IL REALISMO E’ IL BUON SENSO DELLE CAROGNE

IL REALISMO E’ IL BUON SENSO DELLE CAROGNE

Di fronte agli sfracelli umani che questa politica crea e giustifica con la veste del realismo vale la pena ricordare la definizione che ne dava George Bernanos: “Il realismo è il buon senso delle carogne”.

Un articoletto di Domenico Starnone su “Internazionale” mi ha dato le parole giuste per esprimere il profondo disagio che ho provato di fronte a quelle con cui, visetto angelico da prima della classe, Deborah Serrachiani, l’altra sera dalla Gruber, menava vanto (e con fierezza) del grande risultato ottenuto in materia di sbarchi, dopo gli accordi che il nostro governo ha instaurato con la Libia.

In sostanza diceva: “non possiamo accogliere tutti (lo dice anche il Papa) e ben vengano quindi gli accordi che si sono instaurati con il governo libico volti a trattenere i profughi sulle loro coste ed ai progetti di accoglienza definiti con 14 municipalità libiche, che noi e l’Europa finanziamo”.

Proviamo a dire queste stesse cose con altre parole: “non vogliamo accogliere 180.000 profughi all’anno (lo 0,3% della nostra popolazione) perché i cittadini opportunamente spaventati non ci votano alle prossime elezioni per cui abbiamo “subappalto” (così come avvenuto con la Turchia) le gestione dei flussi migratori della rotta del Mediterraneo centrale ad uno dei governi attualmente presenti in Libia perché ne impedisca le partenze attrezzando opportunamente la propria guardia costiera e dato denaro (5 milioni di dollari) a 14 milizie tribali, alcune strettamente connesse all’Isis, perchè facciano lo sporco lavoro di trattenerli in campi di concentramento”.

Mettiamoci poi l’operazione molto bene orchestrata di denigrazione delle ONG (adombrando addirittura loro accordi con i criminali scafisti!) che operavano i salvataggi in mare e di colpo, in effetti, gli sbarchi sono crollati.

Fa comodo alla politica e suona bene alla pancia della pubblica opinione il risultato innegabile, ma dovrebbe far inorridire le nostre coscienze pubbliche e private la drammatica realtà che abbiamo creato e che vogliamo tener nascosta sotto il tappeto.

Ne parlano ormai con causa e conoscenza molte associazioni che si occupano e conoscono bene il problema dei flussi migratori, qualche domanda “tra le righe” cominciano a porsela anche alcuni giornali nazionali (Corriere delle Sera, La Repubblica) e qualche inchiesta giornalistica (quella di Le Monde) sta portando alla luce i veri scenari che si sono venuti a creare.

L’ex ministro degli esteri Emma Bonino riassume così la situazione “ci siamo messi in un pasticcio che ci si ritorcerà contro. Siamo nelle mani delle milizie, di quelli che ieri erano i trafficanti ed oggi gestiscono l’anti-traffico”. E’ una strategia che rischia di destabilizzare ulteriormente la Libia e condanna i migranti a maggiori sofferenze.

Proprio questo evidenzia la recente inchiesta di Le Monde: sono sempre i trafficanti a dettare legge. L’esodo infatti dai paesi dell’Africa centrale verso le coste libiche non si è affatto interrotto: chi fugge da guerre, dittature sanguinarie, lotte tribali, carestia, povertà estreme continua ad essere taglieggiato dai trafficanti di essere umani per un viaggio nel deserto che li vede affamati, assetati, torturati, stuprati. Ed una volta giunti in Libia, o vengono trattenuti in quelli che sono veri e propri campi di concentramento in mano agli stessi trafficanti e su cui nessuna autorità “indipendente” ha modo di controllare quanto avviene, o vengono intercettati dai pattugliamenti della guardia costiera libica e degli stessi trafficanti e rimandati sulla terraferma dove subiscono altri ricatti per costringerli a pagare una seconda partenza.

