Disciplinatamente da cittadino elettore, interessato ad impedire che questo Paese vada alle urne con una terza legge elettorale incostituzionale, il 18 ero al Teatro Brancaccio di Roma e il 1.mo luglio in piazza Santi Apostoli. Due manifestazioni diverse, una al chiuso di un teatro, con tanti interventi ma non abbastanza; l’altra all’aperto con sventolio di bandiere.
Un punto in comune: dobbiamo essere uniti per vincere la sfida in nome degli esclusi. Anche programmaticamente si chiede una netta discontinuità con le politiche governative e le “riforme” di Renzi. Una differenza di linguaggio non secondaria: al Brancaccio l’appello era principalmente alla sinistra. In Santi Apostoli, dove era nato l’Ulivo, l’appello all’unità abbracciava tutto il popolo del Centro-sinistra. Due processi alternativi, paralleli o convergenti: è presto per dirlo, finché dalle parole non si passa a fatti.
Tutti vanno messi alla prova di un processo inclusivo, se la nuova formazione deve essere larga e plurale. Per il momento siamo nella fase in cui gli organizzatori dell’evento decidono chi parla e chi non parla e persino di dare notizia di chi è presente.
Detto di passaggio, se è uno criteri per il diritto di parola è di essere società civile, donna e giovane, sorgono problemi. Né Sanders (nato nel 1941), né Corbyn (nato nel nel 1949), cui tutti inneggiano e che confidenzialmente sono Bernie e Jeremy, avrebbero diritto di parola: sono membri di un partito, fanno pare della casta parlamentare, sono uomini e decisamente anziani.
Grande assente, comunque, la legge elettorale: allo stato, in un Parlamento bicamerale paritario, grazie al voto delle italiane e degli italiani il 4 dicembre, per giocare un ruolo credibile bisogna essere almeno l’8%: per 2 progetti civici e di sinistra non c’è spazio.