Il re è nudo: lo dice il Quirinale

01 Giu 2018

Francesco Pallante

Partiamo da una presunzione di buona fede: che nella sua saggezza, il presidente della Repubblica abbia agito nell’ interesse del Paese, operando scelte drammatiche ma inevitabili. Il capo dello Stato non ha formalmente argomentato, in punto di diritto, il suo rifiuto di nominare il ministro dell’ Economia indicato dal presidente del Consiglio incaricato.

Non ha spiegato quali disposizioni della Carta gli conferirebbero questo potere di veto – nonostante autorevole dottrina, a partire da Costantino Mortati, ne escluda la configurabilità – né ha indicato contro quali previsioni costituzionali sarebbe andata a urtare la nomina di Paolo Savona. Si è limitato a fare riferimento alle preoccupazioni che tale nomina avrebbe suscitato negli “operatori economici e finanziari” e alle conseguenze negative che sarebbero derivate dall’ adozione di una “linea che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell’ Italia dall’ euro”.
Alcuni hanno ritenuto di rinvenire nella posizione presidenziale l’ affermazione della irreversibilità dell’ adesione dell’ Italia all’ Unione europea e alla moneta unica, in forza degli art. 11 e 117 Cost.
Alla luce del nostro ordinamento pare indiscutibile che dalla previsione di possibili limitazioni di sovranità derivi la possibilità di stipulare patti internazionali che sanciscano, nelle materie interessate dagli accordi stessi, la prevalenza degli atti dell’ ordinamento pattizio su quelli dell’ ordinamento interno. Sul punto, il “contratto” di governo siglato da Salvini e Di Maio era di una debolezza imbarazzante, là dove, con toni da social network, reclamava la “prevalenza” della Costituzione sul diritto dell’ Unione nella completa ignoranza della decennale elaborazione giuridica in argomento.

Quel che, invece, pare discutibile è che dall’ art. 11 Cost. derivi la irrevocabilità della sottoscrizione dei patti, come se la sovranità, una volta limitata, non potesse più riespandersi. Manca, in proposito, ogni nesso di implicazione logica: a ritrovarsi limitata dall’ art. 11 Cost. non è la capacità di autodeterminazione dello Stato nello scenario internazionale, ma l’ àmbito materiale di estensione dell’ ordinamento giuridico interno, fintanto che l’ Italia mantiene ferma la sua adesione al patto. E poi: perché tra tutti i vincoli che il diritto europeo impone al nostro ordinamento, il Presidente ha deciso di far riferimento esclusivamente a quelli di natura finanziaria? Il “contratto” pentaleghista conteneva clausole discriminatorie ai danni degli stranieri, anche comunitari, indiscutibilmente in contrasto con l’ ordinamento Ue: perché nessuna parola da parte del presidente su questi profili? Perché nessun dubbio – anzi, l’ esplicito consenso – sull’ esponente politico destinato a porre in essere tali clausole nella veste di ministro dell’ Interno? Evidentemente, il punto erano i vincoli finanziari in sé considerati, non i vincoli europei.

Rimane un’unica ricostruzione giuridicamente sostenibile: che il presidente della Repubblica abbia agito nella sua veste di supremo reggitore dello Stato. A fronte di una situazione eccezionale, suscettibile di porre a repentaglio la tenuta stessa della Repubblica, attenersi alla puntuale configurazione giuridica delle prerogative costituzionali avrebbe legato le mani al capo dello Stato, impedendogli di assolvere al suo dovere supremo: salvaguardare la sovranità nazionale. Anche in questo caso, tuttavia, qualcosa non torna, se proprio nel momento in cui si risolve ad assumere su di sé l’ onere di salvare la Nazione, il presidente ammette, apertis verbis, che occorre mettere la sordina alla sovranità popolare e piegarsi ai diktat provenienti dalla finanza internazionale. Vale a dire, che per salvare la sovranità occorre sacrificare la sovranità: un vero e proprio avvitamento logico.

Non si può escludere che situazioni analoghe si fossero verificate in passato. Mai prima d’ ora, però, il re aveva così platealmente ammesso – lui stesso, non il bambino innocente! – di essere nudo.
È possibile che a ciò il presidente Mattarella sia stato costretto dalla indisponibilità a tornare sui propri passi mostrata, per il tramite del presidente del Consiglio incaricato, dall’ alleanza pentaleghista. Ciò non toglie che il potere abbia bisogno del filtro delle regole giuridiche per esorcizzare la propria stessa natura profonda, fatta di relazioni di dominio se non di veri e propri rapporti di forza bruta. Squarciare il velo del diritto – ammoniva Kelsen – è pericolosissimo: dietro quel velo si cela la Gorgone del potere, capace di pietrificare col suo sguardo chi se la ritrova innanzi.

Fuor di metafora, ora che il precedente è stato palesato, chi potrà impedire ai futuri presidenti di comportarsi nel medesimo modo?

Il Fatto Quotidiano, 31 maggio 2018

(*) Professore associato di Diritto costituzionale a Torino, membro del Consiglio di Presidenza di Libertà e Giustizia.

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