Il futuro del Brancaccio e di Santi Apostoli, una sinistra più grande

Il futuro del Brancaccio e di Santi Apostoli, una sinistra più grande
La domanda è: la manifestazione di Santi Apostoli ha resuscitato il desiderio di votare in chi fa parte di una sinistra senza casa, in chi magari il 4 dicembre è andato ai seggi per dire No, ma non sa ora dove guardare? Per quel che vale, come membro di quella categoria rispondo di no.
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Intendiamoci, in quella piazza romana c’erano tantissime brave persone: a partire da Pier Luigi Bersani. Persone di sinistra: cioè intenzionate a cambiare lo stato delle cose, e a cambiarlo in direzione dell’eguaglianza, dell’inclusione e della giustizia sociale.
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Ma i discorsi, il tono politico, il filo conduttore della manifestazione e soprattutto la reticente conclusione di Giuliano Pisapia sono apparsi autoreferenziali, chiusi: a tratti ombelicali. Rivolti al passato, e non al futuro.
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L’analisi della realtà condivisa da coloro che hanno parlato è sembrata la seguente: “il problema della Sinistra, e del Paese, è Matteo Renzi”. Il fatto che quel nome non sia quasi stato pronunciato non ha fatto che aumentare la sua centralità, da fatale convitato di pietra: un gigantesco “rimosso” che tornava fuori ad ogni frase. La versione dei fatti è stata grosso modo questa: “la stagione del centrosinistra è indiscutibile, l’Ulivo è ancora la stella polare. Poi è arrivato Renzi e tutto si è rovinato. Ma se riusciamo a neutralizzarlo possiamo tornare indietro, come se non ci fosse mai stato”.
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Ora, non sarò io a minimizzare la portata eversiva della presenza di Renzi nella sinistra, e in generale nella politica, italiana. Credo, anzi, di essere stato tra i primissimi a denunciarne l’estrema pericolosità. Ma oggi ­– mentre Renzi galoppa senza freni verso un definitivo suicidio politico, trascinandosi dietro il Partito Democratico – sarebbe irresponsabile non chiedersi come siamo arrivati a lui. Non possiamo raccontarci che è venuto fuori come un fungo, senza radici e senza ragioni. Non possiamo nasconderci che Renzi è il più grave sintomo di una malattia degenerativa della sinistra, ma non ne è la causa.
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Dalla classe dirigente del centrosinistra, cioè da coloro le cui scelte politiche hanno generato un Renzi, ci si aspetta dunque un’analisi profonda, e profondamente autocritica. Tanto più se hanno votato fino a ieri tutte le leggi renziane, magari arrivando a votare sì anche alla disastrosa riforma costituzionale. Sia chiaro: non si pretende un’abiura, non si chiedono delle scuse, ma questa inquietante rimozione rischia di preludere ad una coazione a ripetere che non possiamo permetterci.
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Per intendersi, con un singolo brutale esempio: se oggi il ministro degli Interni del governo Gentiloni (governo sostenuto dalla fiducia dei parlamentari che da settembre si riuniranno nel gruppo di Insieme) minaccia di chiudere i porti italiani in faccia ai migranti non lo si deve ad una mutazione genetica renziana, ma ad un processo di smontaggio dell’identità della classe dirigente di sinistra che parte ben prima di Renzi, e minaccia di continuare ben dopo di lui.
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Sul piano della tattica politica, tutto questo si traduce nella formula esibita dal ministro Andrea Orlando, non per caso presente dietro il palco di Santi Apostoli: “questa piazza non è alternativa al Pd”. E Massimo D’Alema ha chiarito, con la consueta intelligenza: “parleremo dell’alleanza di governo con il Pd solo dopo il voto”. E dunque è ormai chiaro: questo centrosinistra che si autodefinisce “di governo”, per tornare al governo avrà bisogno del Pd. Di un Pd senza Renzi, o con Renzi nell’angolo: questa è la scommessa di Santi Apostoli.
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Ammettiamo che il gioco riesca: un simile governo non sarebbe quello che è già il governo Gentiloni (Lotti e Boschi a parte)? In concreto cosa cambierebbe? Un tale governo di centrosinistra senza Renzi fermerebbe il Tav in Val di Susa e l’Autostrada Tirrenica, bloccherebbe le privatizzazioni e le alienazioni del demanio, cancellerebbe la scellerata riforma Franceschini dei Beni Culturali, abrogherebbe la Buona Scuola, farebbe davvero (e non solo studierebbe, come ha detto Pisapia) una seria tassa patrimoniale, attuerebbe una progressività fiscale e la gratuità del diritto allo studio, ricostruirebbe i diritti dei lavoratori? Niente, nei discorsi di Santi Apostoli, permette di predire una simile “inversione a u” rispetto alle rotte degli ultimi vent’anni – e ho trovato francamente indegno il tentativo di Gad Lerner di arruolare Stefano Rodotà tra i sostenitori di un progetto così poco interessato al futuro.
