Lega nuova, ipocrisia vecchia

06 Lug 2018

Il vomito, lo schifo di sentire il senatore Manuel Vescovi della Lega a Rainews24. “Guardi io vedevo prima delle immagini di bambini che soffrivano e mi veniva quasi da piangere (le immagini prima di questa trasmissione) per cui davvero i bambini vanno aiutati, però oggi dobbiamo capire che dobbiamo prima aiutare l’Italia e aiutare noi e poi il mondo”. Il contegno del presentatore Roberto Vicaretti, di Nadia Urbinati e degli altri ospiti di Studio24 è quasi eroico nel passare oltre, né d’altronde una reazione educata a tanta ipocrisia sarebbe possibile.

Ma chi è questo Manuel Vescovi, neo-senatore consegnato alla Terza Repubblica dalle elezioni del cambiamento? Sul suo sito personale e professionale (dove è “Life & Business Coach”), si presenta, fornendoci forse la chiave per comprendere il suo approccio alle proprie “life & business” e quindi alla politica: “Sono convinto che la nostra esistenza sia un insieme di momenti difficili, neutri o magici [sic] ma non sono i fatti di per sè che ci creano le emozioni ma come noi interpretiamo gli stessi.” Ecco dunque: si può pure giudicare “difficile” (scartando “neutra” e “magica”) la condizione dei bambini in fuga verso l’Italia; ma la si può interpretare fino a convincersi che non ci compete e scartarla dai nostri interessi.

Ogni interpretazione ha bisogno di una luce alla cui, appunto, rileggere (o stravolgere, o archiviare, come in questo caso) la realtà. Nel racconto leghista, questa è fornita dal “prima gli Italiani” che tanta fortuna elettorale ha portato a Salvini, dall’artificiosa scala di priorità con cui gerarchizzare le disgrazie in base al passaporto delle sue vittime. Vescovi cita in particolare quella della “cittadina” (il lessico a 5 stelle, almeno quello, si è imposto) che proprio oggi si è lamentata con lui del proprio sfratto.

La realtà è che questo senatore nuovo, dagli scranni del partito che vuole la flat-tax per i ricchi, gioca un gioco vecchio ma sempre efficace: quello di mettere i poveri contro i poveri. Ci vuole un’enorme lucidità, se stai perdendo la casa, a far presente al senatore che la questione delle “priorità” è un’invenzione sua. Che le istituzioni di un grande paese come l’Italia hanno tutti i mezzi e il dovere di occuparsi sia della tua tragedia – che è quella delle povertà crescenti di un Paese intero – che degli immigrati. Che anzi forse sono due facce della stessa medaglia; e che in molti casi, oltre a quello sempre citato (ma mai abbastanza mutuato) di Riace, gestione ragionata dell’immigrazione e sviluppo possono sostenersi a vicenda.

Questa lucidità va pretesa a sinistra: in collegamento con Studio24, la professoressa Urbinati richiama il PD a una profonda riconsiderazione della propria identità, della narrativa che propone al Paese e di una leadership che, in tutti i posti che contano e nonostante i tentativi di camuffarlo, è ancora renziana. Riscoprire e valorizzare le radici culturali e territoriali di un grande partito di sinistra è, sottolinea nel suo intervento, il difficile, lungo ma imprescindibile lavoro di un PD che voglia rinascere.

Il senatore Vescovi da parte sua confessa candidamente che l’obiettivo cui lavora sono le prossime elezioni (“Firenze 2019”) e che il suo “capo” (lo definisce proprio così) è Matteo Salvini. Chissà se ha mai letto l’articolo 67 della Costituzione, che dice che “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Non capisce o non vuole capire, Manuel Vescovi, quasi nessuno degli interventi di Nadia Urbinati: sull’inopportunità di condurre, da parte di Salvini, una campagna elettorale permanente in veste di ministro; o sul paradosso del nazionalismo, che – spiega la professoressa –  fa sì che non possano esistere “nazionalismi solidali: se Orban, amatissimo da Salvini, fosse presidente di un paese confinante con l’Italia, diventerebbe un suo nemico, un suo avversario come lo è l’Austria e come lo sarebbe la Francia a direzione Le Pen. Il nazionalismo è incapace di cooperazione, perché, appunto, “prima noi”. Perché il “prima noi”, da solo, è insufficiente a rendere giustizia al “prima noi”. Se io mi occupo solo di noi, non mi occupo alla fine di noi.

“Piange” un’ultima volta Vescovi nel corso del breve programma: ricorda, meglio, di aver pianto in una visita ad Auschwitz. Ma (e nella stessa frase) aggiunge di considerare fascismo e antifascismo concetti superati, rivendicando di preferire dedicarsi invece a “convegni sull’intelligenza artificiale”. In Toscana gli hanno fatto chiudere un gazebo, dice Vescovi, perché nella domanda di autorizzazione non aveva confermato (barrando l’apposita casellina) la natura non fascista dell’attività. Fingendo stupore e ingenuità “E perché non avete barrato?” gli chiede il direttore di Askanews Paolo Mazzanti, presente in studio. Vescovi balbetta qualcosa sulla complessità dei moduli, su un suo effettivo errore, ma che ha chiesto scusa… confermando quanto poco basti per svelare l’ipocrisia di questi nuovi vecchissimi personaggi, eroici paladini sempre e solo contro i più deboli.

(*) L’autore è coordinatore del Circolo LeG di Ginevra

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