Caro Pd, per battere Salvini bisogna parlare diversamente e governare diversamente

27 Giu 2018

Tomaso Montanari

Come si reagisce alla bestiale retorica della paura di Matteo Salvini? Come si combatte il contagio della violenza (per ora solo verbale), come si ricostruisce un senso comune democratico?

Innanzitutto, dicendo la verità. Dicendo, per esempio, che non esiste alcun nesso tra l’arrivo dei migranti e la povertà degli italiani: e, dunque, affermando che chi dice “prima gli italiani” sta coprendo con un velo di menzogna e di odio la propria incapacità di fare alcunché per gli italiani.

Ma chi vuol dire la verità deve essere credibile. E, mi spiace molto, non lo sono Enrico Rossi e Dario Nardella, che convocano dall’alto delle loro cariche istituzionali e su carta intestata del Comune di Firenze e della Regione Toscana una manifestazione di popolo contro il razzismo.

Solo in paesi di assai dubbia democrazia sono i presidenti a chiamare in piazza i cittadini. A chi ha il potere, si chiede di usarlo per costruire giustizia sociale e istruzione: le due più importanti premesse per estirpare il razzismo. Il Rossi che continua a propugnare lo sviluppismo delle grandi opere e a difendere l’aeroporto di Firenze di Marco Carrai ragiona secondo i paradigmi che hanno condotto l’Italia fin qui. E il Nardella che ha detto “le case popolari prima agli italiani”, che si è opposto (come il suo predecessore) alla moschea di Firenze, che si è rifiutato molto a lungo di indire il lutto cittadino per l’omicidio di un senegalese non è credibile. E non è credibile chi condanna le cose atroci “dette” da Salvini dopo aver sostenuto le cose atroci “fatte” da Minniti.

Nella loro lettera, Rossi e Nardella scrivono: “ricostruiamo una società che attualizza i valori della nostra Costituzione”. È un lapsus freudiano: qui non si tratta di “attualizzare” un reperto storico, ma semmai di “attuare” la nostra Costituzione. Quella che sia Rossi che Nardella avrebbero voluto rendere meno potente e democratica piegandola al volere dei mercati attraverso la riforma renziana.

Ricordiamo che l’allora segretario del Partito Democratico Matteo Renzi ha fatto propria in un suo libro questa frase-chiave della retorica della (inesistente) “invasione dei migranti”‘: “aiutiamoli a casa loro”. Una frase che oppone scelleratamente casa a casa, identità a identità, interesse a interesse, destino a destino. Ecco: è questo modo di pensare e parlare che va dimenticato. Prendendo atto, se non altro, che la cura omeopatica contro la destra razzista (che consisteva nel somministrare destra razzista in piccole dosi) non ha funzionato.

Naturalmente chiunque può cambiare idea; ma deve dirlo, e subito dopo dimostrarlo con i fatti. Se il Partito Democratico vuole rompere con la sue politiche recenti, se vuole smettere di essere di fatto una destra di governo, diversa solo nei toni dalla destra fascista di Salvini, ebbene che lo dica. E, soprattutto, che lo faccia.

Sono stato rimproverato, giustamente, da alcuni amici e compagni per aver scritto troppo seccamente, nel mio ultimo post su questo blog, che ai ballottaggi di dopodomani non si poteva votare Pd nemmeno per fermare la Lega. Hanno ragione: mai come nell’Italia delle cento città, tutte diverse, si deve decidere caso per caso. Badando soprattutto alle conseguenze di ogni scelta sulla vita dei più indifesi, degli ultimi.

Ma quando il Pd porta Minniti a chiudere la campagna elettorale a Sarzana; ebbene, si stronca ogni virtuoso tentativo locale di costruire un fronte democratico. Così come quando a Pisa vengono Veltroni, o Gentiloni. E naturalmente il punto vero non è chi viene a parlare, ma cosa farà chi va al governo. Se a Pisa tornasse al potere il Pd che ha fatto i daspo urbani contro i migranti, chi lo distinguerebbe dalla Lega?

A Siena, per esempio, le cose sono andate diversamente, perché l’apparentamento tra la lista civica guidata da Pierluigi Piccini e il Pd mette in minoranza quest’ultimo, e potrebbe riportare a Palazzo Pubblico un sindaco del Pd, ma non una politica del Pd.

La domanda è: si tratta solo di disperato istinto di conservazione, o nel Pd della roccaforte toscana si inizia a capire che si deve davvero cambiare? E, certo, Piccini a suo tempo è stato parte di un establishment che ha condotto Siena alla rovina (o con opere dirette, o con omissioni di denuncia); ma chi, appunto, dichiara di voler cambiare merita una seconda opportunità. Soprattutto se l’alternativa è una destra salviniana, si deve forse dare un po’ di fiducia a questa possibile palingenesi: anche se, certo, tenendo altissima la guardia di una sorveglianza civica che non faccia sconti a nessuno.

La morale è che in un’Italia con 18 milioni di persone sulla soglia di povertà, il Pd non può pensare di riverginarsi a sinistra facendo manifestazioni antifasciste: perché non è credibile, e perché, se anche lo fosse, non basterebbe.

Per battere la destra oscena di Salvini bisogna cambiare politica: pensare diversamente, parlare diversamente, governare diversamente. A partire da subito, non da domani.

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HuffingtonPost,  22 giugno 2018

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