L’AVENTINO SUICIDA DEL PD E LE RESPONSABILITÀ POLITICHE DELLA SCONFITTA

19 Mar 2018

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Non so quanto le nostre opinioni siano rilevanti per i politici dai quali dipende il nostro futuro politico prossimo (di qui alle prossime elezioni). Forse questo nostro mestare nell’opinione pubblica è per loro un rumore fastidioso, il ronzio di una zanzara da scacciare. Il mio ronzio non vuole essere né una rampogna né una prece. Il PD faccia quel che crede. Vorrei invece provare a ragionare con prudenza, mettendomi nei panni di quei politici ai quali mi rivolgo, e vedere se è nel loro interesse tenere questa rigida auto-esclusione.

Il PD ha varie anime e due correnti quantificate. La sconfitta le ha tutte messe in azione, anche se si sforzano di dare al pubblico un’immagine unitaria. E le dimissioni annunciate e consumate a singhiozzo di Matteo Renzi hanno provocato addirittura un’unità nella solidarietà con lo sconfitto, il quale, dal canto suo, si guarda bene dal mantenere un profilo basso e umile e tiene in ricatto tutto il partito col mostrarsi pronto a mobilitare le truppe per un futuro soggetto politico.

Il macigno messo sul piatto della bilancia è proprio l’atteggiamento da tenere con il Movimento 5 Stelle – con il Movimento, cioè, che ha più pescato dall’elettorato del PD. La vicinanza, si sa, rende i contendenti nemici estremi. E l’inimicizia estrema si manifesta in questo caso con l’irrigidimento delle posizioni PD – mostrando i muscoli a quegli elettori che hanno cercato altrove (nel M5S) una radicalità che il PD non aveva, né ha mai voluto avere.

Estremisti ha denominato tutti coloro che si distanziavano dalla sua centro. E oggi è proprio il PD a sfoderare estremismo – non nei contenuti, ché quello sarebbe insostenibile alla dirigenza attuale, ma nell’atteggiamento o, come si dice, nella strategia. Sembra che i dirigenti passati e attuali del PD pensino che solo tenendo questo radicalismo potranno recuperare consensi – perché è evidente che, in questa condizione, le elezioni anticipate non si faranno attendere.

E’ probabilmente questo il calcolo della dirigenza PD, la sua strategia di intransigente aventinismo. Chi ha familiarità con il governo parlamentare sa, tuttavia, che questa roboante intransigenza non corrisponde completamente alla realtà, poiché non è solo il governo che deve essere varato, e non è solo la presidenza delle due Camere che deve essere eletta, ma anche le vice-presidenze e le commissioni. Dell’opposizione vi è comunque bisogno anche per andare a nuove elezioni subito! E anche se questa opposizione fa aria d’essere sdegnosa. Non è dunque proprio vero che resteranno sull’Aventino, poiché un qualche accordo lo devono fare. E allora, sarebbe preferibile uscire da questa non completamente sincera intransigenza e prendersi le responsabilità politiche della sconfitta.

Per chi sta al gioco democratico, perdere non consente di tirarsi fuori dal gioco. Si perde e si sta al gioco; si perde, e intanto si contribuisce a far funzionare le istituzioni. In questo consistono “le regole del gioco” democratico. Non solo nelle elezioni che si possono vincere e perdere, ma anche nel far funzionare le istituzioni nelle condizioni aperte dalle elezioni. Anche perché il PD ha una diretta e piena responsabilità nell’aver determinato la condizione di stallo nelle quali ci troviamo, poiché loro per primi hanno operato per avere questa legge elettorale, congegnata per bloccare il Movimento 5 Stelle, e nella speranza di dar vita ad un’alleanza (nobilitata come “Grande Coalizione”) con l’amico di Arcore.

 

 

www.micromega.net,  14 marzo 2018 

 

Ecco dunque la conclusione alla quale mi avvio: se davvero la dirigenza del PD pensa al modo migliore per recuperare consenso, questa non è la strada migliore e più prudente. E’ anzi un vero e proprio calcolo per il suicidio – poiché le elezioni anticipate indurranno molti elettori a trarre le dovute conseguenze: votare in masse per quel Movimento che viene ora trattato come un appestato, al cui tavolo i nobili democratici rifiutano di sedere.

 

È come se dicessero, con questo loro diniego, che gli elettori che hanno scelto i grillini sono italiani inferiori, non meritevoli neppure di essere presi in considerazione. Non si parla con chi non sa coniugare il congiuntivo. Questo è un atteggiamento inutilmente yuppie. Il passaporto per future sconfitte.

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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