No-stop elettorale sulla pelle dei migranti

16 Giu 2018

Vincenzo Vita

Una domenica bestiale, quella passata. Tanto per la vicenda della nave Aquarius, in cui si è appalesata la smania fascistoide dei leghisti, quanto per la clamorosa scorrettezza in tema di comunicazione politica.

I fini dicitori obietteranno che le disposizioni della “par condicio”, essendo stata quella dello scorso 10 giugno una consultazione parziale al di sotto del 25% della popolazione complessiva, si applicavano solo sul piano locale, esentando le trasmissioni nazionali. Tuttavia, la delicatezza della stagione istituzionale in corso e il dramma dei profughi avrebbero richiesto un’attenzione particolare. Non c’è stata, né da parte delle emittenti né dal versante dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni cui pure spetterebbero compiti di vigilanza permanente. Non solo gli esponenti politici, a cominciare da Salvini e Di Maio, hanno impunemente scorrazzato tra un programma e l’altro, ma sono stati lungamente intervistati e accolti in pompa magna nei talk. Domenica le urne erano aperte e buona creanza avrebbe voluto che il silenzio elettorale venisse rispettato non solo nei confini territoriali, bensì pure nell’offerta generalista. E fa specie che non ci si sia neppure pensato.

Silenzio rotto costantemente, ben al di là di un asciutto commento delle notizie; pluralismo sbeffeggiato nella logica cui i media si stanno assuefanno del bipolarismo Lega-5Stelle. Si è dovuto attendere l’arrivo serale dell’”Arena” condotta da Giletti per avere qualche voce in più. Sempre, però, nel giorno del voto.

Certamente non è dimostrabile il nesso di causa ed effetto tra la bulimia mediatica e le scelte delle persone in cabina. Vecchio e logoro è il dibattito sugli effetti della televisione, sempre regina -però- del condizionamento secondo il Censis. Non è detto che le ore di esposizione dei leader abbia loro portato fortuna: a Salvini forse sì, a Di Maio assai di meno. Ma l’odierna dieta della fruizione è cross -mediale e, se sono i social ad esercitare un ruolo sempre maggiore in particolare tra le generazioni digitali, la vecchia scatola nera rimane in testa ad ogni classifica nel determinare l’agenda delle priorità. Vale a dire, ciò che merita attenzione e cosa no. Le immagini non stop (ovviamente) della nave vagante in un mare mediterraneo diventato crudele e nemico venivano associate alla faccia del capo leghista e a quella del collega-concorrente pentastellato. L’associazione con il voto era inesorabile.

Il prossimo 24 giugno vi saranno i ballottaggi ed è augurabile che chi ne ha titolo dia un segno di vita. Si parla costantemente di rivedere la legge del febbraio 2000, che viene spesso evocata come i cavoli a merenda. Si abbia il coraggio civile di proporne un’altra, invece di irriderne il senso profondo. Quest’ultimo va oltre l’articolato giuridico: si evoca in quel testo uno stile di condotta, prima ancora che un dettame burocratico.

Si è scritto in questi giorni da parte di professori e avvocati come Carlo Melzi d’Eril e Giulio Enea Vigevani, nonché del commissario dell’Agcom Antonio Nicita, sulla degenerazione in atto della comunicazione politica, pur  fondata sullo schema delle tribune e del contraddittorio. Ora è in uso il siparietto singolo, con il collega amico-nemico che osserva dietro le quinte in attesa del suo turno. Il problema posto è reale, in quanto il racconto della politica deve rispondere all’esigenza primaria di informare i cittadini. I siparietti “privati” assomigliano spesso agli spot pubblicitari, senza copy e senza creativi.

il manifesto,  mercoledì 13 giugno 2018

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