Arrabbiata a 15 anni/Lasciatemi urlare contro l’ Italia

07 Mag 2018

Cara Italia, questo è un urlo di rabbia. E mentre ti scrivo le lacrime mi offuscano la vista e mi rigano le guance rosee perché la rabbia, la sofferenza e la delusione portano a questo. Delusione. Bella parola, vero?

Beh, tu sei questo per me, delusione.
Ed anche mediocrità. Perché forse questa mia lettera verrà letta da qualcuno e quel qualcuno forse dirà che ho ragione, ma in realtà i suoi atteggiamenti e i suoi gesti saranno proprio quelli che criticherò. Sto esagerando?

Non credo. Ormai dovrei averci fatto l’ abitudine alla merda che riservi tu, Italia, alle persone come me. Alle persone che si impegnano, che danno il massimo, che fanno più di quanto dovrebbero, che fanno le cose con onestà. Tu gli riservi questo: merda.

Merda piatta e costante. Questo. Ogni giorno, ogni volta. E quando cercano di dare ancora di più, di superare i loro limiti, tu gli riservi altra merda. Ma quella persona continua, continua e cerca di superare gli ostacoli, cerca di saltare, ma ogni volta tu, Italia, li alzi di poco, quel giusto che basta per far cadere di nuovo. E poi fai l’ indifferente, come se la cosa non ti riguardasse, ti metti a guardare da lontano come la carta da parati. E fai sentire uno schifo quelle persone, che dentro di sé bruciano perché i loro numerosi sforzi non sono serviti a niente. Non servono a niente. Perché qui, ora, Italia tu sei proprio così. Fai andare avanti, lasci la strada appiattita e spianata a chi non ha mai fatto niente per te, a chi non si è mai impegnato e mai lo farà.

Ma perché dovrebbe farlo, se tu gli dai tutto con il minimo dello sforzo?
Per te le persone che valgono sono da temere, da buttare via, da mettere da parte. Allora cara Italia, non ti stupire se queste persone un giorno di abbandoneranno, ti volteranno le spalle e andranno via. Andranno in un luogo in cui essere onesti è parola d’ordine. È legge. Perché qui in Italia di leggi ce ne sono tante. Ma non servono a niente. A un cazzo. Ecco a cosa servono. A un cazzo. Perché le regole ci sono, sono tante e forse alcune sono anche giuste, ma nessuna, nessuna, viene messa in atto. Anzi ci sono le persone che le rispettano, ma queste vengono messe da parte e buttate giù proprio dall’autore di quelle regole: sempre tu, Italia.

Alle elementari essere più piccoli di un anno era un biglietto d’ingresso al regno di quelli considerati stupidi perché non abbastanza grandi per capire certi argomenti. E tua madre cerca di calmarti, di dirti che tutto passerà un giorno e tu ci credi perché sei ancora piccolo e non hai ancora visto il mondo.

Allora continui ad andare a scuola e te ne freghi.
Poi iniziano le medie. Sono merdose come te, Italia. Lì l’età non conta più.
No, lì non conta essere più grande o più piccolo. Lì conta essere fighi. Fare i fighi. Lì conta che non studi, che fai parte di un gruppo e che non hai un pensiero libero. Una voce fuori dal coro stona e viene fischiata. Un coro in sincronia e omologato viene applaudito. Sì alle medie il tuo pensiero non conta nulla né per i tuoi compagni né per i professori. Quei mitici prof che parlano tanto del bullismo, che fanno i discorsi su come possa fare del male ai ragazzi, di come possa distruggerli, ma poi se hanno un esempio di bullismo di fronte ai loro occhi ogni giorno se ne fregano. Quegli stessi prof che dicono di non essere omertosi sono i primi a comportarsi in quel modo. E tua madre ti dice che prima o poi i nodi verranno al pettine e tu non ci credi del tutto, ma vai avanti perché in fondo le medie durano solo tre anni.

