Davigo: “Renzi è confuso. Per cacciare un politico basta la sua difesa”

25 Lug 2017

Marco Travaglio

Piercamillo Davigo, l’uscita della sua corrente Autonomia e Indipendenza dalla giunta dell’Associazione magistrati continua a far discutere. Il presidente dell’Anm Eugenio Albamonte della corrente Area e il leader di Unicost Antonio Sangermano la accusano di “populismo giudiziario”.

Ridicolo. È la stessa accusa che mi hanno sempre mosso i peggiori politici e giornali. Ora vedo che la usano anche alcuni colleghi. La prendo come una medaglia alla mia indipendenza. Io indico la luna e questi guardano il dito.

Quale sarebbe la luna?

Le nomine lottizzate, poco trasparenti e incomprensibili di magistrati negli incarichi giudiziari direttivi e semidirettivi da parte del Csm, che sconcertano buona parte dei nostri colleghi, oltre ai settori più avveduti dell’opinione pubblica. E la risposta qual è? Che io le denuncio per guadagnare voti con la mia componente associativa. Ma santo cielo, se mi dicono così significa che lo sanno anche loro che molti magistrati la pensano come me. O credono che la loro base sia formata da un branco di idioti?

Qual è oggi il rischio più grave per la magistratura italiana?

Quello del carrierismo e quello del conformismo verso il potere politico, che il Csm dovrebbe arginare, non incentivare. Le nomine dei dirigenti degli uffici requirenti e giudicanti dovrebbero rispondere a criteri più chiari e stringenti e avvenire con procedure più trasparenti e comprensibili. Chi concorre a un incarico deve presentare un’auto-relazione, che poi viene confrontata con quelle degli altri per la scelta finale del Csm. Ecco, queste relazioni devono essere online, a disposizione di tutti. Per un’esigenza profilattica: così uno evita di tessere lodi infondate o esagerate di se stesso; chi vota per lui risponderà della sua scelta a tutta la magistratura e ai cittadini; e tutti capiranno se il Csm ha scelto il più bravo oppure no. Non c’è privacy che tenga. Oggi purtroppo non è così, il che provoca una crescente disaffezione dei magistrati verso il loro organo di autogoverno: io vengo accusato di colpire il Csm, mentre voglio difenderlo, aiutandolo a evitare errori.

Lei contesta la lottizzazione correntizia delle nomine “a pacchetto”. Perché?

Se si decide contemporaneamente su un mazzo di incarichi da riempire, senza trasparenza né criteri stringenti, il rischio è che non si scelga il migliore per ogni posto, ma che si segua la logica dell’“uno a me, uno a te, uno a lui”. Mettano tutto online: a parole sono tutti d’accordo, perché non lo fanno? Un collega mi ha detto: “Ormai ci stupiamo se ogni tanto il Csm nomina uno bravo”. E purtroppo sono in molti a pensarlo. Ma si può andare avanti così?

Voi avete contestato le nomine dell’ex assessore della giunta siciliana di Lombardo, Giovanni Ilarda, a Pg di Trento, e l’indicazione dell’ex deputato Pd Lanfranco Tenaglia a presidente del Tribunale di Pordenone.

Ci siamo sentiti presi in giro. La giunta unitaria dell’Anm si era data un programma, che comprendeva il monitoraggio delle nomine direttive e semidirettive del Csm, per verificare il rispetto delle regole. Dopo durissime discussioni, abbiamo creato questo gruppo di lavoro. E c’era un’intesa sui “fuori ruolo” che arrivano dai ministeri: almeno un anno di pausa, prima che possano concorrere a incarichi direttivi. Inoltre il Comitato direttivo centrale dell’Anm approvò una richiesta al Parlamento per stabilire che chi rientra da un’esperienza politica non abbia funzioni giurisdizionali. Su questi punti quasi tutte le correnti dell’Anm, a cominciare da Area, avevano posizioni intransigentissime. Ma se poi chiediamo al Csm di attenersi, per coerenza, a questi criteri nelle sue nomine, cominciano i distinguo, le resistenze, e si continua a fare come se niente fosse. Addirittura si fa saltare la fila ai “fuori ruolo” di ritorno, che passano davanti a quelli che hanno sempre tenuto la toga in spalla. Ma con quale credibilità? Ecco: se non mi fido di chi gioca con me, non gioco più.

Non è strano che il favorito al Csm per fare il capo della Procura di Napoli sia Giovanni Melillo, capo di gabinetto uscente del ministro Orlando?

