la Repubblica, 14 ottobre 2017«Per arginare il risentimento degli elettori, i candidati finiscono per rinforzarlo chiudendosi nel bunker ch’essi stessi hanno eretto a propria difesa. Che le elezioni servano a una classe politica per difendersi, e non per aprirsi, non è, però, cosa della democrazia.» (c.m.c.)
La maggior parte dei commentatori della legge elettorale in discussione in Parlamento assume come punto di vista le ragioni, buone o cattive che siano, dei partiti e di coloro che ne fanno parte. Ma, una legge elettorale deve essere considerata anche, anzi soprattutto, dalla parte degli elettori, i cui diritti mi paiono sottovalutati, per non dire ignorati. I cittadini, invece che come protagonisti di quel momento-clou della democrazia che sono le elezioni, sono trattati come pedine d’un gioco nelle mani di chi sta sulla loro testa. In democrazia, dovrebbe essere piuttosto il contrario. Si tratta di cose ovvie e il fatto che debbano essere dette indica di per sé che si è perso il contatto con la realtà.
In primo luogo, non qualunque legge elettorale è compatibile con il rispetto dell’elettore, ma solo la legge sufficientemente chiara da essergli facilmente comprensibile. Si deve sapere qual è il valore del proprio voto, cioè come verrà utilizzato nel procedimento elettorale che parte da lui e si conclude con l’assegnazione dei seggi in Parlamento. La storia dei sistemi elettorali in Italia è una storia di progressiva complicazione, giunta ora al punto dell’incomprensibilità.
È nata perfino una nuova figura professionale: quella degli esperti-tecnici di sistemi elettorali. Solo loro ne capiscono qualcosa e non sempre sono d’accordo su ciò che credono di avere capito. Ogni complicazione rispetto a idee chiare e semplici corrisponde all’interesse particolare di questo o di quel partito o gruppo politico, onde è facile concludere: tante complicazioni, altrettante manipolazioni. Oggi siamo arrivati a un vertice forse non più superabile. Si dirà: i sistemi elettorali, tutti, sono congegni complicati. Ma, c’è un limite che sarebbe bene non superare per evitare che i cittadini, quando vanno a votare, non sappiano quello che fanno, che siano marionette mosse da fili che nemmeno riescono a vedere e a comprendere. Esagerazione? Si vada agli articoli 77, 83 e 83 bis della legge ora approvata dalla Camera e si dica se si capisce qualcosa circa il computo e la valenza del voto per l’elezione dei candidati nelle due quote previste, la quota uninominale e quella proporzionale.
Il legislatore si è reso conto della perversione e ha pensato due cose. La prima è di affiancare “esperti” agli organi cui spettano lo scrutinio e la proclamazione dei risultati e degli eletti (questa, per la verità, non è cosa nuova, ma una conferma che sul legislatore elettorale le complicazioni esercitano un’irresistibile forza attrattiva). La seconda è di scrivere sulla scheda elettorale le “istruzioni per l’uso”. Così l’elettore, ricevuta la scheda, dovrebbe studiare prima di votare. Se ha dei dubbi, forse potrebbe interpellare il presidente del seggio. Il presidente del seggio, eventualmente, potrebbe voler sentire qualche parere, perché si tratta di cose importanti.
Basta immaginare che cosa potrebbe accadere per rendersi conto della ridicolaggine o, se si vuole, della presa in giro. Molti saranno scoraggiati dall’andare a votare, più di quanti già siano. La platea dei votanti, e con essa la democrazia, si sta contraendo a coloro che in qualche modo e per qualche ragione militano in un partito o in un movimento. Ma, le elezioni non dovrebbero essere solo per i “militanti”. Si diffonde così l’idea della politica come cosa riservata a una nuova oligarchia che degli interessi generali poco si cura, preferendo dedicarsi principalmente agli interessi suoi e a regolarli al proprio interno. A qualunque oligarchia e anche a questa, la partecipazione politica importa niente. Anzi, è un fastidio. Per questo la crescente diserzione dalle urne non suscita preoccupazione, non suona come un campanello d’allarme.
Ancora dal punto di vista dei diritti dell’elettore, un punto critico della legge è il voto unico che vale per due fini diversi. Il sistema elettorale è congegnato in modo tale da sommare una parte di eletti con un sistema uninominale maggioritario (il 36 per cento) con un’altra parte di eletti secondo un sistema proporzionale di lista (il 64 per cento). Per questa seconda parte, le liste dei candidati sono prestabilite dai partiti e sono bloccate, non esistendo il voto di preferenza. Qui s’innesta la polemica sui “nominati”, che continueranno a prosperare per i due terzi o, dicono alcuni, per il cento per cento, posto che anche i candidati nei collegi uninominali saranno necessariamente indicati dai partiti. Di questo si è discusso ampiamente e non è il caso di ritornarci su.