Inizi le superiori. Ti senti carico. Dai che da quest’anno sarà tutto diverso.
Nuova scuola, nuova vita, nuova testa, un nuovo inizio. Non è vero un cazzo.
Non cambia niente, forse peggiora. I tuoi compagni non ti prendono più in giro perché il bulletto della situazione alle tue risposte pronte e “apparentemente” indifferenti ha paura e se ne va. Quindi niente bulli. Beh, allora cosa vuoi da me? Ti starai chiedendo. Beh, sì: niente bulli, ma l’indifferenza c’è ancora e non è solo quella degli alunni. I prof vedono lo schifo che c’ è dietro ogni compito in classe, vedono le persone che si organizzano a copiare, vedono i compiti che con un semplice click escono dalla classe, vengono fatti da quelli più grandi e poi rientrano. Vedono anche che solo una persona o due al massimo studia e si impegna veramente.

Ma sembra quasi che quella persona gli dia fastidio. E così quelli che passano il pomeriggio a cazzeggiare vanno avanti e quelli che passano ore a studiare, a fare il proprio dovere, che si impegnano, che sono intelligenti (non i nerd della situazione) vengono calpestati. E mamma ti dice di non preoccuparti perché tra quattro anni sarai via da te, via dall’Italia. Ti dice che prima o poi vedrai il cadavere del tuo nemico passarti davanti. Tu devi solo aspettare e avere pazienza. Ma questa volta non le credi più. Perché ormai sai come funzionano le cose.

Sai che tu, Italia, non cambierai mai.
Sai che tu, persona che vali, in realtà per questo luogo, per questo contesto, per questa mentalità, per queste montagne, mari, venti, non vali proprio un cazzo. Anzi in realtà sanno che vali. Ma non gli frega. Fanno finta di niente. Ti spingono, ti fanno lo sgambetto e cercano di farti cadere. E tu ripetutamente cadi e sbatti la testa, ma sei forte e il colpo non è mortale.
Poi dopo l’infinitesima volta, vorresti che lo fosse.

“Quello che non ti uccide ti fortifica” mi dirai. Beh, io ora sono più che forte. Ma sono arrabbiata. Molto arrabbiata. Tu Italia non meriti me e le persone come me. Non meriti di essere salvata. Meriti di cadere in una crisi che ti faccia perdere tutto, perfino la dignità. Meriti di provare tutto il dolore che ci hai fatto provare a noi, a noi quattro persone che ci impegniamo e diamo il massimo per te. Ma tu ora non meriti più il nostro massimo. Lo meritano altri paesi. Lo meritano il Canada, l’Olanda, la Francia, la Cina. Sì, anche la Cina che tu critichi perché il ‘Made in Italy’ non si batte. Beh, ti dico una cosa Italia. il ‘Made in Italy’ è finito quando tu hai deciso facendo andare via le persone che lo creavano. Le hai fatte fuggire. Le hai fatte andare in Cina, con il ‘Made in China’. Almeno lontane da te le persone che valgono riescono ad emergere Cara Italia, Tu mi hai rovinato l’adolescenza. Quell’età che per tutti è la più bella e spensierata me l’hai trasformata in una merda. Quindi grazie. Grazie per la tua merda. Grazie per il tempo che hai sprecato a farmi cadere. Grazie per tutto l’ impegno pagato con parole vuote ed inutili, con messaggi di speranza che in realtà sono solo messaggi di presa per il culo. Grazie per la felicità negata e la rabbia raggiunta. Grazie per la delusione che mi hai creato nel cuore e nella mente.

Ecco cosa sei diventata Italia: delusione, mediocrità, indifferenza, omertà, cattiveria.
Tra qualche anno sentirai un grido. Sarà il mio. Ma invece di essere un grido di disperazione come quello che mi stai facendo dare ogni giorno ora, sarà un grido di felicità, di pace raggiunta. Perché avrò realizzato i miei sogni senza neanche un aiuto e li avrò realizzati in un altro luogo, in un luogo dove la diversità e l’impegno sono parole chiave, dove l’onestà viene apprezzata. E tu starai lì a guardare e forse, finalmente, calorosamente ti sentirai male. Capirai tutte le cazzate che hai fatto ed inizierai a piangerti addosso. Ma ormai sarà troppo tardi.

Quindi, cara Italia, Vaffanculo. Con affetto.

Il Fatto Quotidiano, 6 maggio 2018

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