La parte ‘civile’ dell’università italiana

27 Set 2017

Tomaso Montanari

Ora che queste provvidenziali intercettazioni ci hanno messo di fronte a un terrificante specchio, l’università italiana non può distogliere lo sguardo. Noi professori non possiamo minimizzare, o rimuovere. Perché non c’è dubbio che gli onesti siano più dei corrotti: ma questa maggioranza non si comporta come l’esemplare Philip Laroma Jezzi. Per pigrizia, quieto vivere, convenienza o paura essa tace, non denuncia, subisce: in un silenzio che è un colpevole assenso.

Questa storia, questa pazzesca umiliazione collettiva deve segnare il riscatto. Ogni singola università e il Miur devono costituirsi parte civile nei processi che probabilmente si celebreranno: per far capire senza equivoci che le vittime non sono solo i meritevoli umiliati ed esclusi, ma tutta la comunità universitaria. Nella sua immagine, certo: ma prima, e assai più profondamente, nel suo stesso fondamento, che è l’onestà intellettuale, primo presupposto della ricerca e della formazione dei più giovani.

Parlando alla Costituente il 22 aprile 1947, il fisico Antonio Pignedoli sostenne la necessità di includere (come avvenne) la promozione della ricerca tra i compiti della Repubblica per fermare «il doloroso andarsene degli scienziati italiani», che «se ne vanno dall’Italia per ragioni di trattamento, per ragioni proprio inerenti alla possibilità di vivere: dovrà finire dunque questo esodo!». Per farlo finalmente finire ci vogliono le risorse, e questo dipende dalla politica. Ma non è meno importante la giustizia: che dipende solo da noi.

Repubblica, 27 settembre 2017

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