Centro studi Paolo Borsellino, un luogo per rielaborare il futuro

15 Gen 2018

Che bello rivederla in piedi! L’ ultima volta che l’ avevo vista, il 17 di luglio, stava su una carrozzina. Il sorriso di Rita Borsellino vale una primavera. Riceve tutti come una padrona di casa che apra per sempre le sue porte a stuoli di invitati. Ci sono microstorie che fanno la storia di una città. Tu non le vedi, ma loro scavano, e cambiano il mondo.

È esattamente il compito di questa mattina di sole di gennaio, in cui si apre il Centro studi Paolo Borsellino.
“Bene confiscato alla mafia” sta scritto sulla targa all’ ingresso del piccolo portico, chiuso in fondo da sei grandi sagome di cartone in piedi, quelle del giudice e degli agenti di scorta, ciascuno con il suo nome. Sotto, la scritta della targa si completa: “Patrimonio del Comune di Palermo. Progetto Casa della memoria operante”. Una piccola festa di popolo. Accanto a Rita c’ è il fratello Salvatore. Alcuni altri familiari di vittime: papà Agostino con la sua infinita barba bianca, Giovanni Impastato, il giudice Alfredo Morvillo, fratello di Francesca. E il sindaco Leoluca Orlando, felice e discreto davanti a Rita, visibilmente emozionato delle emozioni altrui. Era stata attesa per mesi l’ inaugurazione di questa casa aperta alle associazioni antimafia nel nome di una delle persone più care alla storia di Palermo. In via Bernini, quella in cui esattamente venticinque anni fa fu catturato Totò Riina, nel quartiere edificato dai “suoi” costruttori, i fratelli Sansone

Nella sua casa di allora c’ è la caserma dei carabinieri, dov’ era la sua stanza da letto c’ è ora la scrivania del capitano. La casa accanto è invece la sede dell’ ordine dei giornalisti. E quella accanto ancora, la grande villa con parco e piscina dei Sansone, è diventata il Centro studi Paolo Borsellino.

Uno straordinario contrappasso della storia. Rita spiega che la memoria serve non solo a ricordare ma anche a elaborare il futuro. E qui dentro si potrà studiare, conoscere, discutere; ritrovarsi per costruire nuovi pezzi di realtà sociale. Ci sono anche, una accanto all’ altra, tre ragazze che appaiono un inno alla semplicità della bellezza

Leggono alternandosi un loro testo sul tempo. Concetto strano. “Per un fisico una variabile”, “per un meteorologo una condizione”, “per due amanti l’ eternità”, “veramente immenso il tempo che ancora passiamo aspettando rispostee un giorno le otterremo, io ne sono sicura!”. Il testo si snoda commovente in mezzo alle persone che attorniano in piedi le tre giovanissime lettrici.

Rita dice “visto? Sono le nuove generazioni”, per subito aggiungere “sono le mie nipoti”, e in una frazione di secondo la sua felicità si fa, se possibile, ancora più luminosa. Mentre loro, nel testo che procede, ringraziano “la nostra nonna” che “ci ha dato la possibilità di conoscere senza aver vissuto”, “di emozionarci senza aver vissuto”.

Una signora invita a prendere le olive da una grande vasca in ceramica disposta sul tavolo accanto a un panettone. Ma da quando si mangiano le olive col panettone? ironizza uno. Queste sono le olive dell’ albero di via D’ Amelio, è la risposta, sentite quanto sono buone.

Ma il loro valore è più grande, insiste la signora. Rita aggiunge che quell’ albero solo quest’ anno ne ha fatti ottanta chili. Sembra di essere in una fiaba. Il sindaco Orlando spiega con orgoglio che è stato tutto realizzato direttamente dal Comune, senza nemmeno un appalto. “Ci accusano di essere un comune sovietico perché i grandi servizi li gestiamo direttamente. Ma non è colpa nostra se qui tutti i privati che li gestivano o hanno fallito o sono stati uccisi. Noi siamo il rimedio a un’ economia drogata. Non dovrà essere sempre così. Ora siamo in grado di fare le cose a tempo di record”.

Mostra al piano interrato una enorme porta blindata (“qui dentro non ci stava certo un’ immagine di san Francesco”), mostra un incredibile ascensore interno, pensato come via di fuga.

Spiega che ora il compito della città è di rendere questo cambiamento irreversibile. Fuori altri giovani danzano balli in costume siciliano. Alla fine una ragazza si distacca e corre tra le braccia di Rita.

Un abbraccio lungo, intenso, carnale. Rita ammette: “Anche lei è una mia nipote, ne ho sei, di nipoti femmine”. Nella folla in festa cerchereste invano un solo politico al di sopra del livello comunale. Ma Rita non se ne accorge. Meglio, non le importa. Ha la testa solo a un giudice gentile che tanti anni fa aveva la fissa della legalità e del fresco profumo di libertà.

Il Fatto Quotidiano, 8 Gennaio 2018

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