Codice antimafia/I critici esagerano, si sequestrerà solo per i “reati associativi”

02 Ott 2017

Si moltiplicano gli attacchi al nuovo “Codice antimafia”. Turba la suscettibilità di vari commentatori l’ estensione della disciplina della confisca dei beni mafiosi a chi è accusato di corruzione. L’ elenco lunghissimo degli scandali “moderni” (Italcasse, Fondi neri IRI , Lockheed, Banane e Petroli, Teardo, Zampini, Mani pulite e via seguitando fino ad oggi), non consente affatto di ipotizzare che la corruzione sia un tratto genetico della stirpe italiana. Di corruzione infatti ce n’ è ovunque nel mondo. Una specificità tutta italiana però è la lunghezza della black list di politici, amministratori, imprenditori, faccendieri ecc. che per quanto inquisiti, imputati, arrestati, condannati, patteggiati, indultati, prescritti (anche per fatti di incontestabile gravità) restano sempre saldamente al loro posto, dove possono continuare a “banchettare”.

Ciò che pone il nostro Paese fuori degli schemi delle democrazie europee. Con il corollario di inerzie, ricatti e veti incrociati che contribuiscono a spiegare perché in Italia la corruzione sia così diffusa ed il suo contrasto incontri tanta “resistenza”.

La corruzione non è riconducibile ad un circolo delimitato per quanto esteso, ma è sempre più un vero e proprio sistema. Sul piano legislativo significa che occorrono regole rigorose, non confuse e annacquate, che riescano a rendere la corruzione “non conveniente”. Sia per la definizione delle fattispecie penali, sia per la certezza della pena e le sanzioni. Senonché questa “non convenienza” della corruzione di fatto resta ancora nel libro dei sogni (basti pensare all’ inconsistenza del numero dei “colletti bianchi” detenuti nel nostro Paese rispetto alle altre democrazie).

Forse anche per questo motivo, per introdurre finalmente un qualche deterrente efficace contro la corruzione, si è pensato all’ estensione delle misure antimafia. Che in sostanza comportano (per chi sia accusato di corruzione e risulti aver dichiarato un reddito incompatibile con le ricchezze possedute) l’ onere di dimostrare la provenienza legittima di tali ricchezze, a pena di espropriazione. Ma attenzione: non in tutti i casi di corruzione. Solo quando insieme alla corruzione sia contestata l’ associazione per delinquere.

Trattandosi di una misura che inverte l’ onere della prova, certamente va usata con estrema cautela, esigendo dalla magistratura il rispetto di ogni garanzia. Ma in linea di principio, quel che funziona per l’ antimafia dal 1982 e senza obiezioni dovrebbe funzionare anche per l’ anticorruzione. Eppure c’ è chi sembra volersi fasciare la testa anzitempo, perché – appena approvata la legge – si è vincolato il Governo, con un apposito ordine del giorno, a “monitorare” quel che accadrà per correggere eventuali défaillances. Ora, ben vengano – se utili – le rettifiche, purché in un quadro di effettiva lotta alla corruzione. E se l’ accoppiata corruzione – reato associativo dovesse risultare statisticamente prossima allo zero, si abbia il coraggio di eliminarla, così che l’ adozione di misure di prevenzione patrimoniali anche per la corruzione funzioni davvero. Altrimenti si farebbero ancora una volta “evaporare” i fatti gravissimi che la corruzione sistemica esprime.

Che siano fatti gravissimi lo sostiene non qualche incorreggibile “giustizialista”, ma papa Francesco: la corruzione è un “cancro sociale profondamente radicato nei governi, nell’ imprenditoria e nelle istituzioni; – una pratica abituale nelle transazioni commerciali e finanziarie e negli appalti pubblici”. Con la nefasta conseguenza di “ingiustizie che causano sofferenza: ospedali senza medicine, ammalati che non hanno cura, bambini senza educazione”. E ancora, con ostacoli frapposti “al funzionamento della giustizia con l’ intenzione di procurare impunità”; per cui si catturano “solo i pesci piccoli, mentre si lasciano i grandi liberi nel mare”.

Parole di cui tutti dovremmo fare tesoro, respingendo ogni retro-pensiero che declassi la corruzione a reato con cui si può convivere.

 

Il Fatto Quotidiano, 1 ottobre 2017

 

 

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