Direttori stranieri nei grandi musei italiani? Una riforma che non regge

07 Feb 2018

Tomaso Montanari

Ieri (2 febbraio, ndr) la sua sesta sezione ha rinviato all’adunanza plenaria del Consiglio di Stato la decisione finale sui direttori stranieri dei grandi musei, nodo centrale della riforma Franceschini: è possibile o no affidare a chi non ha la cittadinanza italiana ruoli dirigenziali in istituzioni di rilevante interesse nazionale?

Dario Franceschini ha reagito chiedendosi, via twitter, «cosa penseranno nel mondo?», e concludendo che è «davvero difficile fare le riforme in Italia».

Ora, escludendo che il ministro volesse resuscitare il repertorio berlusconiano sulla giustizia politica, non si può che concludere che se una riforma non regge all’esame della giustizia amministrativa, significa semplicemente che è stata scritta male.

Dunque, non è difficile fare le riforme: è difficile farle senza competenza, senza dotarsi di collaboratori adeguati. È difficile farle se si cede alla tentazione della fretta e della politica dell’annuncio, o (peggio) se si è accecati da pregiudizi ideologici.

L’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi si vantò di aver fatto uscire il bando per i direttori non sui giornali italiani, ma sull’Economist: eppure le domande non provennero certo da affermati direttori di grandi musei, ma da figure di secondo o più spesso di terzo piano. Finì così perché era fin troppo evidente che il bando non era stato preceduto da una riforma organica e sostanziale: era chiaro che i direttori si sarebbero trovati a dirigere scatole vuote di risorse e di personale.

Ma allora perché si era scelto di procedere a rotta di collo e di privilegiare gli stranieri? Perché – in ossequio alle idee di Renzi, che aveva scritto che «soprintendente è la parola più brutta del vocabolario della burocrazia» – bisognava far piazza pulita di tutti i candidati interni al Ministero.

Vedremo cosa deciderà ora la plenaria del Consiglio di Stato, ma la questione esiste, e non soltanto sul piano giuridico, come ha dimostrato l’episodio clamoroso che ha visto il direttore degli Uffizi annunciare, a metà mandato, che se ne andrà a dirigere il Kunsthistorisches Museum di Vienna.

Non è, insomma, ovvio che si possano affidare a non italiani le «funzioni pubbliche» per cui la Costituzione indica che i cittadini che le ricoprono «hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge». Un nodo che bisognava affrontare e sciogliere, semmai, prima e non dopo il varo della riforma.

la Repubblica, 3 febbraio 2018 

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