Lorenza Carlassare – professore emerito a Padova, una dei nostri costituzionalisti più autorevoli – risponde al telefono con l’abituale fermezza: “Non è difficile valutare alla luce della Carta i fatti di questi giorni. Si discute se il comportamento del capo dello Stato sia stato corretto. La risposta per un costituzionalista è facile, perché noi valutiamo le situazioni solo ed esclusivamente in rapporto al dettato costituzionale e a ciò che rientra nella tradizione del sistema parlamentare. La nostra non è una Repubblica presidenziale: da qui discendono molte conseguenze. Il presidente quando forma il governo non fa il suo governo, ma quello della maggioranza”.
E come si deve regolare?
Semplicemente tenendo conto di qual è l’orientamento della maggioranza parlamentare e di quale governo potrà ottenere la fiducia delle Camere. Quel governo dovrà avere la fiducia e conservarla, altrimenti dovrà dare le dimissioni. L’unica stella polare che deve guidare il cammino del presidente è questa valutazione sulla possibilità o meno che quell’ esecutivo abbia la fiducia del Parlamento.
Dove risiede il potere decisionale del presidente?
Dopo le consultazioni, deve valutare qual è la persona maggiormente idonea a ricoprire la carica di presidente del Consiglio. È una valutazione che però non si basa su opinioni o convincimenti personali del capo dello Stato, ma sulla base delle consultazioni che altrimenti sarebbero inutili. Dopo aver individuato la persona e conferito l’incarico, la responsabilità passa al presidente incaricato che deve comporre la lista dei ministri del suo gabinetto. La proposta di cui parla l’articolo 92 della Carta vincola il capo dello Stato, che può esprimere valutazioni di cui il presidente incaricato può tenere conto se lo ritiene. Il diniego sul nome di un ministro può esserci per incompatibilità col ruolo, per conflitto d’ interessi o indegnità causata, per esempio, da condanne penali, dunque solo per ragioni oggettive.
Il presidente può fare valutazioni politiche?
No. Perché non è organo di indirizzo politico. La dottrina – da Serio Galeotti a Livio Paladin, per citare due autorevolissimi costituzionalisti – è sempre stata concorde nel ritenere il presidente un organo di garanzia e non di indirizzo politico.
Si dice che il presidente si sia fatto garante della Carta, che all’ art. 47 assicura la tutela del risparmio.
Mi fa felice riscontrare questo interesse per il risparmio degli italiani che per decenni non si è mai manifestato né da parte del presidente Mattarella, né dei suoi predecessori. Tanto è vero che tanti risparmiatori sono stati messi in ginocchio. E non mi riferisco solo a quelli truffati dalle banche: il risparmio è stato distrutto dai meccanismi attuali. È bene che il presidente se ne faccia carico, ma voglio far notare che nel programma di governo non erano previsti provvedimenti distruttivi del risparmio. La valutazione sulla linea economica è stata squisitamente politica. E questa sfugge alle prerogative presidenziali.
Ci sono punti del programma di governo che suscitano perplessità?
Credo quelli sulla sicurezza, citati anche in un’ intervista a Gustavo Zagrebelsky qualche giorno fa su Repubblica, come l’autodifesa sempre legittima, o l’uso della pistola a onde elettriche considerata dall’Onu uno strumento di tortura, l’introduzione di reati specifici per i migranti clandestini o il trasferimento dei fondi destinati ai profughi ai rimpatri coattivi. Sono cose in evidente contrasto con la Carta: il presidente avrebbe potuto farlo notare e comunque respingere i singoli provvedimenti.
Cosa pensa della ventilata messa in stato d’accusa?
Mattarella ha certamente esorbitato dalle sue funzioni.
Ma la messa in stato d’ accusa è qualcosa di più complesso: bisogna dimostrare, anche con comportamenti reiterati, l’intenzione di sovvertire la Costituzione. Non è questo il caso. In ogni caso, nell’ interesse del Paese è un discorso che va abbandonato perché paralizza il funzionamento delle istituzioni.
