SANDRA BONSANTI: IL CASO LILLO FARÀ STORIA, PIÙ LIBERTÀ Al TEMPO Di STRAGI

09 Lug 2017

“Sono stupefatta. Non ricordo precedenti. Sì, certo, in passato alcuni giornalisti furono arrestati per non aver rivelato le fonti. Successe anche a Giuseppe D’Avanzo sulla strage del Rapido 904 e fu un problema spiegare certe cose a un magistrato come Pier Luigi Vigna”, racconta Sandra Bonsanti, giornalista fin dagli anni 70 a Il Mondo, a La Stampa e poi a lungo a Repubblica, ex deputata e dal 2002 al 2015 presidente di Giustizia e Libertà. La perquisizione di mercoledì a Marco Lillo, nell’ ambito di un’inchiesta per rivelazione di segreto sull’inchiesta Consip che coinvolge tra gli altri Tiziano Renzi, l’ha sorpresa. 

“Non ricordo una perquisizione del genere su indicazione di parte (l’inchiesta nasce da una querela dei difensori dell’ imprenditore Alfredo Romeo, arrestato per corruzione nella stessa inchiesta Consip, ndr) . C’ era più libertà ai tempi del terrorismo e le stragi. Pensiamo a Piazza Fontana: si stabilì subito che erano stati gli anarchici e c’erano, all’inizio, solo poche voci dissenzienti. I grandi giornali non la seguivano, ma la pista nera c’era e partiva da Treviso: la stessa confermata qualche giorno fa dalla Cassazione per Piazza della Loggia. Ma non ci fu una strategia per fare fuori l’informazione contraria”.

Ma perché succede ora? Oggi la legge è chiara sulla segretezza delle fonti, D’Avanzo fu arrestato e Lillo non è neanche indagato, cercano la sua fonte.

Il potere politico, ma anche quello criminale e finanziario, si sentono sotto il tiro di alcuni, pochi, che cercano di fare il mestiere di giornalisti in un contesto difficile. È una questione di libertà che sta alla base del nostro essere democrazia, della Costituzione. Dal I Emendamento alla Costituzione americana l’informazione è tutto. E invece si va alle elezioni con una informazione ridotta a ben poca cosa, a cominciare dal diffuso precariato: se rischiano di perdere il lavoro i giornalisti non possono essere liberi. E i pochi che fanno il loro lavoro diventano delle specie di eroi. Vedo che è intervenuto l’Ordine, la protesta è fondamentale ma non basta, ci vorrebbe una voce politica. L’appalto Consip sotto inchiesta è il più grande che ci sia mai stato e potrebbe essere stato asservito alla politica, non solo renziana.

La Fnsi solidarizza con Lillo, ma sottolinea anche l’opportunità di indagare sulla “fuga di notizie”. È un problema dei giornalisti?

No, se hai una notizia la pubblichi, non puoi pensare ad altro. Ricordo che in passato, solo in alcuni casi ci siamo controllati. Per esempio sulle Br, quando avevamo sentore di perquisizioni o arresti aspettavamo un giorno o due per non bruciare il lavoro degli inquirenti.

Succede anche adesso. E su Consip autorevoli colleghi dicono che avremmo fatto meglio ad aspettare prima di scrivere che, oltre a Tiziano Renzi, sono indagati il comandante dei Carabinieri e il ministro Luca Lotti. Una volta avvisati la notizia non sarebbe più stata segreta. È così?

No, non mi sembra che abbiate bruciato le indagini. Il problema, semmai, è che qualcuno aveva dato informazioni agli indagati, voi le avete date ai cittadini che avevano tutto il diritto di sapere che si stava indagando sull’ipotesi che parte dei soldi di quei giganteschi appalti finisse, in qualche modo, alla politica. Ha ragione Lillo a chiedere perché abbiano preso il suo telefono e non quello del ministro Lotti o quello di Tiziano Renzi. Si procede con pesantezza e caparbietà solo nei confronti di chi ha il dovere di informare i cittadini. 

 

Ci sono i falsi contro Tiziano Renzi attribuiti a un capitano del Noe dei Carabinieri, l’ombra dei Servizi, notizie segrete passate al “Fatto”. C’è chi vede addirittura manovre eversive contro Matteo Renzi.

Tutti questi aspetti devono essere chiariti, è giusto andare avanti per vedere cosa ha fatto questo ufficiale del Noe, del resto abbiamo una lunga storia di servitori dello Stato infedeli. Ma sono certa che le cose non siano andate così. Si potrebbe pensare a una Commissione parlamentare d’inchiesta, non bisognerebbe averne paura, ma oggi porterebbe a regolamenti di conti politici. Bisogna avere fiducia nei magistrati finché si può.

Da anni si criticano i rapporti tra le Procure e i giornalisti e la dipendenza di troppi colleghi dalle Procure. Forse Lillo e “il Fatto” pagano la scelta di andare sempre al di là di quello che arriva dalle Procure?

Lillo ha le sue fonti, non posso certo sapere quali. Ho letto il suo libro, Di padre in figlio (edito Paper First), e certamente ha cercato voci fuori dalle Procure, ha parlato con i protagonisti. Tutto il potere dev’essere controllato, l’informazione serve a questo. E vale anche per le Procure. Credo che questo caso farà storia, è in ballo il governo del Paese.

Il Fatto Quotidiano, 7 Luglio 2017

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