Non illudiamoci: ha perso Renzi più che vinto noi

05 Dic 2017

Cari amici di Libertà e Giustizia, vi invio qualche mia riflessione non potendo essere presente tra voi. Immagino che si rifletterà sul significato del referendum costituzionale di un anno fa. Dovremmo avere chiaro che la vittoria del NO fu dovuta dalla somma di ragioni diverse, in prospettiva anche incompatibili tra loro, pur se unite nel contrastare il disegno Renzi-Boschi.

A mio parere, importante è stato il lavoro di sensibilizzazione sul contenuto della riforma, sull’ insostenibilità tecnica di diverse sue parti e, particolarmente, sull’ idea politica che ne costituiva la ragione: un’ idea semplificatrice che sollevava molti dubbi e preoccupazione sugli sviluppi autocratici che avrebbero potuto seguire. Questo lavoro ha contribuito significativamente a motivare tanti cittadini che ormai, normalmente, disertano i seggi elettorali. Di questo lavoro e dei suoi risultati possiamo riconoscerci, per la nostra parte, il merito.

Tuttavia non dobbiamo esagerare. Esagerando correremmo il rischio di trascurare il motivo, a mio avviso, principale che ha determinato la sconfitta della proposta di modifica della Costituzione: il fatto che si sia votato meno sulla riforma e più sul progetto di “vittoria” di Renzi e del renzismo sui suoi avversari e nemici. Che ci sia stato un clamoroso errore di strategia da parte dei promotori della riforma, ormai è riconosciuto da tutti. Forse, si può andare oltre e pensare a una verità più profonda: le riforme costituzionali promosse dai governi, poiché si identificano con i governanti stessi o con il capo dei governanti, suscitano più ripulsa che consenso. E tanto più si gonfia il loro promotore, tanto più si sgonfiano le riforme.

Non ci dobbiamo illudere: in Italia c’ è un diffuso desiderio astratto dell’ uomo forte, ma c’ è un ancora più diffuso timore e perfino disprezzo o dileggio quando l’ uomo forte si propone di diventare concreto. Se questo è vero, è probabile che la riforma costituzionale sarebbe “passata” se dietro non si fosse materializzato il volto di Renzi e dei suoi che ne avrebbero fatto il trampolino per la presa duratura del potere nelle loro mani; se fosse stata una riforma tenuta a battesimo dal Parlamento e non dal governo, se fosse stata una riforma, per così dire, quatta quatta.

Del resto, anche la riforma Berlusconi fu bocciata per lo stesso motivo, mentre la riforma del centrosinistra del Titolo V della Costituzione passò al referendum, sia pure con maggioranza non larga, perché non serviva come trampolino di lancio di nessun capo politico. Se guardiamo retrospettivamente a ciò che è accaduto l’ anno scorso, rimaniamo stupiti di tanta stupidità.

Tuttavia, le riforme costituzionali sono tutt’ altro che archiviate. Già se ne propongono di nuove. LeG ha sempre sostenuto che i mali della politica nel nostro Paese si possono curare innanzitutto con la politica e che il tentativo di superarli agendo sulle istituzioni in nome di quella cosa ambigua e ingannevole che è la “governabilità” rappresenta una scorciatoia senza senso, oltre che pericolosa per la democrazia. Questo non significa affatto che le istituzioni non siano riformabili. Non abbiamo mai fatto nostro il vacuo motto della “Costituzione più bella del mondo”.

Perciò dobbiamo prepararci e avere le nostre proposte, sia per migliorare il sistema parlamentare, sia per prepararci ad affrontare le pulsioni presidenzialiste che certamente si manifesteranno dopo le elezioni: affrontarle per cercare di mantenerle nell’ alveo dei principi del costituzionalismo, qualora si manifestassero con forza vincente. Sia anche – aggiungo – per promuovere, come nostre e non come risposta a idee altrui, idee di uguaglianza nei diritti e nei doveri a favore dei più deboli, di protezione dei beni pubblici e dei beni comuni, e tante altre cose che sono racchiuse nelle nostre due parole: libertà e giustizia. Insomma: ci sarà molto da fare.

In breve: il referendum dell’ anno scorso è alle spalle e non è una garanzia per il futuro. Il futuro richiederà impegno rinnovato e non solo per dire di no. LeG è e deve restare una associazione di cultura politica che non pratica alcun collateralismo rispetto a partiti o movimenti. I suoi associati devono essere liberi di operare in politica secondo i propri orientamenti pratici, pur in conformità con gli ideali dell’ Associazione alla quale aderiscono. LeG deve fornire idee ed elaborazioni e non limitarsi a protestare, a denunciare, a fare appelli che per lo più cadono nel vuoto e ci attirano le critiche e spesso il sarcasmo di chi ci vede come i soliti astratti fustigatori che troppo comodamente e facilmente lanciano strali “contro” ed evitano di esporsi “per”.

Se avessi potuto essere presente, avrei sviluppato questi concetti ma voi avete certamente compreso che cosa voglio dire. Occorrono energie e le energie sono i giovani, soprattutto, a doverle fornire. Con le energie, la fantasia, le proposte, i contatti, anche le amicizie, la partecipazione a ciò che c’ è di vivo nella nostra società. Tanto più in un momento come è il nostro, in cui il Paese incomincia a essere percorso da pulsioni che non avremmo mai pensato di constatare così presenti e crescenti: l’ intolleranza, il razzismo e perfino il fascismo nemmeno in forme nuove, ma proprio in forme ricalcate sulle vecchie, squadrismo compreso. LeG dovrebbe e potrebbe essere, in base alla sua storia – purché non appiattita su un partito o un movimento -, un fattore di scossa contro l’indifferenza e un elemento di collegamento tra quanti avvertono il pericolo. Altrimenti, sarà destinata a sopravvivere nell’irrilevanza.

(*) Questa la lettera che Gustavo Zagrebelsky ha inviato all’ assemblea di Libertà e Giustizia, associazione di cui è stato fondatore e presidente, che si tiene oggi a Firenze a un anno quasi esatto dal referendum costituzionale.

 

Il Fatto Quotidiano, 3 dicembre 2017

 

 

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