Università, concorsi e la scuola di Alessandria non intitolata a Eco

20 Ott 2017

A proposito della parte “civile” dell’  Università  e per ricordare Umberto Eco in vita, un episodio, strappato al tempo. Intorno al 1970 si era liberata alla Statale di Milano la cattedra di Estetica, perché  il suo titolare, Gillo Dorfles,  era diventato ordinario a Cagliari, io stessa che avevo preso la tesi con lui, l’ avevo poi terminata e discussa con Enzo Paci.

Eco, già  autore di testi fondamentali, da ‘Opera aperta’ , 1962 a ‘La struttura assente’, 1968, passando per ‘Apocalittici e integrati’ del 1964 e molti altri, tra cui la sua tesi di laurea su ‘Il problema estetico in Tommaso d’ Aquino’, ovviamente avrebbe aspirato a quella cattedra, ma era tanto fondata l’ amara convinzione che la logica spartitoria fosse ineluttabile, che aveva ricacciato questo desiderio nel più profondo del suo cuore. La cattedra fu  assegnata a Formaggio e quindi a Zecchi.

In quegli stessi anni Eco stava preparando il primo Congresso Internazionale di Semiotica, a Milano, che nel progetto sarebbe stato  affiancato da una mostra d’ arte contemporanea, curata da Dorfles e da me al coordinamento; io mi precipitai, in quel periodo d’ oro per l’  arte d’ avanguardia, a richiedere opere come ‘Apoteosi di Omero’  di Giulio Paolini, e di Kounellis, Merz, Pomodoro, capolavori che avrebbero dato lustro anni dopo ai più importanti musei del mondo.

La Regione Lombardia ci accordò un modesto contributo, il Comune, invece, respinse la proposta. Dopo qualche riunione, avendo constatato che i soldi, ridotti a metà , non sarebbero mai bastati, neanche se avessimo tenuto al buio gli spazi della Triennale, allora fatiscente, illuminando solo le opere con dei fari secondo l’ unica soluzione che Vittorio Gregotti riusciva a intravedere per un allestimento a costi zero, ci rassegnammo infine a rinunciare alla mostra, mentre il Congresso si tenne in una sala  della Provincia.

Nell’ ascensore  del Comune ebbi un moto di stizza, un cenno di pianto, come i bambini quando si ribellano a un’ ingiustizia, questa volta compiuta nei confronti di tale autore e intellettuale. Eco mi guardò un istante, muto, e così conobbi anche il lato introverso, malinconico di quell’ ingegno strepitoso, che incantava noi, studenti sessantottini, quando, seduto su un marciapiede, ci recitava un intero canto di Omero o di Dante, trasmutandone all’ impronta le parole negli argomenti dell’ attualità , naturalmente nel rispetto rigoroso della metrica e delle rime.

 

 

(*) L’ autrice del testo è socia del Circolo LeG di Milano.

 

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