 

L’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato che questa scelta italiana “non garantisce la difesa dei diritti dei migranti in Libia e durante le traversate” ed il New York Times scrive che “è disumano ammassare migranti in Libia dove subiscono regolarmente abusi” e conclude che “il problema riguarda tutta l’Europa e non solo l’Italia…ma l’Europa è così determinata ad impedire alle persone di arrivare in Italia che sta rinunciando alla difesa dei diritti umani per calmare l’ostilità dei suoi cittadini verso gli immigrati”. Questo è il terribile quadro che le nostre così dette democrazie stanno realizzando.

 

30 settembre 2017  

(*) L’autore è coordinatore del Circolo di Libertà e Giustizia di Mantova.

3 commenti

  • Sig. Monicelli,

    sarà senz’altro vero, in molti frangenti, come lei riporta, che “Il realismo è il buon senso delle carogne”.

    Ma è altrettanto vero è assolutamente ineludibile, il concetto di “Solidarietà Sostenibile” al quale tutte le persone, come ogni altra entità, che ne siano messa alla prova, devono inchinarsi. E lungi da me voler difendere la Serracchiani o altri, ma solo ribadire un concetto da troppi colpevolmente ignorato, troppi che su questa ignoranza, consapevolmente o meno, incensano la propria generosità, senza doverne pagare pegno.

    Ne abbiamo esempi eclatanti sotto gli occhi ogni giorno: lo stesso Papa, che già avallò il decreto Minniti, pochi giorni fa ha dovuto chiudere il colonnato del Bernini ai senza tetto a cui lo aveva aperto tempo addietro; La Germania che pone all’immigrazione limiti annuali, dopo le braccia aperte e spalancate della Merkel; i paesi del Nordeuropa, generosi, accoglienti, socialmente evoluti, ricchi, che chiudono progressivamente le prprie frontiere e finanziano i rimpatri, e tutte le atre situazioni che le cronache tristi e drammatiche ci raccontano…

    “La solidarietà DEVE restare sostenibile, altrimenti insterilisce e muore, generando conflitti sociali, e il successo politico delle destre che, una volta arrivassero al potere, risolverebbero il problema a modo loro, ben più duramente che non Minniti (o il Papa).

    Ripeto ancora una volta che il prof. Prodi già nell’Aprile 14, firmava un editoriale sul Messaggero che titolava: “Un salvagente per l’Africa, altrimenti l’immigrazione ci travolgerà!” (e non solo materialmente!). Il prof Prodi, colto, conoscitore dell’Africa e dell’Europa, cattolico adulto e coerente, non il Salvini di turno. Il prof. Prodi che alcune settimane fa è tornato sull’argomento affermando che senza un piano di sviluppo (o Marshall) per l’Africa, una catastrofe umanitaria immane sarà inevitabile.

    Sig. Monicelli, forse il suo livello sodidale sostenibile sarà molto più alto della media, ma anche lei ha sicuramente il suo…

    Per 49 anni, fermato dal K, ho versato il mio contributo solidale sotenibile all’AVIS ogni tre mesi: se fosse stato troppo frequente, o sarei ammalato e peggio, o mi sarei sottratto per evitare l’evento. Con lo stesso risultato: una minor contributo solidale.