Invece da discutere è il meccanismo per cui l’elettore è chiamato a esprimere il suo unico voto per scegliere il candidato nel collegio uninominale e quel suo voto è calcolato anche per eleggere i candidati nelle liste proporzionali a lui collegate. Uninominale e proporzionale sono due sistemi basati su logiche addirittura opposte. Mescolarli significa di per sé fare confusione e adulterare artificiosamente la rappresentanza che può essere concepita o nell’un modo o nell’altro, ma non e nell’uno e nell’altro: le idee di giustizia elettorale sono incompatibili. Come può lo stesso voto valere la prima volta per un sistema e la seconda per il sistema opposto? Si dirà: anche in passato c’è stato questo mescolamento, con il sistema detto Mattarellum. Tuttavia, allora l’elettore disponeva di due voti, per l’una e per l’altra quota della rappresentanza. Oggi, egli può trovarsi nella contraddittoria posizione di volere eleggere il candidato maggioritario, ma di non voler contribuire a eleggere i candidati proporzionali della lista bloccata preconfezionata per lui (qualcuno direbbe: propinata) dal partito, oppure viceversa.
È un sistema tecnicamente bastardo che nell’uno o nell’altro caso coarta la libera volontà dell’elettore. Anche a questo proposito si vede con quanto poco rispetto i cittadini elettori siano considerati dal loro legislatore. Poiché più volte la Corte costituzionale in passato e con insistenza ha ritenuto illegittimi i sistemi di voto che coartano in questo modo la libera volontà dell’elettore, cioè i sistemi nei quali non è garantito il rapporto uno a uno, una scelta un voto, è facile di previsione che i dubbi d’incostituzionalità su questo punto tutt’altro che marginale siano difficilmente superabili.
Si poteva sperare che l’occasione della legge elettorale fosse colta per cercare di colmare l’enorme fossato che separa la maggioranza dei cittadini dalle espressioni della politica. Bisogna riconoscere che l’occasione è andata sprecata, che anzi ciò che abbiamo davanti agli occhi è l’allargamento del fossato. Che cosa ci dicono le piazze contrapposte al “palazzo”? Le prime ribollenti, il secondo che procede imperterrito come se niente fosse. Che cosa ci dice l’astensione già altissima che si preannuncia ancora più alta, a testimonianza di umori, questi sì, antipolitici perché intrisi di rabbia e di repulsione nei confronti di una politica sempre più, come si dice, “autoreferenziale”? C’è poco da consolarsi guardando all’astensionismo di altri Paesi: là c’è disinteresse ma qui c’è disprezzo. E dove tra i rappresentanti e i rappresentati c’è disistima diffusa, lì la democrazia è a rischio. Il coperchio può saltare da un momento all’altro e sprigionare energie di qualunque temibile natura. C’è qualcuno che seriamente si rende conto di questo pericolo?
Tra governanti e governati, quale che sia il sistema costituzionale, è sempre esistito un solco. È inevitabile. La dimensione, però, è variabile, e la democrazia non può permettersi che s’allarghi oltre misura. Oggi la misura è certamente già superata. Solo il fatto che vi sia un movimento che finora ha parlamentarizzato e quindi politicizzato lo scontento impedisce di vedere chiaramente quanto il solco sia largo e profondo. Per rendersene conto basterebbe ascoltare i discorsi che si fanno liberamente nelle strade e nelle piazze tra persone che, una volta, si sentivano parti d’una comunità politica e ora non più. Vogliono solo essere lasciati in pace. Con questo popolo dei diseredati della politica, i politici hanno progressivamente perso il contatto.
Per lo più, nel migliore dei casi, ascoltano quello che resta dei loro militanti e dei loro elettori e lì tra loro, ovviamente, trovano consolazioni. Ma, così, si condannano ad avere una visione distorta e tranquillizzante della realtà. Oppure, avvertono pericoli e s’inquietano. Ma, per arginare questo risentimento, invece di conoscerne e riconoscerne le ragioni, finiscono per rinforzarlo chiudendosi nel bunker ch’essi stessi hanno eretto a propria difesa. Tanti mezzi difensivi sono utilizzabili; tra questi anche le leggi elettorali. Che le elezioni servano a una classe politica per difendersi, e non per aprirsi, non è, però, cosa della democrazia.
la Repubblica, 14 ottobre 2017
S
UNA MUTAZIONE DA PAESE IN AFFANNO A PAESE IN PROGRESSO ?
Per allontanare la povertà !
(testimonianza proposta)
Mutare il Paese in affanno in un Paese civile ? Possibile, ma solo con tetimonianze ed idee provenienti dall’estero….
