Il paziente non è urgente, quindi può anche morire

26 Mar 2018

Francesco Pallante

Pur essendo gravemente sottofinanziata rispetto ai Paesi a noi paragonabili (andiamo verso il 6,5% del Pil, contro una quota intorno al 10% di Francia, Germania, Regno Unito, per non dire dei Paesi scandinavi), la sanità italiana è a tutt’ oggi una delle migliori del mondo. Non mancano, tuttavia, criticità: l’ inaccettabile divario tra Sistemi sanitari regionali (Ssr); la tendenziale privatizzazione di rilevanti settori (odontoiatria e oculistica su tutti) con la connessa crescente privatizzazione della spesa (oramai un quarto del totale); l’ abuso dei farmaci di marca a discapito di quelli generici; la carenza di personale; l’ insufficienza dei posti letto; i tempi d’ attesa; la vetustà delle strutture. Tra tutte queste criticità, una ha acquisito urgenza: l’ abbandono della categoria dei malati non autosufficienti. Le regioni reagiscono con strategie diverse nel contenuto, ma omogenee nelle conseguenze: procrastinare il più possibile la presa in carico del malato non autosufficiente, scaricando l’ onere dell’ assistenza sanitaria sulle famiglie.

Esemplare il caso della Regione Piemonte, che ha realizzato, attraverso alcune delibere della Giunta regionale (approvate dal centrodestra e poi fatte proprie dall’ attuale centrosinistra), un sistema nel quale a nessun malato non autosufficiente è assicurata l’ immediata presa in carico da parte del Servizio sanitario regionale. Fulcro del sistema è l’ Unità di valutazione geriatrica (Uvg), alla quale il malato è inviato dal medico di base che ne ha certificato la condizione di malattia. All’ Uvg è rimessa una seconda valutazione, articolata in due profili: sanitario e l’ altro sociale. L’ esito di tale ulteriore valutazione può condurre all’ inserimento del malato in una delle seguenti categorie: quella dei “differibili”, quella dei “non urgenti” o quella degli “urgenti”. Per i primi (“differibili”) non è previsto un tempo di risposta, ma solo un monitoraggio periodico; per i secondi (“non urgenti”) è previsto un tempo di risposta di un anno dalla valutazione; per i terzi (“urgenti”) è previsto un tempo di risposta di 90 giorni dalla valutazione. Colpisce che anche nei casi certificati come maggiormente gravi (malati totalmente dipendenti, indigenti e privi di una rete sociale di sostegno) non vi sia alcuna garanzia che la presa in carico avvenga in tempi adeguati.

Per un verso, il Servizio sanitario regionale certifica la condizione di malattia, per altro verso, si astiene dal porre in essere le necessarie prestazioni sanitarie. Si è così prodotta una sterminata lista di persone (almeno 30.000) che, nell’ attesa di ricevere le cure cui avrebbero costituzionalmente diritto, restano a carico della famiglia, con tutto l’ impegno economico, emotivo e temporale che ciò comporta. L’ unica reale possibilità di accesso alle cure sanitarie è quella che passa per la via del Pronto soccorso e della successiva ospedalizzazione. Anche in questi casi le pressioni per le dimissioni sono formidabili (l’ occupazione di un letto d’ ospedale ha un costo stimabile in 500 euro al giorno) e solo lo strumento della lettera di opposizione riesce, per il momento, a far desistere le direzioni sanitarie dal procedere.

Per concretizzare, facciamo riferimento al recente caso di un paziente piemontese, il Signor A.L. Ricoverato in ospedale nel dicembre scorso, queste sono le condizioni in cui versa il 16 gennaio: “Scadute condizioni generali, deglutisce con difficoltà, non parla più, difficile valutare il suo orientamento spazio temporale. Politraumatizzato: frattura in seguito a caduta dalle scale della 1ª, 2ª, 3ª costola, della clavicola e della milza. Ha il morbo di Parkinson, ha avuto la tubercolosi, ha la broncopneumopatia ostruttiva cronica e soffre di patologia neuromuscolare/neurovegetativa. Ha una piaga da decubito del 1° stadio in zona sacrale”. A fronte di un primo tentativo di dimissione, respinto con lettera di opposizione, i familiari attivano il 19 gennaio la valutazione dell’ Uvg, chiedendo la prosecuzione delle cure presso una Residenza sanitaria assistenziale (Rsa), pur consapevoli che la retta sarebbe stata a loro carico per il 50% e a carico del Servizio sanitario regionale per il resto. L’ Uvg risponde il 6 febbraio disponendo l’ inserimento in Rsa e assegnando la qualifica di “non urgente”: vale a dire rinviando ogni risposta attuativa a un’ ulteriore valutazione da ripetersi l’ anno successivo! Intanto i familiari devono opporsi a un nuovo tentativo di dimissioni.

Appena otto giorni dopo la decisione dell’ Uvg, il 14 febbraio il Signor A.L., “non urgente”, è morto. Questa è la condizione in cui versano decine di migliaia di malati non autosufficienti nella Regione Piemonte e nel resto d’ Italia. Invitato a prendere parte a una seduta speciale del Consiglio comunale di Torino dedicata al problema della non autosufficienza, l’ Assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Antonio Saitta, ha replicato: “Non è mia consuetudine aderire alle richieste di presenziare a sedute di Consigli comunali sui temi di natura sanitaria; sono certo che ben comprenderà la mia impossibilità di garantire la presenza nei 1.197 Comuni del nostro Piemonte e non voglio privilegiarne uno a discapito di altri”. Come se il peso demografico del Comune di Torino non avesse alcun rilievo. E, soprattutto, come se l’ articolo 32 della Costituzione non sancisse che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’ individuo”.

 

Il Fatto Quotidiano, 23 marzo 2018

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