    L’aspetto su questi spazi…

    Paolo Barbieri

  • Troppe volte è già successo che quando si discute di principi si riesce ad avere più consenso sulle tesi che si coniugano con l’essenza della natura umana che corrisponde all’aspirazione alla società della migliore convivenza, mentre quando si vogliono mettere in pratica quegli stessi principi, la sua operatività viene resa inattuabile dalle scelte di chi intravvede che ne riceverebbe immediatamente una diminuzione della propria possibilità di emergere sugli altri. La cultura umana per millenni ha formato le nostre convinzioni mediante le consuetudini che determinano le interazioni interpersonali e le stesse regole sociali assumono in questo modo la caratteristica di assomigliare a una legge della fisica, di essere cioè ineluttabili. È questo che rende difficilissimo cambiare la cultura degli uomini che appartengono ad una determinata società.
    La ragione, quando costruisce pensiero, inventa strategie per raggiungere un obiettivo. L’obiettivo dei principi fondamentali, rivolgendosi alla intera comunità umana travalica il termine della vita di ciascun individuo mentre la pratica dell’esistenza quotidiana ha giustamente e naturalmente i termini immediati dai quali consegue la risposta alle necessità dettate dalla sopravvivenza momento per momento.
    Il fatto è che si devono trovare argomenti convincenti e coerenti con le proprie idee di fondo ma, nello stesso tempo, una prassi di attuazione che apra a nuove modalità di comportamento che rinsaldino i buoni principi senza trasgredire l’obbligo ad intervenire con immediatezza per rispondere all’impeto delle richieste individuali, anzi il pragmatismo vincente deve utilizzare proprio la necessità delle risposte obbligatorie e immediate per conseguire il consenso di massa che solo può realizzare l’adesione reale ai principi universali del bene.
    Al referendum sulla costituzione la vittoria formale del “NO” fu facile perché si dovevano prendere decisioni sulla validità o meno proprio delle idee di fondo. Dopo, come tante altre volte, la società rimane quella di prima: non siamo governati dalla costituzione ma dai comportamenti, le abitudini che presiedono alle relazioni umane.
    Una delle questioni fondamentali oggi sul tappeto che rende difficile una risposta coerente e ci fa tornare alle situazioni ambigue precedenti che rende tanto facile trasgredire i principi perché le decisioni che li avversano avvengono come ineluttabili necessità, è il problema dell’immigrazione. Si contrappongono due tesi: dobbiamo accogliere i disperati; dobbiamo aiutarli a casa loro.
    Le due tesi che a prima vista sembrano completamente divergenti obbediscono in realtà a uno stesso concetto che li accomuna: gli immigrati sono un nostro problema che dobbiamo risolvere con tanto nostro maggior vantaggio quante più sono le risorse che impegneremo. Pertanto chi chiede di accoglierli è molto contento di accogliere chi più ci serve e chi li vuole aiutare a casa loro, vuole dirigere la loro evoluzione proprio per trarre il massimo vantaggio da tutte le loro potenzialità. I due modi non trattano quelle persone alla pari, come persone degne. Se applicassimo i nostri principi costituzionali dovremmo considerare gli immigrati come liberi di mantenere la propria identità a cui contribuisce naturalmente la provenienza. Sono proprio coloro che hanno rischiato la vita spinti dall’aspirazione a vivere in una società migliore che hanno le maggiori potenzialità a trasformare in modo veramente vivibile quelle società, su loro una buona politica dovrebbe puntare: da questi deve farsi aiutare per risolvere il loro e il nostro problema. Bisognerebbe essere capaci di fare con loro un discorso chiaro: vogliamo mettervi in condizione di tornare al vostro paese per correggere quei difetti che vi hanno fatto fuggire; ma andrete dopo esservi organizzati qui non a nostra completa somiglianza ma cercando il modo migliore e correggendo anche quanto è difettoso nella nostra società.
    Questa modalità deve essere espressa con chiarezza anche a noi stessi, per essere resa attuabile dal consenso della cittadinanza italiana o europea.
    Dal documentario di “Piazza pulita” abbiamo sentito l’assurdità del pagamento degli scafisti perché desistano dal trasporto profumatamente retribuito dei poveri derelitti. Questa iniziativa assomiglia, purtroppo a una prassi consolidata che da secoli ha pervaso il comportamento di chi si assume il compito di guida della società. Le risposte non vengono date per risolvere i problemi nel modo coerente con i principi ma per conservare facilmente il potere e perciò favorendo i più forti.
    Giuseppe Ambrosi