Non voglio parlare dei casi singoli, ma dei princìpi: se abbiamo ritenuto che i “fuori ruolo” per un anno non possano diventare dirigenti di uffici giudiziari, quella nomina violerebbe questo principio. È una cosa ovvia: persino gli ambasciatori, che non hanno doveri di indipendenza, dopo un certo periodo all’estero devono rientrare in Italia per il cosiddetto “bagno”: altrimenti diventano cittadini stranieri. A maggior ragione questo deve valere per i magistrati che vengono cooptati dai politici per incarichi ministeriali: badi bene, non scelti per concorso, ma per rapporti fiduciari di natura politica. Prima di tornare in incarichi giudiziari delicati, devono respirare di nuovo l’aria della cultura della giurisdizione, per essere e anche per apparire di nuovo “indipendenti da ogni altro potere”: come prescrive la Costituzione. Altrimenti si dà un segnale devastante ai magistrati.

Quale?

Che vale di più stare fuori ruolo, in posti più prestigiosi e meno stressanti, che non fare i giudici o i pm sotto montagne di fascicoli, spesso sull’orlo del tracollo psicofisico, ed esposti a rischi disciplinari per ritardi fisiologici o errori formali.

Ieri Sangermano, sul Giornale, trova gravissima la frase che le viene attribuita, secondo cui: “Non esistono politici innocenti, ma solo colpevoli su cui non sono state raccolte le prove”.

Sì, è la stessa che mi attribuisce anche Renzi nel suo ultimo libro: sorprendente questa assonanza, non trova? Evidentemente i due hanno le stesse fonti, o leggono la stessa pessima stampa. In realtà io parlavo di un processo specifico: quello di Mani Pulite sulla linea 3 della metropolitana milanese, dove si dimostrò fino in Cassazione che tutte le imprese consorziate versavano la loro quota di tangenti all’impresa capofila, che poi versava l’intera mazzetta al cassiere unico della politica, che poi la distribuiva pro quota a ogni rappresentante dei partiti, di maggioranza e di opposizione. È colpa mia se poi sono stati tutti condannati? È il solito giochino che una volta facevano solo certi politici e certi giornalacci: prendere una frase e isolarla dal contesto per buttartela addosso. Un giorno il capitano di una nave scoprì che il primo ufficiale di guardia era ubriaco e lo scrisse nel giornale di bordo. Quello, per vendicarsi, scrisse a sua volta: “Oggi il comandante non era ubriaco”. Era la verità, ma quella frase, estrapolata dal contesto, sembrò un atto di accusa, come a dire che tutte le altre volte il comandante era ubriaco. Ecco, questi fanno così. Sono ridicoli.

Renzi scrive anche che lei non sa cos’è il garantismo, non conosce Cesare Beccaria. Le rinfaccia una frase di Giovanni Falcone contro i “khomeinisti” della “cultura del sospetto”. E le rammenta che, per decidere se uno è colpevole o innocente, bisogna attendere la sentenza definitiva.

Deve avere le idee molto confuse. Io, come tutti i magistrati, non mi sognerei mai di condannare qualcuno sapendolo innocente, perché sono stato educato alla cultura della prova. Noi magistrati esistiamo proprio per distinguere fra colpevoli e innocenti. Ma sappiamo anche che non sono le sentenze che debbono selezionare la classe dirigente e politica: è la politica che deve fare le sue valutazioni autonome sul materiale giudiziario e decidere se certe condotte già dimostrate in fase di indagine, a prescindere dalla rilevanza penale, sono compatibili o meno con la “disciplina” e “l’onore” richiesti dall’art. 54 della Costituzione a chi ricopre pubbliche funzioni. Per mandare in carcere qualcuno a espiare la pena, ci vuole la condanna definitiva. Ma per mandarlo a casa, a volte non c’è bisogno nemmeno della condanna di primo grado. Anzi, non c’è neppure bisogno dell’accusa: basta la sua difesa.

Addirittura?

Certo. Certi politici si difendono in modo talmente vergognoso che andrebbero mandati a casa solo per quello. Prenda quel dirigente di una Asl lombarda accusato di mafia (e poi condannato) che, quando emersero le sue intercettazioni, si difese dicendo: “Io fin da ragazzo mi diverto a sembrare un mafioso”. C’è bisogno della condanna, per cacciarlo? Ecco: se i politici facessero pulizia al loro interno quando vengono a sapere cose del genere, le nostre indagini e sentenze non creerebbero alcuna tensione fra giustizia e politica, perché noi processeremmo solo degli “ex”. Invece se li tengono tutti fino alla condanna definitiva, e spesso anche dopo.

Sangermano dice pure che la legge Severino non poteva essere applicata “retroattivamente” a Berlusconi per espellerlo dal Senato.

Sono allibito. Non c’è stata alcuna applicazione retroattiva. La decadenza da parlamentare prevista dalla Severino non è una sanzione penale, ma un requisito di onorabilità: se la legge dice che i condannati a certe pene per certi reati non possono andare o restare in Parlamento, vale per tutti i condannati, per reati commessi sia prima sia dopo la legge.

