Salvini e la retorica della razza

27 Giu 2018

Tomaso Montanari

Un soffitto di cristallo impedisce ogni reale cambiamento nella struttura economica e nella redistribuzione della ricchezza nel Paese – quel soffitto così clamorosamente apparso di fronte agli occhi degli italiani grazie al discorso del presidente Sergio Mattarella del 27 maggio 2018. TINA: non c’è alternativa. I mercati, l’Europa, il destino: cambiare non è possibile.

A capirlo meglio di tutti è stato Matteo Salvini. Non solo nel nome simillimo a un altro Matteo: anche e soprattutto nell’antropologia del potere e nella determinazione a parlare come un capo alla folla. Una abilità appresa molto per tempo nel ventre stesso del sistema: quando, giovanissimi, divennero noti per aver partecipato da concorrenti a due popolari quiz. La Ruota della fortuna per il Matteo fiorentino, il Pranzo è servito per quello lombardo.

E ora che la ruota della fortuna di Renzi sembra essersi inceppata tra i popcorn, Salvini sta offrendo agli italiani un pranzo avvelenato.

Il banchetto di parole che Salvini imbandisce ogni giorno, servendolo con molti «abbracci» e «bacioni» via twitter, ha un’unica portata: la paura.

Salvini sa che non saprà fare nulla per gli ‘italiani’: e allora grida più forte ‘prima gli italiani’.

Salvini sa che non potrà migliorare la condizione di vita dei bianchi: e allora parla dei neri. Perché è evidente che il meccanismo fondamentale, e appena nascosto, della sua retorica è la diversità della pelle: se i migranti fossero del nostro stesso colore quel meccanismo non scatterebbe, visto che non c’è nessuna invasione né alcun rapporto tra il numero dei migranti e la povertà degli italiani.

 Ma il messaggio, grottescamente mendace, è questo: per ogni corpo nero che non arriva in Italia, non importa come, un corpo bianco starà meglio.

Salvini non si cura delle istituzioni, delle leggi, delle Costituzioni, dei principi morali, degli ideali. Come un animale feroce va in cerca della carne e del sangue, anch’egli cerca e usa i corpi.

Perché sì, al centro della sua retorica c’è il corpo.

I corpi neri dei migranti: da bloccare in mezzo al mare. Da tenere lontani, da maledire, da dirottare. Da usare, come carne da cannone, nei suoi mediatici bracci di ferro con le cancellerie europee.

I corpi degli ‘zingari’ da contare, catalogare, controllare.

Il corpo di Roberto Saviano: da esporre alle pallottole, per punirlo delle sue critiche. La minaccia è andata diritta lì: verso il denudamento fisico del ‘nemico’. Verso la sua vulnerabilità corporale.

I corpi degli italiani. Quelli che riceveranno i colpi delle pistole che Salvini vuole far dilagare in Italia, per la ‘legittima difesa’.

Anche se per ora questo nuovo squadrismo fascista è solo verbale, al centro c’è ancora il corpo. Come ai tempi delle bastonature che facevano piegare e sanguinare i corpi degli antifascisti, o dell’olio di ricino che ne faceva squassare le viscere.

Il potere dello Stato è innanzitutto il potere che ha il monopolio dell’uso della forza sui corpi dei cittadini. Quel potere, praticamente e simbolicamente concentrato nelle mani del ministro della polizia, si affaccia oggi nelle case di ogni italiano: minacciando, intimidendo, giocando con quel monopolio.

Il ministro della paura parla dei nostri corpi, opposti a quelli dei neri e degli zingari. Parla del corpo degli oppositori. Parla del corpo dei ladri e dei rapinatori.

Vedremo quanto velocemente si passerà ai fatti. Ma fin da ora la risposta deve essere forte e chiara: chi suggerisce di lasciar parlare Salvini, di non considerarlo, di abbandonarlo al silenzio non ha capito che le democrazie vivono, e muoiono, di parole. E che il piano inclinato sul quale il senso comune sta scivolando verso la barbarie rischia di esserci fatale.

Si badi: è raccapricciante dover riconoscere che in termini di sangue, di vite perdute o spezzate, il predecessore di Salvini agli Interni ha probabilmente fatto molto, ma molto di peggio: almeno per ora.

E l’ipocrisia pelosa con cui chi ha sostenuto i campi di concentramento di Minniti ora convoca manifestazioni contro il razzismo  – penso al sindaco di Firenze, Dario Nardella – è il cuore del nostro problema. Perché certo la retorica della paura di Salvini non può essere contrastata da chi la usava in forma appena più light.

Ricordiamo che l’allora segretario del Partito Democratico Matteo Renzi ha scritto in un suo libro-manifesto la farse-chiave «aiutiamoli a casa loro»: così opponendo scelleratamente casa a casa, identità a identità, interesse a interesse, destino a destino.

Ebbene, abbiamo bisogno di altre figure, di altre parole, di altri pensieri per battere la strategia della paura e la sorveglianza sui corpi cui Matteo Salvini ha piegato il discorso della politica.

Abbiamo bisogno di costruire un’altra cultura e un altro senso comune.

Ne abbiamo bisogno ora.

www.volerelaluna.it ,  22 giugno 2018

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