Si cita spesso il precedente di Napolitano, che ha interpretato in maniera vigorosa il suo ruolo: per Renzi anche imponendo il percorso di riforme costituzionali.
Le rispondo così: quando il presidente Cossiga esorbitava dalle sue funzioni, i costituzionalisti manifestavano le loro critiche continuamente proprio per evitare che si potesse parlare di una prassi consolidata.
La presidenza della Repubblica ne esce ammaccata?
Mi auguro con tutto il cuore di no.
Il Fatto Quotidiano, 30 maggio 2018
“Mi fa felice riscontrare questo interesse per il risparmio degli italiani che per decenni non si è mai manifestato”: per fortuna che doveva essere solo un commento basato sulla costituzione. Chiaramente è invece un pregiudizio politico. Ci sta, ma non attribuiamolo alla costituzione.
La nostra – scrive la Professoressa Carlassare – non è una Repubblica Presidenziale. Mi permetto di aggiungere che non dovrebbe essere neppure una Repubblica ostaggio di pericolose pulsioni plebiscitarie. Il piccolo capolavoro che Mattarella, rappresentante dell’ unità nazionale , è riuscito a compiere tra giovedì 25 maggio – quando ha respinto l’arrogante e pretestuoso aut-aut di Salvini – e domenica 27 quando – conferendo l’ incarico a Cottarelli – ha impartito una lezione di democrazia costituzionale a chi stava finendo di picconare il nostro fragile e delicato modello di democrazia rappresentativa, è servito proprio ad evitare che la sovranità popolare, di cui parla il secondo comma dell’ art.1 della Costituzione, fosse esercitata non ‘ nelle forme e nei limiti della Costituzione ‘ ma obbedendo – appunto – a pulsioni di tipo plebiscitario. Se Mattarella avesse ceduto all’ arroganza di questa improvvisata lobby di ‘ avvocati del popolo ‘, non solo la sua credibilità personale ma, soprattutto, il prestigio e l’ autorevolezza della sua carica sarebbero stati irrimediabilmente lesi. Con conseguenze gravissime per tutto il Paese e neppure paragonabili a quelle che avrebbero caratterizzato la breve o brevissima parentesi di un eventuale governo tecnico. Grazie alla fermezza, alla pazienza e all’ equilibrio di Mattarella siamo oggi come riscattati dal nefasto protagonismo – quello, sì, di chiaro segno presidenzialista – del suo predecessore e possiamo nutrire fiducia che – senza bisogno di commissariare alcuno o alcunchè – le scelte del neonato governo saranno quotidianamente monitorate dal Capo dello Stato che, rappresentandola, potrà rivolgersi alla nazione in caso di palese violazione del dettato costituzionale. Violazioni che, almeno sul terreno squisitamente politico, si sono già abbondantemente palesate. Basti pensare all’ innaturale maggioranza che oggi governa il Paese. E che lo governa con un presidente del consiglio che – totalmente privo di esperienza politica – è chiamato dalla Costituzione a dirigere la politica generale dell’ esecutivo e ad esserne, per giunta, responsabile. Quando ci è stato spiegato, fino alla noia, che le due forze politiche non si sono alleate, non intendono – quindi – lavorare a un progetto comune di società ma hanno stipulato un privatissimo ‘ contratto di governo ‘ che l’ impolitico professor Conte è chiamato solo ad eseguire. Evitando slanci creativi che non gli sono richiesti e che potrebbero rivelarsi controproducenti. Davanti a questo ben di Dio di vulnera alla nostra Carta, fa bene la prof.ssa Carlassare a ricordarci che il Presidente della Repubblica è un organo di garanzia e non di indirizzo politico. Immagino che l’ illustre docente conosca il Mattarella politico e il Mattarella giudice costituzionale e che sia serena sul fatto che a questo governo è stato solo impedito di…farla troppo grossa. Così come immagino che la prof.ssa Carlassare sappia bene che i limiti costituzionali all’ esercizio della sovranità popolare sono tanti e non si limitano, certo, a privilegiare il risparmio dei cittadini italiani. L’ emergenza da spread ha suggerito al Presidente di enfatizzare quel tema ma dietro il veto, il saggissimo veto all’ arroganza dei due giovanotti ( non certo alle competenze del prof.Savona ) , c’è tutta la preoccupazione che un Capo dello Stato degno del suo ruolo non può non avvertire davanti a chi ha dichiarato tutta la propria ostilità alla democrazia rappresentativa e all’ indipendenza di giudizio dei parlamentari. Per essere preoccupati sul fronte della tenuta democratica e della fedeltà al dettato costituzionale , non occorre – insomma – neppure scomodare l’ euroscetticismo dei nuovi governanti. Mi consenta, quindi, la prof.ssa Carlassare di dirmi assai sorpreso delle sue riserve sull’ operato del Presidente Mattarella.