Renzi però scrive che prima di entrare in politica né lui né la sua famiglia avevano mai subito indagini, mentre dopo sì. E che un ex deputato di Forza Italia l’aveva avvertito dopo la sconfitta referendaria: “Ora partirà l’attacco delle procure ai renziani”. E subito arrivò l’inchiesta Consip.

A parte il fatto che l’inchiesta mi pare sia partita diversi mesi prima, questo lo diceva già Berlusconi, con la medesima attendibilità. Ma poi bisogna intendersi: è ovvio che, quando assumi una carica pubblica, sei più esposto di un passante al rischio di indagini giudiziarie. Nel senso che diventi pubblico ufficiale, o incaricato di pubblico servizio, funzioni che ti prescrivono una serie di regole in più di quelle previste per un privato, e ti espongono anche al rischio di essere denunciato dai cittadini per i tuoi atti. Se invece Renzi vuol dire che per chiunque vada al governo, o perda le elezioni, scatta il complotto giudiziario, dice cose insensate.

Lei ha mai avuto offerte ministeriali?

Quella che sanno tutti: nel 1994 Ignazio La Russa mi voleva ministro della Giustizia nel primo governo Berlusconi. Risposi “no grazie”. Poi non si azzardò mai più nessuno: o sto antipatico a tutti, oppure tutti mi ritengono politicamente inaffidabile. In ogni caso, me ne vanto.

Ultimamente la volevano i Cinque Stelle.

Nessuna proposta formale. E, a scanso di equivoci, al loro recente convegno alla Camera ho ribadito che i giudici non dovrebbero mai fare politica, anche se sarebbe assurdo vietarlo per legge (nelle democrazie serie lo si proibisce ai pregiudicati, non ai magistrati). Però un protagonista di Tangentopoli, condannato in via definitiva, ha dichiarato che, se vincono i 5Stelle, Mattarella non darà mai l’incarico a Di Maio, ergo il M5S indicherà me come premier, e sarà la fine. A parte il fatto che è fantascienza, mi inorgoglisce che un pregiudicato pensi questo di me…

Perché i magistrati non devono fare politica?

Perché non sono capaci, della qual cosa esistono evidenze empiriche. Ha mai visto uno che ha fatto a lungo il magistrato diventare un grande statista? I politici sono, o dovrebbero essere, scelti (cioè eletti) col criterio della rappresentanza. I professionisti, con quello della competenza, tant’è che nessuno si farebbe operare da un chirurgo che passa per bravo solo perchè è stato eletto dal popolo. Noi magistrati siamo un’altra cosa: abbiamo le guarentigie di indipendenza proprio per potercene infischiare delle critiche dell’opinione pubblica: come potremmo gestire il consenso, se non l’abbiamo mai fatto prima in vita nostra?

La prova empirica sarebbe la produzione legislativa delle commissioni Giustizia e del ministero della Giustizia, infarciti di magistrati (oltreché di avvocati)?

Anche. Roba da mettersi le mani nei capelli. Da anni si dice alle procure che, non potendo smaltire tutti i fascicoli, devono privilegiare quelli per reati più gravi e poi, a scalare, tutti gli altri. Ma ora, nella riforma penale Orlando che entra in vigore il 3 agosto, c’è l’avocazione obbligatoria da parte delle Procure generali per tutti i fascicoli che i pm non hanno chiuso con una richiesta di rinvio a giudizio o di archiviazione entro 3 mesi dalla scadenza dei termini. Solo che le Procure generali hanno organici molto più ridotti di quelli delle Procure…

E allora?

E allora come fanno a smaltire per tempo i fascicoli che non sono riusciti a evadere nemmeno le Procure? I Pg applicheranno nei propri uffici i pm delle Procure per farsi aiutare. Cioè: prima dici ai pm di dare la precedenza a certi fascicoli, poi gli fai levare quelli che non han fatto in tempo a smaltire, e infine li chiami a smaltire quelli che gli hai fatto levare. Ma si può andare avanti così? È l’idea balzana che si risolvano i problemi dando degli ordini, peraltro inapplicabili, come le gride manzoniane del governatore Ferrer. Tipo quando Renzi annunciò una legge per fare durare i processi non più di un anno. E perché – risposi io – non sei mesi? O due settimane? Poi c’è l’obbrobrio delle pensioni.

Quale?

