No a legislature costituenti

14 Mar 2018

Tomaso Montanari

 

Ci risiamo già. A dieci giorni esatti dal voto spunta la prospettiva di una «legislatura costituente» che «segni la svolta della storia repubblicana». 

Il progetto è evidente: riportare le lancette dell’orologio politico a prima del 4 dicembre 2016: «è un grave errore politico pensare che la vittoria del No al referendum abbia voluto dire che le riforme non si faranno mai più. I motivi di quel No sono vari: chi era contrario nel merito, chi dava una valutazione politica, chi era contro Renzi. Ma una classe dirigente non può concepire di lasciare irrisolti i nodi di un sistema che non funziona, oggi più di prima».

Sono parole di una intervista rilasciata oggi al «Corriere della sera» da Dario Franceschini, che come ministro per i rapporti con il Parlamento del governo Letta firmò la riforma costituzionale che coincideva in grandissima parte con quella poi firmata dalla sua successora nel governo Renzi, Maria Elena Boschi.

E ora ci risiamo: si torna a proporre l’abolizione di una camera e una legge elettorale che assicuri la «governabilità». Non la revisione di un singolo punto, come previsto dall’articolo 138, ma una riforma così estesa da far chiamare (con una bestemmia istituzionale e politica) «costituente» questa legislatura. Una legislatura costituente avviata attraverso una legge elettorale palesemente incostituzionale come il Rosatellum: un capolavoro.

.Il revanscismo di Franceschini, e di un intero ceto politico ormai del tutto delegittimato, era largamente prevedibile. Il 29 dicembre scorso ho scritto (sul «Fatto quotidiano»): «E se nel prossimo Parlamento non riuscirà a formarsi una maggioranza, si creeranno le condizioni ideali per chi vorrà riprovare ad inalberare la bandiera equivoca della ‘governabilità’, additando nel parlamentarismo della Costituzione la causa di tutti i mali. Se aggiungiamo a questo dato di lunga durata l’intramontabile funzione delle riforme costituzionali come arma di distrazione di massa (utilissima a distogliere l’attenzione collettiva da povertà, disoccupazione, erosione dei diritti, corruzione politica) non si può escludere che un nuovo Nazareno nasca proprio su un nuovo accordo per l’ennesimo stravolgimento della Carta».

Non occorreva avere lo spirito profetico di Cassandra per conoscere la coazione a ripetere dei politicanti che hanno preso in ostaggio la res publica.

Libertà e Giustizia si rivolge oggi ai Comitati del No, e a tutte le associazioni e le forze sociali che hanno fermato la riforma Renzi-Boschi: è l’ora di riprendere la lotta.

E si rivolge alle forze parlamentari che si erano schierate contro quella riforma, a partire da quella più grande, il Movimento 5 Stelle: non vi prestate a questo gioco truccato che punta a ridurre lo spazio della democrazia e a salvare la più cinica e sgangherata nomenclatura della nostra storia politica.

Settant’anni fa, intervenendo in Assemblea Costituente il 22 dicembre 1947 – subito dopo il voto finale di approvazione della Carta – il presidente del Consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, pronunciò parole terribilmente chiare per il suo, e per i successivi esecutivi della Repubblica: «Il Governo ora, fatta la Costituzione, ha l’obbligo di attuarla e di farla applicare: ne prendiamo solenne impegno». Noi crediamo che quell’impegno sia sempre valido, e anzi urgente.

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Tomaso Montanari, presidente di Libertà e Giustizia

 

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