Montanari “Andare in piazza è solo il tentativo di rifarsi una verginità a sinistra”

27 Giu 2018

«Siamo in un momento senza precedenti della storia della Repubblica, con un ministro dell’ Interno che invece di attuare i principi fondamentali della Costituzione, li sovverte, assomigliando sempre più al ministro della Paura del film di Antonio Albanese, teorico dell’ uso della paura come mezzo di controllo delle masse…».

Tomaso Montanari, docente universitario a Napoli, presidente di Libertà e Giustizia, uno degli intellettuali che più si sono spesi, negli ultimi anni, in difesa della Costituzione (e acceso detrattore del referendum), condivide «fino in fondo», spiega, l’ allarme che in questi giorni sta spingendo vasti settori dell’ opinione pubblica italiana a reagire contro gli attacchi anti-immigrati e anti rom del ministro degli Interni (nonché leader della Lega) Matteo Salvini.

Prende invece le distanze dall’ appello Insieme contro il razzismo lanciato due giorni fa dal governatore della Toscana Enrico Rossi (Mdp) e dal sindaco di Firenze Dario Nardella (Pd), che hanno invitato istituzioni e forze sociali a mobilitarsi. «Non parteciperò», annuncia.

Ma perché, Montanari? Non crede che scendere in piazza serva, oltre che a rinsaldare il fronte della sinistra, a opporre alle provocazioni di Salvini la reattività del maggior numero di persone?

«Sia chiaro, quello che sta facendo il nostro ministro dell’ Interno è un autentico sovvertimento dei principi fondamentali della Costituzione e della Repubblica, e non solo a parole, ma anche con i fatti, come dimostra la vicenda della nave Aquarius, gestita in forme gravemente illegali sul piano del diritto internazionale, con l’ unico scopo di farsi propaganda politica. Detto questo, però, il problema è come reagire a tutto ciò in modo efficace».

Appunto. Come?

«Che non si possa tacere è ovvio, di fronte a questa lucida strategia di modificazione del discorso pubblico mirata a liberare gli spiriti animali chiusi nella pancia del paese. Il fatto è che, a modo suo, tutto ciò costituisce un’ operazione culturale, che impone di reagire su questo stesso piano innanzitutto riaffermando, con forza, il progetto costituzionale originario.

E a questo fine chi ha responsabilità di governo, ai vari livelli, è chiamato a rispondere governando, non con manifestazioni di piazza. Perché al fondo di quel che sta succedendo altro non c’ è che un problema grave di ingiustizia sociale nel paese, a cui la sinistra, ben prima di Salvini, ha aperto la strada governando come se fosse destra».

Vuol dire che Minniti è uguale a Salvini?

«In perfetta continuità. Anzi: Salvini parla soltanto, per ora, mentre i campi di concentramento in Libia esistono già, e ad esserne responsabile è il Pd che ha governato. Demolendo la cultura della sinistra, facendo una politica di destra e aprendo la strada alla Lega. Cos’ altro è stata, davvero, la politica del Pd, anche a livello locale, con un Nardella che ha detto no alla moschea, no alle case popolari agli immigrati, se non di destra? E se è così, che titolo ha adesso il Pd per opporsi a quella di Salvini? L’ unica strada sarebbe di ritrovare se stesso nei contenuti e nei valori di fondo, ma le manifestazioni di piazza non sono questo, sono il tentativo di rifarsi una verginità di sinistra».

Facciata e niente sostanza?

«La strumentalizzazione della civile reazione della gente al ministro della Paura, non altro.
Propaganda, proprio come quella di Salvini. Senza contare che le istituzioni, come quelle che Rossi e Nardella rappresentano, avrebbero ben altri strumenti per cambiare le cose. Ecco perché io non aderisco al loro appello».

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la Repubblica (Firenze), 22 giugno 2018

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