Il decreto del governo Renzi che ha anticipato il nostro pensionamento dai 75 ai 70 anni e ha lasciato repentinamente scoperti 500 incarichi direttivi, portando i vuoti di organico a quota 1200. Siccome, da quando viene bandito un concorso per nuovi magistrati a quando questi entrano in servizio dopo la nomina e il tirocinio, passano 4 anni, noi dell’Anm abbiamo detto: prima reclutate i giovani, poi mandate a casa i vecchi. Conservo la lettera del ministro Orlando che, a nome del governo, si impegnava con l’Anm a prorogare il pensionamento di tutti i magistrati a 72 anni fino alla completa copertura dell’organico. Impegno poi incredibilmente disatteso. Alla Camera, il ministro ha spiegato che l’impegno l’aveva assunto il governo Renzi e ora il governo era cambiato. Pensi se lo stesso discorso l’avesse fatto sui titoli di Stato il ministro dell’Economia e delle Finanze: gli impegni non valgono più perché è cambiato il governo. Sarebbe saltata l’economia italiana su tutti i mercati internazionali.

Rimpiange i governi Berlusconi?

Diciamo che il centrosinistra non li fa rimpiangere, però ha fatto più danni. Il centrodestra faceva leggi terribili, che fortunatamente perlopiù non funzionavano, o venivano dichiarate incostituzionali dalla Consulta, o sortivano effetti opposti a quelli sperati. Ma allora almeno il centrosinistra votava contro, protestava, chiamava la gente in piazza. Ora che quello che non era riuscito a fare il centrodestra lo fa il centrosinistra, il centrodestra glielo vota e quasi nessuno protesta.

Ora il governo di centrosinistra si dibatte fra gli annunci di linea dura sull’immigrazione e lo Ius soli.

Se avessero disciplinato per tempo l’immigrazione, con la politica dei visti per i Paesi e le posizioni che servivano alla nostra economia (mai sentito proteste per le domestiche filippine), non ci troveremmo a questo punto. Per anni non si sono concessi i visti a nessuno, costringendo i migranti a entrare clandestinamente in Italia. Così poi sono arrivate le sanatorie indiscriminate, che generano aspettative di nuovi colpi di spugna, come i condoni edilizi e fiscali. E ora il fenomeno appare incontrollato, anche perché le annunciate espulsioni degli irregolari sono solo sulla carta: non si fanno perché mancano sempre i soldi. Si lasciano incancrenire i problemi e poi li si scaricano sui cittadini. E anche sui magistrati, con reati inutili come quello di clandestinità. Che ancora non è stato abolito, anche non risolve nulla, anzi complica le indagini sugli scafisti: non possiamo più sentire i migranti come testimoni, con l’obbligo di dire la verità, ma dobbiamo ascoltarli come indagati, con la facoltà di mentire e di non rispondere.

Lei ripete spesso che l’Anac di Raffaele Cantone serve a poco: non crede nella prevenzione anticorruzione?

Non credo che la corruzione si combatta con questo tipo di prevenzione, che previene poco o nulla. I problemi si prevengono conoscendoli, e la corruzione si conosce solo facendo le indagini, gli arresti e i processi, non controllando la regolarità delle pratiche amministrative e burocratiche. L’esperienza insegna che, quando uno vuole delinquere, sta molto attento a curare la forma per lasciare tutte le carte a posto.

Com’è oggi la magistratura rispetto a 25 anni fa, cioè al tempo di Mani Pulite?

Molto più genuflessa e intimidita di allora. La situazione complessiva creata dalla classe politica ha avuto l’effetto di spaventare e piegare molti magistrati. Tra carichi di lavoro massacranti, sanzioni disciplinari durissime per vizi formali e ritardi naturali, leggi penali e regole processuali cambiate per mandare in fumo i processi ai colletti bianchi, attacchi politici e mediatici, nomine non trasparenti, hanno creato un ordine giudiziario sempre meno forte, sereno e indipendente e sempre più affetto dal carrierismo e dalla tentazione di cercare santi protettori. Cioè sempre più conformista verso chi comanda.

Davvero non si sente un khomeinista?

Si figuri. Ho sempre fatto il magistrato allo stesso modo e sono stato attaccato da tutte le parti. Mi han dato ora del comunista, ora del fascista, del servo della Cia e dei servizi segreti, adesso pure del populista e del grillino. Il che, per me, significa essere imparziale. Lo scrisse Piero Calamandrei a proposito del giudice Aurelio Sansoni, bollato di “pretore rosso” perché nel 1922 faceva rispettare la legge dalle camicie nere: se non sei disposto a servire una fazione, devi rassegnarti all’accusa di essere al servizio della fazione contraria. E dire che, da giovane, quando abbaiavo ai ladri, mi battevano le mani. Poi, salendo il livello dei ladri, ogni volta che abbaiavo hanno cominciato a prendermi a calci.

Il Fatto Quotidiano, 16 Luglio 2017

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