Il Birrificio Messina

21 Giu 2017

I proprietari della storica birra di Messina, nota e gustata in Sicilia e fuori, decisero che la produzione doveva finire e lo stabilimento trasformarsi in appartamenti: la stessa sorte già toccata ad altri impianti produttivi in città.

Cominciò così, quattro anni fa, la resistenza delle famiglie di quindici operai: anni trascorsi a picchettare la fabbrica, tra insidie e burocrazia, la scoraggiante cessione del marchio a una multinazionale, l’illusione di un altro stabilimento, i ritardi criminali della Regione Sicilia, ma poi la scommessa del proprio tfr e la scelta di subentrare alla proprietà unendosi in cooperativa. Una tenacia eroica che fa ripartire la produzione e che prevale su tutto.

Questo workers buyout (l’acquisto, il controllo e la gestione di un’impresa da parte dei dipendenti) è stato possibile per due motivi: perché questa maestranza sa fare una birra artigianale, sana, buona e popolare e quindi ha un prodotto capace di stare sul mercato; perché ha avuto la fortuna di incontrare la Fondazione di Comunità, la Lega delle Cooperative, e grazie a loro, alcuni istituti bancari, come Unicredit, che hanno fatto il lavoro a servizio dell’impresa per il quale gli prestiamo i nostri soldi. Da qui è venuto il supporto giuridico, manageriale e finanziario senza di cui il coraggio e il saper fare non sarebbe stati sufficienti.

Un parte l’abbiamo avuta anche noi cittadini e consumatori: insistendo a chiedere questa birra nei supermercati e nelle pizzerie dove non la trovavamo per il dumping delle multinazionali, abbiamo obbligato anche la ristorazione e la grande distribuzione a vendercela.

Questa storia dice molto del senso di riscatto attraverso il lavoro che agita il sud. Ma ci fa vedere anche qualcosa di più paradigmatico: esiste una dimensione economica locale ancora non satura che può produrre da sé quello che consuma attraverso scelte di mercato che rimangono di mercato ma sono anche eticamente sostenute dal senso di appartenenza di una comunità. Etica, società e mercato possono stare insieme.

Ci fa vedere anche che un pezzo del futuro passa dal ritorno ai veri valori del modello cooperativo – una modalità moderna e fattiva di eguaglianza – che è stato  intenzionalmente degradato a meccanismo di intermediazione di manodopera, gradito tanto a sinistra quanto a destra. É su questioni come queste che dovremmo scegliere chi votare, ma pare che interessino poco rispetto a temi come lo sbarramento o la data delle elezioni.

Oggi lo stabilimento produce e dà lavoro. Occorre però difenderlo, perché la strategia delle multinazionali è micidiale. Ad esempio, è noto che una grandissima impresa del settore ha acquistato nove impianti in Italia ma ne ha chiusi sette. É lecito sospettare che molti investimenti di questo tipo non servano a produrre ma a conquistare un mercato? È lecito dubitare della retorica dell’investimento estero valido sempre e a prescindere? È anche contro questo e altri luoghi comuni che la storia del “Birrificio Messina” ha qualcosa da dirci.

(*) L’autore del testo è il coordinatore di Leg Messina. Si tratta del report dell’incontro del 27 maggio 2017, promosso da LeG Messina, con Debora Colicchia (Lega delle Cooperative), Gaetano Giunta (Fondazione di Comunità), Domenico Sorrenti (Birrificio Messina), Armando Hyerace (Libertà e Giustizia).

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