L’incontro sul testamento biologico organizzato Circolo Bassa Val Cecina

03 Dic 2017

“Sei un eroe”: dal pubblico parte spontaneo l’applauso. Una giovane donna piange, qual-cun’altro cerca di nascondere le lacrime. È un moto di empatia verso un signore provato dalla vita, ma il dolore non è riuscito a spegnere la sua gentilezza. Parla compostamente, con passione. L’eroe è Beppino Englaro, un padre che ha lottato per 15 lunghi anni per dare la possibilità alla figlia in coma vegetativo di avere una morte dignitosa. E ora, a distanza di 8 anni dalla sua morte, continua in suo nome a girare l’Italia a sostegno della legge sul testamento biologico. «Io non sono un eroe. Informatevi, approfondite – dice con semplicità -: la mia battaglia per Eluana, una perla rara che io e mia moglie abbiamo avuto il privilegio di avere come figlia per 21 anni, è una battaglia per la vita, perché non debba esserci più una storia come quella di Eluana. Perché la vita è libertà di vivere, non condanna». Tantissima gente ha partecipato all’incontro con Englaro alle Creste, organizzato martedì dall’associazione Libertà e Giustizia, con l’Anpi e l’associazione Luca Coscioni. Englaro era accompagnato dall’ex senatore Marco Perduca, dell’associa-zione Coscioni.

Si parla di fine vita, della legge approvata dalla Camera e ora ferma al Senato in attesa di essere discussa. Che cosa dice la legge? Secondo Perduca, ex senatore Pd di provenienza radicale, non è ancora una legge ad hoc, ma un passo avanti «in un Paese che stenta a riconoscere l’autodeterminazione». Che pure ha ricevuto di recente anche un’apertura da parte di Papa Francesco.

La legge consente di indicare, attraverso il testamento biologico, i trattamenti sanitari che s’intende ricevere o a cui si vuole rinunciare, nel caso in cui non siamo più in grado di prendere decisioni autonome o di esprimerle chiaramente, per sopravvenuta incapacità.

E di testamento biologico si è parlato nell’incontro, spiegando che già da ora chi vuole può firmarlo nei Comuni – come quello di Rosignano – che lo hanno introdotto in attesa della legge.

Perché – hanno ricordato i relatori – il principio è proprio l’autodeterminazione, ovvero la libertà di scelta. Un diritto sancito dalla Costituzione, che la Cassazione ha ribadito proprio sul caso di Eluana Englaro. Una decisione che non è arrivata per caso, ma dopo una battaglia di 15 anni portata avanti da Beppino Englaro insieme ai radicali. «Mia figlia – ha ricordato Beppino – aveva detto chiaramente a me e a mia moglie, pochi mesi prima che un incidente la riducesse in coma, di non volere cure che ne profanassero il corpo. Lo aveva detto dopo aver visto un suo amico vittima di un inci-dente in motorino intubato con la Peg». Il signor Englaro chiede alla clinica in cui è ricoverata la figlia che si rispettino le sue volontà. Sono i primi anni Novanta: la risposta è no. Qualcuno si sorprende anche adesso che Beppino non abbia fatto come tanti che senza clamore, “clandestinamente”, chiedono di staccare le mac-chine a familiari malati senza ritorno. «Una volta chiesto – risponde Englaro – ero sotto i riflettori, non potevo più tornare indietro. Ma lo dovevo a mia figlia. È una battaglia di civiltà, di dignità, per me era così semplice da capire». Ma ci sono voluti 15 anni e tre gradi di giudizio: la sentenza della Cassazione, in favore dell’autodeterminazione del malato, o in sua vece del legale rappresentante, arriva solo nel 2007. E non basta. Il governo Berlusconi tenta di tutto per bloccare la sentenza della Cassazione. Ma la storia di Eluana è un caso che ha scosso le coscienze nel nostro Paese. La politica è arrivata dopo. Dal 2009, infatti, quando Eluana è morta, sono passati altri 8 anni e casi clamorosi, come quello di Welby, e la legge è ancora ferma al Senato. Eppure dai sondaggi, ricorda Perduca, «l’opinione pubblica è favorevole e matura anche per l’eutanasia».

Il Tirreno, 30 Novembre 2017

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