Lettera al Corriere della Sera

21 Giu 2017

Tomaso Montanari

Caro direttore,

 

provo a rispondere ad alcune delle questioni sollevate dall’impegnato editoriale di Paolo Mieli pubblicato ieri.

L’assemblea del Teatro Brancaccio non c’entrava nulla con Libertà e Giustizia, ma era stata convocata da due semplici cittadini (Anna Falcone ed io), e ha dato la parola (per quattro quinti del suo svolgimento) ad altri cittadini. Hanno parlato ricercatori, membri di associazioni (da Libera all’Arci: ma a titolo personale), volontari, giornalisti, professionisti. Accomunati da un’idea: l’urgenza di rappresentare in Parlamento quella metà degli italiani che non vota più, e che è anche la parte più debole di questo paese.

È un’idea nata dall’esperienza referendaria: perché il 4 dicembre hanno votato anche alcuni milioni di italiani che di solito non lo facevano. E che ora non trovano niente che li rappresenti, a sinistra.

Abbiamo invitato anche i politici di professione: anche i protagonisti della lunga stagione dei governi di centrosinistra, e anche coloro che hanno votato sì al referendum. Senza alcuna proscrizione. Ma mettendo bene in chiaro, per il futuro, che il minimo comune denominatore di questa area di cittadinanza è l’attuazione (e non la rottamazione) della Costituzione, e la ricostruzione del ruolo sociale ed economico dello Stato, disfatto nel corso di lunghi anni in cui il centrosinistra italiano si è esplicitamente ispirato alle politiche di Tony Blair. La Costituzione e lo Stato: può darsi che siano obiettivi settari, estremisti o minoritari. A noi non sembra.

Non è questa l’unica singolarità di questa proposta. Che non punta alle primarie, ma ad un processo di partecipazione dal basso: perché non vuole federare le forze politiche esistenti. Vuole invece provare a fare su scala nazionale ciò che si è fatto per esempio a Padova: dove una coalizione civica di sinistra che riuniva anche alcuni partiti ha preso il 22,7 % dei voti. L’assemblea di ieri ha lanciato una proposta: non una o due leadership. Personalmente ho chiarito che non mi candiderò a nulla: ci sono già troppi leader in cerca di popolo, a sinistra. Mentre qua c’è un popolo che prova a capire come organizzarsi.

Per molti di noi è l’ultimo tentativo prima dell’astensione: perché non riusciamo a votare partiti che praticano o annunciano politiche di destra (il Pd del decreto Minniti, dello Sblocca Italia, della Buona Scuola, del Jobs Act, della ipocrita legge sulla tortura; un M5Stelle sempre più imprenditore della paura).

In modi diversi la Grecia, la Spagna, il Portogallo, la Francia e ora anche il Regno Unito contano forze che mettono in discussione i paradigmi portanti del neoliberismo, quelli per cui «lo Stato provvede da sé a eliminare il proprio intervento o quantomeno a ridurlo al minimo, in ogni settore della società: finanza, economia, previdenza sociale, scuola, istruzione superiore, uso del territorio» (Luciano Gallino). A chi, ieri, era al Teatro Brancaccio non interessano le geometrie variabili delle mille formazioni che sorgono e tramontano a sinistra del Pd, ma interessa comprendere se anche in Italia una forza del genere può provare ad affermarsi.

 

19 giugno 2017

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