assumono molto e sanno poco. Questo ha avuto, paradossalmente, alcuni risvolti positivi. Persone a noi vicine che – tratte in inganno da roboanti promesse e ostentate prove di forza – avevano scelto di sostenere l’attuale governo, di appoggiare perfino la retorica incoerente e bambinesca di certi suoi esponenti, oggi ne hanno appreso i limiti e i rischi. Hanno imparato oggi che la violenza, una volta sdoganata, ci mette un attimo ad essere rivolta non più soltanto verso i migranti o verso personaggi pubblici come Roberto Saviano, ma verso di noi: figli, fratelli, sorelle e genitori, in maniera incontrollabile e improvvisa. Hanno visto che di colpo è verso di noi che vengono lanciati improperi (“fate cagare”, “zecche di merda”, “feccia del paese”) e augurata la morte (“datevi fuoco”, “gli spaccherei la faccia”).

Ma ci sono anche – questo è certo – inquietanti risvolti negativi. Primo tra tutti, la consapevolezza che la forza comunicativa violenta e ossessionante di questi messaggi ha sfondato limiti che sembravano invalicabili, cosicché oggi si vorrebbe che a provare timore fossero coloro che manifestano pacificamente con una maglietta e messaggi di solidarietà, mentre più nulla temono coloro che dichiarano apertamente le loro simpatie neofasciste o neonaziste, e pretendono di silenziare il dissenso con la violenza verbale e la minaccia.

A questa violenza noi opponiamo con forza la nostra solidarietà. Non soltanto oggi con le nostre magliette rosse, ma ora e sempre, e verso tutti.

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