Legge elettorale/Come per il 4 dicembre, un’altra battaglia di legalità

04 Ott 2017

Silvia Truzzi

Il luogo diciamo che porta bene. Siamo nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera, dove nel gennaio del 2016 partì la battaglia per il No al referendum: di nuovo qui, con le stesse persone (i costituzionalisti del Comitato per il No) e molte di quelle parole per discutere di legge elettorale, ultimo lascito della naufragata riforma. I due temi non sono intrecciati soltanto per la sciagurata idea di approvare – con tanto di fiducia – un sistema valido solo per la Camera, in previsione di un’ abolizione del Senato scongiurata grazie a venti milioni di voti. Ma soprattutto perché – come ha ricordato il presidente dell’ Anpi Carlo Smuraglia – “tra tutte le leggi ordinarie quella elettorale è quella che più si avvicina alla Costituzione”.

E poi perché “una buona legge elettorale è condizione necessaria per garantire la Costituzione”, ha detto Alfiero Grandi invocando una mobilitazione simile a quella di un anno fa: non deve passare l’ idea che si tratta di materia astrusa, inaccessibile, poco interessante per i cittadini. Sembrava esserlo anche il referendum del 4 dicembre, eppure il popolo ha inequivocabilmente risposto: è auspicabile la lezione sia servita, che d’ ora in avanti si propongano “solo riforme omogenee o puntuali”, come prescrive l’ articolo 138 tuttora in vigore nonostante i ripetuti assalti alla Carta avvenuti dal 1993 in poi e ricordati da Alessandro Pace . Oggi – spiega Andrea Pertici , che si augura un intervento per armonizzare i sistemi dei due rami del Parlamento – “siamo negli ultimi mesi di legislatura: sulla base del Codice di buona condotta elettorale del Consiglio d’ Europa nell’ ultimo anno di legislatura non dovrebbero essere approvate leggi elettorali” (perché si è troppo condizionati dagli interessi contigenti).

Quali? Li racconta benissimo Gaetano Azzariti : “La proposta di cui si discute, secondo esponenti politici e commentatori, escogita un meccanismo che garantisca a Berlusconi di ottenere la leadership nel centrodestra, a Salvini di fare il pieno dei collegi al nord, ad Alfano di provare a non scomparire, a Renzi di tacitare gli avversari interni e orchestrare un trappolone a Pisapia, a quest’ ultimo di affrancarsi dall’ingombrante D’Alema e abbandonare la sinistra soi-disant radicale. Un terreno di discussione inaccettabile”. Se la legge elettorale è lo specchio della nostra democrazia, quali conclusioni dovremmo trarre davanti a un sistema – il Rosatellum bis – dove, come nota Domenico Gallo, “ancora una volta i capi dei principali partiti potranno determinare la composizione dell’ assemblea parlamentare, assegnando il seggio ai propri fedelissimi, senza che il cittadino elettore possa mettervi becco, e potranno tenere fuori dal Parlamento le minoranze sgradite”?

E dire che lo spirito dei costituenti era di tutt’altro segno, anche se scelsero di non mettere in Costituzione il sistema elettorale, ricorda Lorenza Carlassare citando le parole di Meuccio Ruini (che oggi si metterebbe a piangere, nota la professoressa): “La sovranità spetta tutta al popolo che è l’ organo essenziale della nuova costituzione, l’ elemento decisivo, che dice sempre la prima e l’ ultima parola”. E ancora: “Costantino Mortati propose di inserire in Costituzione il principio della rappresentanza proporzionale ‘perché costituisce un freno allo strapotere della maggioranza e influisce in senso positivo sulla stabilità governativa’. Se la Carta non codifica espressamente il principio della rappresentanza proporzionale, lo dà però per implicito e nel suo impianto complessivo e in precise disposizioni”. Per il proporzionale anche Massimo Villone, che a margine dei lavori nota: “Dobbiamo puntare a una legge che favorisca il rafforzamento delle istituzioni e la ricostruzione di partiti strutturati. È qui la chiave di una solida governance: si può fare solo con una legge proporzionale e con istituzioni ampiamente rappresentative e legittimate dalla scelta dei propri rappresentanti da parte degli elettori. Non basta il richiamo alla Costituzione. Dopo le deboli sentenze (1/2014 e 35/2017) della Consulta, può considerarsi conforme alla Costituzione anche una brutta copia dell’ Italicum come è il Consultellum-Camera, che qualcuno vorrebbe prendere come riferimento cui uniformare la legge del Senato”.

Oltre all’intervento in ricordo di Stefano Rodotà, Gustavo Zagrebelsky ha preso la parola per dar voce a un sentimento più che condiviso: “Il disincanto non viene soltanto dalla legge elettorale – di cui non ne possiamo più – ma dall’ inadeguatezza della proposta politica. Vorremmo votare con una sistema onesto, ma manca la materia prima.

 

Oggi abbiamo sentito usare la parola ‘governabilità’, che come spesso ripeto, è un inganno: noi vogliamo governare non essere governati”.

 

 

il Fatto quotidiano, 3 ottobre 2017

 

 

 

 

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