  • Mi ripeto per rispondere al commento del tanto profondamente impegnato signor Paolo Barbieri.
    Troppe volte è già successo che quando si discute di principi si riesce ad avere più consenso sulle tesi che si coniugano con l’essenza della natura umana che corrisponde all’aspirazione alla società della migliore convivenza, mentre quando si vogliono mettere in pratica quegli stessi principi, la sua operatività viene resa inattuabile dalle scelte di chi intravvede che ne riceverebbe immediatamente una diminuzione della propria possibilità di emergere sugli altri. La cultura umana per millenni ha formato le nostre convinzioni mediante le consuetudini che determinano le interazioni interpersonali e le stesse regole sociali assumono in questo modo la caratteristica di assomigliare a una legge della fisica, di essere cioè ineluttabili. È questo che rende difficilissimo cambiare la cultura degli uomini che appartengono ad una determinata società.
    La ragione, quando costruisce pensiero, inventa strategie per raggiungere un obiettivo. L’obiettivo dei principi fondamentali, rivolgendosi alla intera comunità umana travalica il termine della vita di ciascun individuo mentre la pratica dell’esistenza quotidiana ha giustamente e naturalmente i termini immediati dai quali consegue la risposta alle necessità dettate dalla sopravvivenza momento per momento.
    Il fatto è che si devono trovare argomenti convincenti e coerenti con le proprie idee di fondo ma, nello stesso tempo, una prassi di attuazione che apra a nuove modalità di comportamento che rinsaldino i buoni principi senza trasgredire l’obbligo ad intervenire con immediatezza per rispondere all’impeto delle richieste individuali, anzi il pragmatismo vincente deve utilizzare proprio la necessità delle risposte obbligatorie e immediate per conseguire il consenso di massa che solo può realizzare l’adesione reale ai principi universali del bene.
    Al referendum sulla costituzione la vittoria formale del “NO” fu facile perché si dovevano prendere decisioni sulla validità o meno proprio delle idee di fondo. Dopo, come tante altre volte, la società rimane quella di prima: non siamo governati dalla costituzione ma dai comportamenti, le abitudini che presiedono alle relazioni umane.
    Una delle questioni fondamentali oggi sul tappeto che rende difficile una risposta coerente e ci fa tornare alle situazioni ambigue precedenti che rende tanto facile trasgredire i principi perché le decisioni che li avversano avvengono come ineluttabili necessità, è il problema dell’immigrazione. Si contrappongono due tesi: dobbiamo accogliere i disperati; dobbiamo aiutarli a casa loro.
    Le due tesi che a prima vista sembrano completamente divergenti obbediscono in realtà a uno stesso concetto che li accomuna: gli immigrati sono un nostro problema che dobbiamo risolvere con tanto nostro maggior vantaggio quante più sono le risorse che impegneremo. Pertanto chi chiede di accoglierli è molto contento di accogliere chi più ci serve e chi li vuole aiutare a casa loro, vuole dirigere la loro evoluzione proprio per trarre il massimo vantaggio da tutte le loro potenzialità. I due modi non trattano quelle persone alla pari, come persone degne. Se applicassimo i nostri principi costituzionali dovremmo considerare gli immigrati come liberi di mantenere la propria identità a cui contribuisce naturalmente la provenienza. Sono proprio coloro che hanno rischiato la vita spinti dall’aspirazione a vivere in una società migliore che hanno le maggiori potenzialità a trasformare in modo veramente vivibile quelle società, su loro una buona politica dovrebbe puntare: da questi deve farsi aiutare per risolvere il loro e il nostro problema. Bisognerebbe essere capaci di fare con loro un discorso chiaro: vogliamo mettervi in condizione di tornare al vostro paese per correggere quei difetti che vi hanno fatto fuggire; ma andrete dopo esservi organizzati qui non a nostra completa somiglianza ma cercando il modo migliore e correggendo anche quanto è difettoso nella nostra società.Questa modalità deve essere espressa con chiarezza anche a noi stessi, per essere resa attuabile dal consenso della cittadinanza italiana o europea.
    Dal documentario di “Piazza pulita” abbiamo sentito l’assurdità del pagamento degli scafisti perché desistano dal trasporto profumatamente retribuito dei poveri derelitti. Questa iniziativa assomiglia, purtroppo a una prassi consolidata che da secoli ha pervaso il comportamento di chi si assume il compito di guida della società. Le risposte non vengono date per risolvere i problemi nel modo coerente con i principi ma per conservare facilmente il potere e perciò favorendo i più forti.
    Mi interessano sue altre considerazioni. Con ogni mia considerazione Giuseppe Ambrosi

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