L’onda lunga del disprezzo che affoga Scuola e Università

13 Feb 2018

Roberta De Monticelli Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Da cento a centonovanta scuole superiori italiane stanno già iniziando la “sperimentazione” per ridurre gli studi di un anno, a prescindere dal tipo di scuola di cui si tratta, dagli istituti professionali e tecnici (un tempo gloria di questo paese) ai licei (che ancora oggi, contro venti e maree, tengono alta la fama degli studenti universitari italiani all’estero). Su 100 istituti di scuola superiore, in effetti, 75 sono licei (fonte: “Il sole – 24 ore”, 9/01/2018). Ovunque, poi, è in funzione la cosiddetta Alternanza Scuola-Lavoro: e sempre a prescindere dal tipo di scuola di cui si tratta, per cui un’idea che per un Istituto Alberghiero o anche per un Istituto Tecnico può essere sensata, nel caso di un Liceo scientifico o classico, stando all’esperienza di chi scrive, si riduce per lo studente a impiegare alcune mattinate come ausilio-fotocopiatore, o a distribuire cartellette ai convegnisti, invece di leggersi Svevo o Kant, o fare un po’ di esercizio di logica o due equazioni, o andare a visitare una mostra con la prof. di Storia dell’Arte (al punto che, per evitare questo scempio del tempo più prezioso della vita, che non tornerà più, decisi con i miei colleghi di impiegare piuttosto questi ragazzi come fossero nostri studenti, con tutoring particolarmente diretti a loro, visita ed esercizio di utilizzo delle biblioteche, e delle risorse di ricerca online, e così via. Ma chi punirà chi ha decretato quello scempio?)

 

C’è una logica, a nostro parere perversa e di una piattezza sconfortante, che viene da lontano (il pensiero, se così lo si può chiamare, di un lontano ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer, o piuttosto dei pedagogisti suoi consiglieri). Una logica che tiene insieme non solo queste due iniziative che finiranno di demolire il sistema scolastico pubblico italiano (con l’aiuto, certo, di quei sindacati degli insegnanti che chiamano “deportazioni” i trasferimenti degli insegnanti da una città all’altra, dove ce ne è più bisogno) ma più in generale tutto l’aspetto di “aziendalizzazione” che è l’anima della riforma detta della “buona scuola”. E checché se ne pensi, è la stessa logica al ribasso, negatrice dei più elementari valori della conoscenza, della scienza, della ricerca, della critica, dell’autonomia morale, così come della responsabilità personale e dell’attenzione all’impegno e al merito – in una parola del pensiero umanistico – quella che ha ispirato (forse inopinatamente? Ma allora è ancora peggio!) l’incredibile uscita del Senatore Grasso, che come leader di una formazione politica “di sinistra”, ha proposto di “abolire le tasse universitarie”. Se cito anche quest’ultimo incubo, al momento soltanto simbolico a differenza dei primi che sono tutti in via di realizzazione, è perché, se per “sinistra” si intende la direzione ideale di un pensiero che voglia promuovere quelle pari opportunità che concretizzano, nel rispetto della libertà delle persone, la pari dignità e il pari diritto di ciascuno alla migliore realizzazione di sé, allora NESSUNA delle iniziative nominate è di sinistra, o progressista che dir si voglia: e sarebbe ancora il meno, visto che CIASCUNA di esse è a diverso titolo semplicemente lesiva del bene più prezioso di una società: la speranza che i suoi figli più giovani siano meglio – e non peggio! – di noi formati alle sfide sempre più difficili che le civiltà democratiche pongono ai loro cittadini – per non auto-sopprimersi.

 

Tanto per capire di cosa stiamo parlando, ascoltiamo le parole di Mariana Mazzuccato, Docente di Economia dell’innovazione e del valore pubblico all’University College di Londra, che però recentemente è stata è stata nominata special advisor per le “Mission Driven Science and Innovation” dal Commissario Europeo per la Ricerca e l’Innovazione, per intenderci il signore di bandi di ricerca europei. “Neanche a Eaton studiano filosofia e storia dell’arte bene come nelle scuole pubbliche italiane”. Mazzuccato rileva la potenzialità competitiva, a livello globale, dell’ideale formativo del liceo italiano, che la pochezza di recenti e attuali ministri sta finendo di distruggere. “Sul rapporto fra scuola e lavoro, credo che il punto non sia fare lavorare gli studenti in esperienze come McDonald’s, ma pensare a come rivalutare il liceo, che fornisce un curriculum di enorme qualità e di dissonante originalità rispetto agli standard internazionali”(“Il Sole-24 ore, 6 /2/2018). Se partiamo da qui, sembra suggerirci l’autrice, possiamo concepire un’idea del pubblico – e dello Stato, e delle Amministrazioni – ancora capace di suscitare fiducia e rispetto, questi beni quasi esauriti, nel cittadino. Ma è certamente troppo chiedere a una classe politica che non esita a mettere a capo del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca una sindacalista che fingeva in pubblico una laurea inesistente, e non fa una piega se il suo Ministro della Pubblica Amministrazione non sa che le citazioni in una tesi esigono virgolette e riferimenti, altrimenti sono copiature.

Nata a Pavia il 2 aprile 1952, è una filosofa italiana. Ha studiato alla Normale di Pisa, dove si è laureata nel 1976 con una tesi su Edmund Husserl.

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