Giovedì mattina a scuola di mia figlia si è fatto un minuto di silenzio per Davide Astori. Una cosa bella. Alla fine di quel minuto è successa una cosa ancora più bella. Alcuni ragazzi hanno chiesto all’insegnante perché non si era fatta la stessa cosa per Idy Diene: «la sua morte, anzi il suo assassinio, non ci riguarda di meno», hanno detto. La risposta è stata che l’ordinanza del sindaco Nardella che proclamava il lutto cittadino in concomitanza dei funerali del capitano della Fiorentina invitava le scuole a osservare un minuto di silenzio. Su Diene, nulla: niente ordinanze, niente inviti. Niente lutto cittadino: chiesto da alcune delle opposizioni in Palazzo Vecchio. E negato.
Siamo razzisti? Riformulo. Per noi tutte le morti, e dunque tutte le vite, sono uguali?
La risposta sta sotto i nostri occhi. È stato esattamente venti anni fa che abbiamo scritto nel nostro ordinamento giuridico la possibilità di trattenere i destinatari di provvedimenti di espulsione in campi di concentramento chiamati pudicamente ‘Centri di permanenza temporanea e assistenza’. Lo abbiamo fatto non con la Bossi-Fini, ma con la Turco-Napolitano (a proposito di destra e ‘sinistra’): una decisione che un giurista moderato come Giuliano Amato ha definito «una sfida alla nostra coscienza e alla nostra stessa Costituzione». Riusciamo a convivere con quella decisione perché da qualche parte nella nostra coscienza è ormai scritto che non tutte le vite sono uguali. Non accetteremmo che così fossero trattati degli italiani. Diciamola tutta: dei bianchi. Le vite umane non pesano tutte allo stesso modo: basta guardare l’eco degli attentati dell’Isis, raccontati in modi incomparabilmente diversi a seconda che colpiscano in Occidente o ‘altrove’.
E così, nonostante quello che dice l’omicida, è forte la sensazione che anche la follia di chi decide di sparare al primo che incontra per strada faccia i conti con questo mostruoso ‘senso comune’: per decidere che, in fondo, sparare a un nero è il male minore.
Lo stesso senso comune che ci permette di continuare a fare serenamente il bagno nello stesso mare in cui affogano migliaia di persone: che evidentemente consideriamo, in fondo, Unpersonen, cioè non-persone. Un senso comune che va chiamato con il suo nome: e il suo terribile nome è ‘indifferenza’.
Per questo sarebbe stato importante proclamare il lutto cittadino anche per Idy Diene. Per questo è stato sconcertante il tweet di Nardella di lunedì scorso, in cui l’omicidio e i danni al decoro urbano erano messi sullo stesso piano, legati da un equivoco «ma».
Quel maledetto decoro urbano in nome del quale il ministro Minniti ha esteso alle città i Daspo dagli stadi, permettendo ai sindaci di allontanare chi, con la sua povertà, turba l’immagine dei nostri centri storici da cartolina.
Ma ‘decoro’ significa fare le cose giuste al momento e nel posto giusti. Oggi a Firenze la cosa giusta è manifestare in piazza, insieme alla comunità senegalese. Per dire che le vite e le morti sono tutte uguali. E che per essere in lutto Firenze non ha bisogno di un’ordinanza.
La Repubblica, 10 Marzo 2018
Testo, magnifico, che condivido dal più profondo del cuore
Si sarebbe dovuto manifestare anche quando un nero ha ammazzato tre cittadini inermi a Milano, a colpi di piccone. Almeno si pareggiavano i conti. O solo quando ammazzano un nero si parla di razzismo ?