LA DEMOCRAZIA E L’ IDENTITÀ DELLA SINISTRA

12 Nov 2017

Nadia Urbinati Consiglio di Presidenza Libertà e Giustizia

Se ci chiedessimo se teniamo più alla democrazia o alla sinistra, dovremo rispondere alla democrazia. Per questa ragione teniamo alla sinistra. È il connubio tra queste due sorelle che deve stare a cuore a chi sente franare la terra sotto i piedi della sinistra, nel nostro paese e dovunque nell’Occidente. La ricostruzione della democrazia in Europa è stata opera del riformismo cristiano e socialdemocratico, non delle destre. Ci illuderemmo se pensassimo che il fascismo sia un anacronismo – forse lo è nelle forme arcaiche dell’ Italia agricola, ma non nelle idee e nelle aspirazioni, che restano anti- democratiche, anti-universaliste e faziose – convinti che lo Stato debba essere al servizio di una parte, quella identitaria e nazionalista. Questo era ed è ancora l’ ordine della gerarchia. La democrazia costituzionale è l’ opposto. E ha bisogno di una sinistra riformista. Dal 1945 questo è il paradigma, in Italia e in Europa.

Che ha funzionato non solo per una questione di maggioranza numerica. La sinistra aveva una base sociale chiaramente definita – una classe lavoratrice con i suoi possibili alleati sociali – da cui discendeva una visione non ambigua delle politiche da fare. Questa chiarezza di orizzonte non è nella sostanza cambiata. Perché è vero che le forme del lavoro sono cambiate, ma la composizione del potere sociale segue comunque la condizione del lavoro (e della sua assenza o precarietà); segue la condizione popolare, non quella della ricchezza.

L’eguaglianza e la giustizia sociale sono state sempre le gambe e le antenne della sinistra. Non sono principi astratti – sono principi regolativi che aiutano a leggere gli eventi e i fatti, a individuare che cosa poter volere ora, al fine di poter approntare altre decisioni domani.

Non ci sono due mondi: una società ideale che sta sopra le nostre teste, e dei politici che razzolano come possono, con l’ assunto che le cose del mondo vanno altrimenti. La sinistra democratica è pragmatica. E lo è perché adotta quei due principi come sue linee guide, e ragione “come se” la società che vuole debba essere giusta e solidale. Senza quel “come se”, senza i principi che guidano le scelte, la sinistra è un partito che vuole voti, e vaga lì o là come un calabrone per prenderli, senza una fisionomia riconoscibile. E sistematicamente perde.

Il “come se” non è poi cosí complicato da capire. Se vogliamo che la nostra società sia inclusiva e i cittadini abbiano eguale dignità dobbiamo volere una scuola pubblica che sia tale; e dobbiamo volere che sia buona per tutti i ragazzi e le ragazze, aperta e inclusiva a sua volta. La scuola pubblica è fondamentale per la democrazia, che non è governo dei sapienti, ma deve rendere i suoi cittadini alfabetizzati e acculturati, per il loro bene e quello di tutti. Non è un optional, e le ricette non sono infinite, né tutte compatibili. Il “come se” non è complicato da capire nemmeno quando si vuole che la Repubblica sia in grado di essere sempre dalla parte dei cittadini quando hanno bisogno di cure. Non è accettabile che una sinistra si arrenda al dio mammone e privatizzi progressivamente la sanità – con danni irreparabili, anche in termini di costi. E di qualità, perché basta andare negli Stati Uniti per comprendere il disastro della sanità privata.

Una sinistra pragmatica è piena di valori, non roboante e non populista, sa bene che senza un’ organizzazione partitica la sua politica non fa strada, anche se possono far strada alcuni politici. La personalizzazione della politica può far bene alla destra; fa malissimo alla sinistra (e forse, tra i problemi del Pd vi è proprio il suo statuto), che deve riuscire a conciliare la partecipazione con la delega, la leadership con il collettivo. Per questa ragione il partito deve essere una scuola di vita pubblica e di formazione politica. Senza questo, c’ è tanta audience televisiva e poca costruzione di consenso. E il “come se” non è capito.

L’ audience premia chi sa gridare contro e crea polemica; uno sport facilissimo, che non richiede studio, né alcuna prova. Queste personalità generano più polverone che politica. Sono lontane dalla realtà, incapaci di riflessione pragmatica. L’ audience basta a se stessa, e a loro.

Ma la sinistra che forma opinione deve prendere un cammino diverso, e ricostruire la sua cultura politica attraverso l’ incontro delle persone, in luoghi materiali e veri.

la Repubblica, 11 Novembre 2017

Politologa. Titolare della cattedra di scienze politiche alla Columbia University di New York. Come ricercatrice si occupa del pensiero democratico e liberale contemporaneo e delle teorie della sovranità e della rappresentanza politica. Collabora con i quotidiani L’Unità, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano e con Il Sole 24 Ore; dal 2019 collabora con il Corriere della Sera e con il settimanale Left.

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