La Santa Bibiana di Bernini mutilata durante il trasloco

01 Mag 2018

Tomaso Montanari

La Santa Bibiana di Gian Lorenzo Bernini, uno dei capolavori del primo Barocco, è stata mutilata.

Ha perso un dito della mano destra: una mano che rappresenta, o forse ormai dobbiamo dire rappresentava, uno dei vertici della scultura italiana. Un danno, per intenderci, incomparabilmente più grave di quelli recentemente inflitti a due altre opere berniniane, la Barcaccia di Piazza di Spagna e l’ Elefantino della Minerva.
A scoprire la clamorosa rottura è stato, venerdì scorso, Giovan Battista Fidanza, ordinario di Storia dell’ arte moderna presso l’ Università di Roma Tor Vergata, in occasione di un suo seminario nella chiesa romana di Santa Bibiana che conserva, sull’altar maggiore, la statua. Turbato da questa vista del tutto inaspettata, il professor Fidanza e i suoi studenti ne hanno chiesto conto al parroco, padre Augusto Frateschi dei Figli della Sacra Famiglia, il quale ha rivelato che si è trattato di un danno subìto durante la ricollocazione dell’ opera, che è recentemente tornata nella sua posizione dopo essere stata esposta alla mostra su Bernini della Galleria Borghese (1° novembre 2017 – 4 febbraio 2018).

L’opera aveva lasciato la chiesa in settembre, per essere restaurata alla Borghese, in un cantiere aperto al pubblico della “CBC Conservazione Beni Culturali Società Cooperativa”. Il sito del museo esibisce le fotografie dello spostamento dell’ opera dall’ altare, quelle della sua collocazione in mostra e anche un bello scatto con il marmo berniniano in compagnia di Sophia Loren e dell’ ambasciatore del Messico. In ciascuna di queste foto, la Santa Bibiana ha ancora tutte le sue meravigliose dita: come ha potuto, del resto, constatare chiunque abbia visitato la mostra. Il disastro deve dunque essere avvenuto dopo: probabilmente proprio durante la ricollocazione che avrebbe dovuto «restituire all’opera la piena integrità conservativa e godibilità estetica» (sono parole del sito della Borghese, che non pubblica foto del ricollocamento).

Appare sconcertante che né il Vicariato di Roma o la parrocchia (proprietari dell’ opera), né il Ministero per i Beni Culturali, né le imprese che hanno restaurato e movimentato l’opera abbiano dato notizia di un danno così grave. E oggi le domande riguardano non solo le esatte circostanze e le precise responsabilità della rottura, ma anche lo stato dell’ anulare perduto (è intero, è in frammenti, è conservato?) e le prospettive del necessario restauro.

Per capire la gravità di quanto è accaduto basta leggere un passaggio della scheda che il professor Andrea Bacchi ha dedicato all’ opera nel catalogo della mostra che ha, indirettamente, provocato il danno: «le dita della mano destra, allargate e sospese in aria, sono un vero e proprio miracolo tecnico, e fanno tornare alla mente le parole di Baccio Bandinelli che in una lettera. .. a proposito dell’ Eva che aveva scolpito per Santa Maria del Fiore. .. scriveva: “perch’ io ho traforato in modo che le dita di tutte le mane restano in aria come le proprie vive, che pare a ogni uomo cosa difficilissima”». Un altro celebre esempio di un simile ardimento è nel Ratto della Sabina di Giambologna, imitato proprio nel particolare della mano alzata nel Ratto di Proserpina dello stesso Bernini, oggi pure alla Galleria Borghese. Ebbene, oggi il «miracolo tecnico» della mano di Bibiana, quello «sfoggio di virtuosismo» (è sempre Bacchi) è perduto per sempre: e nessun restauro potrà renderci quella sovrumana forma di marmo la cui caratteristica fondamentale era proprio l’integrità materiale.

Tutto questo non è stato distrutto da un branco di hooligans ubriachi, o da un terremoto, ma da un eccesso scriteriato di “valorizzazione” e dall’industria inarrestabile delle “grandi mostre”. La scelta di spostare Bibiana da una nicchia dove l’avevano collocata le mani stesse del giovanissimo Bernini. e dalla quale nessuno aveva poi osato cavarla, è apparsa subito temeraria. Nell’allestimento della Borghese la Santa Bibiana galleggiava senza un perché, avendo perso il suo legame con il microcosmo della chiesa, che è l’unico a poterle dare il suo senso compiuto. Nel marzo del 1624 il ritrovamento del corpo di santa Bibiana aveva persuaso Urbano VIII a ricostruire l’ antico sacello dedicato a questa martire romana vissuta nel IV secolo. Bernini, ancora impegnato con l’Apollo e Dafne, ebbe così il suo primo incarico architettonico, e insieme si vide commissionare la statua da porre come pala al centro della nicchia che sovrasta l’altar maggiore. Egli trasformò lo spazio sacro nel palcoscenico di una rappresentazione il cui intreccio avvince gli spettatori. 

Bibiana non è un’icona da pregare, ma il personaggio di una narrazione complessa. Ella è rappresentata nell’attimo precedente al martirio, mentre, appoggiata alla colonna sulla quale sarà flagellata (e che era conservata come reliquia nella stessa chiesa), alza estaticamente lo sguardo verso il Dio Padre che, affrescato sulla volta del presbiterio, galleggia sul mare di luce che entra dalla grande finestra termale che lo separa dalla scultura sottostante. Bibiana non è sola: grazie al pennello di Agostino Ciampelli e di Pietro da Cortona sulle pareti della chiesa la scortano i suoi familiari, ora impegnati in storie di martirio, ora dipinti come statue vive e colorate ospitate in nicchie incorniciate da festoni di frutta. È in questa piccola chiesa – un tempo campestre, oggi soffocata dai binari che sfociano alla Stazione Termini – che, alla metà degli anni venti del Seicento, Bernini e Pietro da Cortona battezzarono ufficialmente il Barocco e la sua poesia sacra. Aver separato la meravigliosa Bibiana di marmo da questo intreccio di forme e di significati ha fatto rompere l’incantesimo di Bernini. E, purtroppo, non solo quello.

 

La Repubblica, 01 maggio 2018

 

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