Democrazia e sorteggio

02 Lug 2018

Sorteggiare i rappresentanti? La proposta, avanzata alcuni giorni fa da Beppe Grillo, è stata per lo più liquidata come una provocazione, una boutade, una delle tante uscite strampalate del fondatore dei 5 stelle. Forse un segnale che il nume tutelare del movimento ha voluto inviare ai “suoi” parlamentari, che non stanno dando mostra di particolari capacità e competenze, nonostante le selezioni sulla base dei curriculum…

L’idea, tuttavia, non va banalizzata o archiviata senza una qualche riflessione. Anche perché non è frutto della solitaria fantasia di Beppe Grillo e trova nel dibattito contemporaneo diversi estimatori. Grillo cita Brett Hennig, autore del recente volume The End of Politicians. Time for a Real Democracy. Ma possiamo anche ricordare Contro le elezioni. Perché votare non è più democratico, di David van Reybrouck, tradotto nel 2015 da Feltrinelli, che espone tesi simili. Hennig viene da studi di astrofisica, van Reybrouk è archeologo e romanziere. Si può pensare che, geniali nel loro campo, i due si accostino con una certa ingenuità alla sfera della politica. Ma una seria e argomentata difesa del sorteggio come metodo per rinnovare la democrazia si trova anche nel volume di un politologo di tutto rispetto, come Yves Sintomer, autore nel 2007 di Le pouvoir au peuple. Jurys citoyens, tirage a sort et démocratie partecipative (tradotto nel 2009 da Dedalo). E una (moderata) rivalutazione del sorteggio è in atto da anni da parte di svariati teorici della democrazia partecipativa e deliberativa, alla ricerca di strumenti in grado di rendere le istituzioni più “rappresentative”, più legittime, più vicine ai cittadini “ordinari”.

Proviamo allora a prendere sul serio l’idea del sorteggio, e ad osservarla più da vicino. Il primo aspetto su cui è bene far chiarezza riguarda il suo presunto carattere democratico. La tesi che “il sorteggio è democratico, l’elezione è oligarchica” risale niente meno che ad Aristotele, ma va capita e collocata nel contesto entro cui è stata formulata. Se nell’antica Grecia il sorteggio assume un significato democratico, è perché è abbinato alla rotazione delle cariche. Le magistrature che venivano distribuite a sorte ogni anno ad Atene erano moltissime: circa 1100, da assegnare a un platea di circa 20.000 cittadini con più di 30 anni. Al sorteggio si ricorreva inoltre per formare organi collegiali, come il Consiglio dei Cinquecento e i tribunali, composti da centinaia di membri. L’elevato numero di cariche, molte delle quali di breve o brevissima durata (in alcuni casi, un solo giorno), il divieto di ricoprirle due volte di seguito e il numero tutto sommato ridotto di persone tra cui spartirle facevano sì che tutti i cittadini, a turno, prestassero servizio come magistrati o come giurati. Finley calcola che circa il 70% dei cittadini ateniesi con più di 30 anni facesse parte almeno un volta nella vita del Consiglio dei Cinquecento. A una percentuale ancora più alta capitava di ricoprire temporaneamente il ruolo di giurato, tenendo conto che ogni anno servivano 6000 giudici per consentire il funzionamento dei tribunali popolari. Si può concludere che ad Atene il sorteggio concorresse a realizzare quell’alternanza tra “governare” ed “essere governati” in cui Aristotele coglieva l’essenza della democrazia. Senza dimenticare che il potere supremo (quello che, con un anacronismo, potremmo identificare con il potere legislativo) spettava comunque all’assemblea, a cui tutti i cittadini avevano diritto di partecipare.