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Dunque non c’è ormai più speranza di costruire una sinistra unita, che sia davvero sinistra, e davvero unita? Io credo che, malgrado tutto, questa speranza ci sia ancora. Credo che ci debba essere. Perché sarebbe drammatico rassegnarci fin da ora a due percorsi paralleli e alternativi, anzi tra loro ostili: uno che guarda all’elettorato Pd, l’altro che guarda all’Italia dei sommersi e dei senza politica.
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Ma c’è un solo modo di provare a tenere insieme queste due strade: aprire finalmente un confronto vero: sulle cose. E non sulla fuffa mediatica: leadership, alleanze, candidature.
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In uno dei pochi passaggi davvero chiari del suo discorso, Giuliano Pisapia ha detto che è stato un errore sopprimere l’articolo 18: ebbene, partiamo da lì, e vediamo fin dove si può arrivare. È per questo che lo avevamo invitato a parlare al Brancaccio (dove non è voluto venire), è per questo che gli avevamo chiesto di parlare a Santi Apostoli (ricevendo un diniego). Pazienza, acqua passata: iniziamo da domani, proviamoci senza rancore.
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Lo so: è evidente che il paternalismo compassionevole di Pisapia, o il genuino revival (e lo dico con grande rispetto, e simpatia) di Bersani non bastano a costruire una sinistra nuova. Ma possono invece essere una parte di una casa comune ben più grande e ambiziosa di quella presentata a Santi Apostoli
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Sarebbe certo velleitario anche solo pensarlo se lì fosse nato un colosso autosufficiente. Ma guardiamoci in faccia: il soggetto politico nato il primo luglio (Insieme, o come si chiamerà), non viene accreditato, nei sondaggi, per più di un 3-4%.
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D’altra parte, il percorso che è iniziato al Brancaccio ha già ottenuto la disponibilità di Sinistra Italiana (pesata più o meno per un 3%), di Rifondazione Comunista (circa all’1%), di Possibile (circa allo 0,6 %) e di molte altre forze. Non c’è dunque pericolo di alcuna egemonia prescritta: c’è invece la possibilità che queste formazioni camminino insieme.
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Ma soprattutto c’è la vitale necessità che queste piccole forze immaginino se stesse come una parte di una cosa molto più grande. Che esse accettino, cioè, di costruire una vera alleanza con i cittadini: cioè con quelle forze civiche che ormai passano alla larga dalla politica e dalle urne. L’esempio di Padova ci dice che se questa alleanza funziona, si può superare il 20%: a patto di cambiare linguaggio, di uscire dall’autoreferenzialità di riti comprensibili solo ai notisti politici. Ci vuole una politica nuova: un linguaggio, un forza, un entusiasmo capaci di far ricircolare il sangue nelle vene di questa povera democrazia in declino: e per capire cosa intendo si può confrontare il discorso di Pisapia con quello pronunciato qualche giorno fa da Corbyn davanti ai giovani riuniti a Glastonbury.
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Per questo Insieme deve accettare l’idea di partecipare ad un insieme più grande. E una simile lista civica nazionale di sinistra non può nascere ponendosi il problema del governo, o dell’alleanza con il centro (leggi Pd), ma cercando invece di costruire prima di tutto se stessa, strutturandosi intorno ad alcuni grandi principi fondamentali. Non è affatto difficile: ricevo molte mail da militanti di Articolo Uno che chiedono di partecipare alle assemblee che, sul solco del Brancaccio, si stanno autoconvocando in tutta Italia, ennesimo segno che la base è molto, ma molto, più unita delle varie dirigenze in campo.
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In conclusione: se la forza battezzata in Piazza Santi Apostoli pensa se stessa come un punto di arrivo, è finita prima di cominciare.
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Può essere invece davvero importante se pensa se stessa come il pezzo di un processo, di un percorso più grande e più largo.
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Un percorso vero: senza un destino già scritto, senza leader autoconsacrati e alleanze stabilite a priori. Un processo che si snodi intorno alla costruzione partecipata di un progetto culturale, civile e politico la cui bussola siano eguaglianza, inclusione, partecipazione.
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Proviamoci: è questione di umiltà, generosità, lungimiranza, coraggio. E il momento è ora.
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Huffington Post, 3 luglio 2017
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6 commenti

  • Complimenti a chi ha scelto il titolo dell’articolo dando l’impressione che Piazza Santi Apostoli e Brancaccio siano parti complementari di una sinistra piu’ grande e non che i Santi Apostoli abbiano invece il compito di neutralizzare il Brancaccio e avere quindi una sinistra piu’ piccola e ininfluente mentre Pisapia apostolo di Renzi si prepara a fare da stampella al PD per una destra piu’ grande.