Perché gli Italiani non sanno la verità….spiacevole : qualcuno vi ha rubato diritti e futuro
Per avere certezza del Diritto, occupazione, servizi di qualità ai cittadini, per stoppare le emergenze frequenti, quali misure urgenti sono necessarie ?
Liberarsi degli imbrogli, corruzioni, incertezze, con quale programma ? Necessario divenire veri Europei !
Gestire il Paese all’italiana non funziona, perché ?
Quali i fattori negativi che straziano la società italiana da almeno 12 – 15 anni ?
Come arrestare gli Sprechi infiniti della gestione pubblica, generatori di tasse, per poter destinare i risparmi a servizi efficienti e alla realizzazione dei Diritti per ogni Italiano ? ?
Recessione accesa da un coacervo di fattori negativi. Quali essi sono ?
Mentre gli Italiani si divertono a discutere o litigare su destra e sinistra (in pratica su chi prende il potere), cosa han fatto i politici per scassare il sistema ?
Tutti i nodi negativi creati da 40 anni di vita sociale calamitosa, vengono al pettine. Perché cio’ succede solo in Italia ?
Quali sono i vizietti di nascita di cui occorre liberarsi per poter avere Progresso e Sviluppo ? Come si creano le condizioni per poter costruire una “open society”, che è la condizione necessaria per avere una economia florida ? (in pratica, come si fa a copiare i Tedeschi o i Brits ?).
Per quali motivi negli ultimi 12 anni è divenuto visibile il deragliamento di una società e nessuno lo ha arrestato ? Ci sono “colpevoli sociali” oppure è il Maligno che ci perseguita ? Nei prossimi anni il deragliamento continuerà perché la Commedia dell’Arte Politica continua, con divertimento dei sudditi (ve lo dice chi scappo’ dall’Italia inizi anni ’80). Allora, come invertire la tendenza ? La prima cosa da fare, se mettiamo occhiali europei, è ricominciare d’accapo, questa volta non all’italiana !
Il M5S ha dei begli obiettivi. Perché non riesce a raggiungerli ? Perché si fa mettere nel sacco dalla banda di malaffaristi che litiga in parlamento ? Perché il partito “Uomo Qualunque”, che aveva stessi obiettivi, falli ?
Strumenti che permettono ad una società di progredire, quali sono ?
Se è vero che il livello mentale degli Italiani è sceso in basso, come si fa a invertire la tendenza ? Quali sono gli strumenti necessari per avere un’economia florida ?
Cosa è la coscienza sociale nei Paesi europei a Nord ? A che serve e dove si puo’ comprare ?
Lo stato governa l’Italia, lo dicono i politici. E’ vero, oppure ci sono combriccole che operano di nascosto, fregando i cittadini ? Perché De Gasperi disse che “il parlamento it. è un circo” ? Perché Prezzolini scrisse che gli “Italiani sono un gregge di pecore anarchiche” ?
Le diagnosi sulla società italiana fatte da : Dante,…
Ho letto l’articolo dell’esimio costituzionalista Gustavo Zagrebelsky sulla nuova legge elettorale trovo molto giuste le sue tesi sulla sua incostituzionalità. Ma secondo me il danno che può procurare non si limita alla limitazione per l’elettore della piena libertà nella scelta del voto, perché questa scelta non fatta dagli astenuti o espressione di contraddizione per chi va votare si tradurrà in futuro nel perdurare nella società della divisione dei cittadini, in coloro che godono di tutti i diritti (o spesso di privilegi), in quelli che ne hanno conquistati alcuni e in chi ne è completamente privato. Secondo me il cittadino dovrebbe avere come primo diritto quello di contare nella società, perché solo chi non si vede negato questo diritto essenziale ed ha acquisito la capacità di valersene può contribuire veramente a realizzare la società del buon vivere. Molti fra i cittadini che si disinteressano della politica sono convinti che la politica non serve a niente, proprio perché hanno acquisito per conto proprio una gran parte dei diritti e sicuramente quelli essenziali a condurre una vita senza molti problemi: “lasciatemi in pace! a che serve!? Ho altro a cui pensare”. In questa tipologia di persone s’interessa di politica solo chi ha scoperto che ne può ricavare vantaggi e sceglie fra gli addetti coloro che quei vantaggi gli promettono. Molti altri si sono accorti che hanno contato, anzi meglio sono stati contati solo nel momento delle elezioni e dopo proprio per niente, perché non hanno il diritto di contare e non aspirano nemmeno ad averlo perché non ne sono stati resi capaci. Io voterei per una parte politica che esprimesse un programma che indicasse una modalità istituzionalizzata per far contare il cittadino e i passi successivi per la sua realizzazione.