Il sorteggio dei parlamentari oggi avrebbe evidentemente tutt’altro significato, non implicando alcuna forma di rotazione nell’esercizio di funzioni di governo. L’eguaglianza tra i cittadini si ridurrebbe, in questo caso, all’eguale probabilità (dal punto di vista statistico) di essere selezionati per far parte dell’organo legislativo. Ma non implicherebbe l’eguale diritto-potere di partecipare, direttamente o indirettamente, all’assunzione delle decisioni collettive (in cui consiste lo specifico della forma di governo democratica). Per capire perché il sorteggio non abbia, di per sé, proprietà democratiche,  facciamo l’esempio di un sistema che ricorra alla dea bendata per scegliere un Presidente a cui affidare pieni poteri. Lo percepiremmo come “democratico” per il solo fatto che la possibilità teorica di essere sorteggiati riguarderebbe tutti i cittadini? L’esempio, in realtà, non è del tutto fittizio. Su che cosa si fondava, in fondo, l’investitura per diritto dinastico dei sovrani se non su un simile, irrazionale, affidamento alla sorte? Chi oggi rivaluta il sorteggio, tuttavia, pensa alla selezione dei membri di organi collegiali, come il parlamento. A questo proposito c’è un ulteriore equivoco che si tratta di sfatare.

Un’assemblea selezionata per sorteggio – si sostiene – risulterebbe più “rappresentativa” di molti delle attuali assemblee parlamentari. Rispecchierebbe più di quanto generalmente accada la composizione per genere, età, ceto sociale, di una data popolazione, dando luogo a un vero  e proprio “microcosmo” della società nel suo complesso. L’equivoco qui sta nel modo di intendere le nozioni di “rappresentanza” e “rappresentatività”. Un gruppo selezionato per sorteggio può essere rappresentativo in senso statistico o sociologico, ma non nell’accezione politica di rappresentanza che sta alla base della “democrazia dei moderni”. Il nocciolo della  democrazia rappresentativa consiste nel diritto dei cittadini-elettori di scegliere rappresentanti che saranno tenuti ad agire “in loro nome”. Nel caso di un’assemblea selezionata per sorteggio, non esiste invece nessun rapporto tra i cittadini e i loro (sedicenti) “rappresentanti”. E si pone l’interrogativo: “in nome di chi” assumeranno le decisioni i sorteggiati, posto che non è scontato che le donne agiscano “in nome delle donne”, gli operai “in nome degli operai” e gli anziani “in nome degli anziani”? A chi saranno tenuti a rispondere, per il loro operato? Certo non a cittadini che non hanno avuto alcun ruolo nella loro designazione. E che non avrebbero alcuna possibilità di influire sulle loro decisioni, minacciandoli di non votarli alle elezioni successive…

Tra gli effetti di un ipotetico sorteggio di deputati o senatori, ci sarebbe dunque il venire meno  di  qualsiasi forma di responsabilità in capo ai parlamentari. Ed è curioso che l’elogio di questo strumento venga da chi, per altri versi, vorrebbe rendere più stringente il vincolo che lega i rappresentanti ai rappresentati, attraverso l’introduzione del mandato imperativo! In ogni caso, là dove si è provato ad attribuire a gruppi selezionati per sorteggio il compito di assumere decisioni collettivamente vincolanti, e non – come più spesso accade – mere funzioni consultive, l’esperimento non sembra aver funzionato. Penso al caso, ampiamente discusso dalla letteratura sul tema, di una giuria cittadina del Leicester incaricata di esprimersi sulla riorganizzazione del sistema ospedaliero, contro le cui conclusioni sono insorti comitati di cittadini contrari alla riforma e niente affatto disposti a riconoscersi nelle decisioni assunte dai sedici individui selezionati da una società di sondaggi.

C’è dunque più di una ragione se il sorteggio è stato superato a vantaggio delle elezioni in ambito politico, mentre è sopravvissuto là dove non si tratta di dar vita ad assemblee rappresentative dei diversi orientamenti politici, ma di istituzioni di garanzia, come gli organi giurisdizionali (si pensi, nel nostro ordinamento, al sorteggio dei giudici popolari delle Corti di assise). Quanto alla politica, le molte energie profuse per cercare di andare “oltre” la democrazia rappresentativa potrebbero forse più utilmente essere impiegate nel non meno impegnativo compito di restituire vita e significato a quanto previsto dalla Costituzione. Anziché sorteggiare i rappresentanti, si potrebbe provare ad eleggerli con una legge elettorale decente, che affidi ai cittadini il potere di scegliere. Niente di rivoluzionario e di eccitante come l’idea di risuscitare l’antico Consiglio dei Cinquecento. Ma forse qualcosa di più utile a restituire credibilità alle istituzioni, e agli uomini e alle donne che le rappresentano.

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