  • Ottimo! Questo è nello spirito e nel concreto un modo altro di fare politica. Sarà difficile “sfondare” ma non c’ è altra possibilita’ di futuro per la sinistra in Italia e, con lei, per la democrazia nel nostro sfigurato Paese. Tenete duro su questa linea! Un grande grazie.

  • Sinistra e Civismo DEVONO restare separati per raggiungere in coalizione i numeri necessari per il cambiamento. Perchè per farlo non basta il 20%, ma occorre il 51%.

    E oso suggerire al prof. Mntanari, ne sento l’obbligo anche se so che sarà inutile, di ridurre il tasso di ideologia del suo dire, perchè quando si è nella paude fino alla gola, l’ideologia è un lusso che si può pagare affondando ancora un po’.

    P.e. sull’immigrazione: Continuare a parlare di “accoglienza” senza considerare che l’ONU prevede per il 2050 un incremento demografico africano di oltre un MILIARDO di individui, è una cieca assurdità incapace di guardare la realtà, che, come si dice, ha la testa dura!

    Il prof. Romano Prodi già nell’Aprile 14 firmava un editoriale sul Messaggero che titolava “Un salvagente per l’Africa, altrimenti l’immigrazione ci travolgerà”.

    Che vuol dire che solo l’Africa può ospitare un MILIARDO di nuovi africani: un’Africa bonificata dall rapina capitalistica, da guerre, da ignoranza demografica e ambientale, da insufficienza alimentare e altre facesie simili.

    Considerando che un € speso male in Europa, vale 20/50/100 € investiti in Africa. Ma si preferisce dare miliardi ad Erdogan.

    La solidarietà deve restare SOSTENIBILE altrimenti insterilisce e muore generando conflitti tra poveri cristi. Conflitti che i paesi europei, che chiudono progressivamente le frontiere, vogliono evitarsi. Dovrà farlo drammaticamente anche l’Italia costretta dalla dimensione delle migrazioni in atto e in prospettiva. Non ci sarà scampo: o la bonifica africana, oppure il Mediterraneo salirà di livello non solo per lo scioglimento dei ghiacci…

    Paolo Barbieri

  • Totalmente d’accordo con quanto scritto dal prof. Montanari! Grazie grazie per offrirci un barlume di speranza in questo sconfortante panorama. Tutti insieme c’è la faremo ad invertire la rotta, coraggio!!

  • Grazie come sempre per la lucidità dell’analisi, e grazie anche per aver suggerito la visione del video del discorso di Corbyn a Glastonbury. Lì c’è sangue, lì c’è passione, lì c’è una sana semplicità. Bellissimo. Professor Montanari l’aspettiamo a Milano!

  • Ho partecipato ad una delle assemblee indette secondo quanto indicato dall’articolo. Come cittadino interessato. Mi è parso di tornare indietro di 50 anni quando partecipavo alle assemblee del Movimento studentesco. Ciascuno a dire la sua, dal localismo più microscopico ai temi planetari. Questi ultimi trattati con inevitabile superficialità. Perché le questioni vanno approfondite: sempre e poi sempre i problemi affrontati nella loro globalità si rivelano più complicati e difficili di come appaiono dalla lettura dei giornali. Questo per dire che, pur apprezzando e condividendo, in linea di principio, il metodo proposto di costruzione dal basso di un confronto sulle cose, devo ammettere che, come già sperimentato per anni, semplicemente non funziona. Lo dico con rammarico, ma è così. Se la proposta per uscire da questa situazione è questa, temo si vada ancora una volta incontro all’ennesima delusione. Credo si debba avere l’umiltà e la disponibilità a provare qualcosa d’altro: per esempio, a partire dall’idea di una Lista civica Nazionale di Sinistra costruita non su un programma, ma su alcune priorità identitarie come quella citata dell’articolo, del ripristino dell’art. 18. E non tante altre.

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