Giovanni De Stefanis, LeG Napoli
La prof.ssa Carlassare osserva che il capo dello stato non è organo di indirizzo politico, ma solo organo di garanzia.
Ma l’art. 95 della costituzione dispone che il capo del governo “mantiene” l’unità di indirizzo politico e amministrativo … Dunque, neppure il capo del governo è organo di indirizzo politico.
In teoria, l’organo di indirizzo politico dovrebbe essere il parlamento, ma non è mai accaduto che se ne sia fatto carico.
Propenderei, pertanto, che il concetto di indirizzo politico vada ricercato nel contesto della costituzione, con riferimento ai principi e valori posti a suo fondamento.
Rientra in tal modo nelle prerogative del capo dello stato, quale organo di garanzia, quella di garantire che il programma di governo sia perfettamente in linea con l’unità di indirizzo politico stabilito nella costituzione.
Totalmente d’accordo con Giovanni De Stefanis. Aggiungo che l’andamento della trattativa Salvini-Di Maio ha di fatto cancellato la legge 400/1988.
A margine del commento del sig. Pischedda vorrei aggiungere una breve considerazione sul principio della divisione dei poteri e, in particolare, sulla distinzione tra funzione legislativa ( che spetta al Parlamento ) e funzione esecutiva ( che spetta al Governo ). In ossequio all’ art.94 della Costituzione , le due Camere sono state chiamate ad approvare o meno le linee programmatiche del Governo, l’ indirizzo politico – appunto – che il nascente esecutivo intende perseguire. Non tutto il Parlamento, naturalmente, ha dato la fiducia ma solo la maggioranza di cui il Governo è espressione. Annotazione banale, se vogliamo, ma che ne introduce un’altra molto meno ovvia e ricca di implicazioni importanti dal punto di vista del regolare svolgersi delle dinamiche democratiche. Il Governo è espressione della maggioranza – appunto – ma non si identifica con essa, proprio perché la maggioranza – formata anch’essa ( al pari dell’opposizione ) da parlamentari che …dovrebbero ‘ rappresentare la Nazione e esercitare le loro funzioni ( di legislatori ) senza vincolo di mandato ‘ (art.67 ) è chiamata quotidianamente – al pari dell’ opposizione – a monitorare l’ operato del ‘ suo ‘ Governo, a controllare – cioè – che la ‘ fiducia ‘ appena conferitagli non sia tradita in futuro. In questo senso possiamo dire che anche il Parlamento svolge – nell’ esercizio della sua funzione legislativa – un ruolo di ‘ garanzia ‘ e, allo stesso tempo, di ‘ indirizzo politico ‘. E di questo , personalmente, non mi scandalizzo. Anzi, lo giudico un segno di vitalità della dialettica democratica. Così come non mi scandalizzo che il Parlamento possa delegare al Governo l’ esercizio della funzione legislativa (art.76,Cost.) purchè ciò avvenga “ con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti “. Una democrazia rappresentativa, insomma, vive di queste apparenti ‘ invasioni di campo ‘ che – se avvengono nello spirito della collaborazione solidale e armoniosa auspicata dai costituenti – servono a dare una legittimazione ancora maggiore alle diverse Istituzioni dello Stato e a stimolare una partecipazione più matura, più responsabile, da parte dei cittadini.
Giovanni De Stefanis, Leg Napoli