Calamandrei e il Parlamento: attenti a non svilire le istituzioni

19 Lug 2017

Piero Calamandrei era uomo dalla vista lunga e acuta. Il tormento della sua esistenza fu il futuro della Repubblica che usciva da vent’anni di fascismo e da una guerra rovinosa.

Si ha quest’impressione anche leggendo i testi appena usciti in un piccolo libro, Patologia della corruzione parlamentare (Edizioni di Storia e Letteratura), che riunisce un saggio pubblicato sulla rivista «Il Ponte», il 10 ottobre 1947, e una lunga lettera a Ugo Guido Mondolfo, il politico socialista, apparsa su «Critica Sociale» il 5 ottobre 1956.

Correda i testi calamandreiani un corposo scritto introduttivo di Gianfranco Pasquino, illustre professore di Scienza politica, coautore, con Norberto Bobbio e Nicola Matteucci, del fondamentale Dizionario di politica della Utet e di opere di rilievo, tra le altre, Cittadini senza scettro (Università Bocconi Editore), L’Europa in trenta lezioni (Utet).

 

Piero Calamandrei, «Patologia della corruzione parlamentare», con una introduzione di Gianfranco Pasquino (Edizioni di Storia e Letteratura, pagine 96, euro 9)
Piero Calamandrei, «Patologia della corruzione parlamentare», con una introduzione di Gianfranco Pasquino (Edizioni di Storia e Letteratura, pagine 96, euro 9)
Calamandrei fu deputato del Partito d’Azione alla Costituente e tra i socialdemocratici nella prima legislatura repubblicana, Pasquino è stato per tre legislature senatore indipendente nelle liste della sinistra e queste loro esperienze, anche se distanti decenni, sono utili a confrontare la politica e i suoi modi nel tempo.

Nell’introduzione, Pasquino scrive che gli scritti di Calamandrei «mantengono una straordinaria attualità e pertinenza. (…) Sono una guida per addentrarsi nel parlamentarismo, per orientarvisi, per leggervi gli sviluppi, per individuare i problemi aperti e per proporne, lucidamente e sobriamente, i rimedi possibili».

È un detto comune, scrive Calamandrei, che la politica venga considerata una cosa sporca e che i parlamentari siano ritenuti «delinquenti e ladri». La corruzione ha radici antiche. Anche nei romanzi. (È sufficiente ricordare L’Imperio, di Federico De Roberto, uscito incompleto nel 1929, due anni dopo la morte dello scrittore. È la storia del principe siciliano Consalvo Uzeda di Francalanza, eletto a Montecitorio nel 1882, uomo privo di scrupoli, modello di ogni trasformismo, un’anguilla nel ripugnante mondo politico romano dell’epoca).

A Calamandrei preme dire che è immeritato il qualunquistico giudizio negativo nei confronti dei parlamentari: non tutti, ovviamente, sono «delinquenti e ladri». «I cittadini devono arrivare a sentire che chi accusa tutti i deputati di essere tali, in realtà rivolge questa accusa non agli eletti, ma agli elettori. In regime democratico i deputati rappresentano il popolo, e chi scaglia fango su loro, colpisce tutto il popolo che li ha scelti».

Il trasformismo è un altro tema di questo scritto. Che sia attuale lo dimostrano gli innumerevoli cambi di casacca avvenuti nelle ultime legislature. Ma la pratica deve far parte dell’anima nostrana se anche Benedetto Croce, nella sua Storia d’Italia dal 1871 al 1915, scrisse benevolo che il trasformismo è il risultato di un processo fisiologico, non patologico.

Calamandrei non è di quella morbida opinione. Scrive dei voltafaccia che provoca il trasformismo, «un gioco occulto di interesse extraparlamentare, che toglie valore e credito all’apparato visibile del Parlamento».

Le assemblee legislative e la loro funzione stanno molto a cuore al giurista fiorentino. Settant’anni fa vide profeticamente quel che è successo nei nostri anni: il Parlamento «sprovvisto di effettivo potere, ridotto a un semplice ufficio di registrazione dei compromessi politici combinati e conclusi senza alcuna sua partecipazione». Sarebbe probabilmente inorridito di fronte al tentativo, anche se fallito, di cancellare il Senato con l’intento di arricchire i poteri dell’Esecutivo. Accenna al conflitto di interessi, ma per lui è soltanto un articolo del Codice penale, il 324, anche allora. Non fa in tempo a scandalizzarsi per quel che succederà dopo il 1994, Berlusconi presidente del Consiglio, le leggi ad personam, i processi.

Gianfranco Pasquino sembra completare anche nel linguaggio il dettato di Calamandrei: «In Italia, molto più che altrove, l’antipolitica e l’antiparlamentarismo sono diffusi e vanno a braccetto, con conseguenze inevitabilmente pessime». Tocca nel suo scritto problemi di cui non si discute affatto, l’articolo 67 della Costituzione ad esempio, «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincoli di mandato». Questa norma che dà libertà ai senatori e ai deputati è a rischio di totale cancellazione in un Parlamento di nominati. Pasquino è critico nei confronti del Movimento 5 Stelle dove non contano esperienza e competenza: «Le consultazioni telematiche fra gli eletti e i loro elettori sono un poverissimo surrogato delle modalità attraverso le quali i parlamentari, in assenza di qualsiasi struttura intermedia sul territorio, dovrebbero più o meno episodicamente rapportarsi agli elettori», scrive. Una burla.

La soluzione? È nelle parole di speranza, ma di difficile attuazione, con le quali Calamandrei termina le sue pagine di grande contemporaneità: «Bisognerà far di tutto per migliorare il costume. (…) Non è con l’irridere la politica, col disprezzarla e coll’estraniarsene che la politica si risana: bisogna entrarci e praticarla onestamente e resistere allo schifo».

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Corriere.it, 15 Luglio 2017

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