La Repubblica che ricordo io

La Repubblica che ricordo io

Sono molto triste per tutto quello che succede a Repubblica.

Per una lunga parte della mia vita di giornalista è stata il mio posto di lavoro, di crescita democratica, di splendida libertà professionale. Anni tremendi per tutti: dal 1981 al 1994 a Repubblica. E dal 1996 al 2003 al Tirreno.

Conosco bene i protagonisti dello scontro attuale, la loro storia, ciò che li ha sempre visti d’accordo e le profonde differenze. Non prendo parte, non ci sono i sempre buoni e i sempre cattivi.

All’interno del giornale ho anche avuto un ruolo nel comitato di redazione. Il mio pensiero va ora ai colleghi che non ci sono più, che con il loro coraggio hanno reso Repubblica uno dei giornali più importanti del mondo.

Grazie a loro e grazie a chi ci ha permesso di essere sempre liberi. Vorrei che non finisse così, che potessi tornare con gioia ogni mattina a comprare e a leggere il giornale. Senza temere di esser presa dalla malinconia che da tempo invece mi prende.

1 commento

  • Avrei voluto da Bonsanti un commento un po’ più severo sulla deriva quantitativa: troppa carta e qualitativa: troppe voci (tutto e il contrario di tutto) della Repubblica di oggi e degli ultimi anni, e sulla sua trasformazione da giornale di idee a “pacco di carta”, illeggibile. Nessuno osa dirlo?

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