Ti abbiamo già dimenticato

29 Mar 2017

Ciao Michele, anch’io come altri ho provato a dimenticarti in fretta, a metterti da parte e soprattutto a non rileggere la tua ultima lettera. Non ci sono riuscito.

Mi spiace, tu non sei stato un noto cantante miliardario che nel pieno della notte e sotto gli effetti psichedelici di qualche droga si è sparato una fucilata, non sei nemmeno stato un grande imperatore che ha fatto, detto e costruito imprese faraoniche. Per te,nessun ricordo. Sei semplicemente Michele, giunto da uomo libero e andato via da uomo libero.

Non ci hai lasciato canzoni da canticchiare o conquiste da poter rileggere e magari studiare sui libri di storia, tu ci hai solamente descritto dettagliatamente il presente disagio in cui vivono milioni di ragazzi. Insomma ci hai sbattuto in faccia la felicità negata di una generazione tradita.

Peccato Michele che la politica, “tutta”, troppo impegnata in un affannato ladrocinio, non abbia saputo cogliere il tuo grido, non un commento, non una parola è pervenuta dalla nostra rappresentanza. E peccato che la leggerezza degli italiani abbia soffocato in un paio di settimane la tua lettera.

Tutto deve continuare, tutto deve proseguire, vero! Ma non questa volta, non così, non per me.

L’Italia intera doveva fermarsi e interrogarsi sulle motivazioni della tua rinuncia alla vita.

La resa di un uomo formato culturalmente e umanamente.

La politica aveva l’obbligo di cogliere il tuo grido e farne il primo punto di un nuovo programma, dalla tua lettera poteva ripartire una nazione che avrebbe dovuto avere come compito la riorganizzazione.

Invece non è andata così, l’Italia, tutta, ha snobbato il disagio di milioni di ragazzi manifestato dalle tue parole.

Io invece caro Michele, non riesco a dimenticarti, troppo veri i tuoi concetti, troppo concreti i tuoi pensieri e sono devastanti gli interrogativi che ancora mi pongo.

Ma la cosa che sfianca ancor di più è la mia inutilità, la stessa che sentivi tu nel non riuscire a cambiare lo stato generale delle cose.

(*) L’autore è socio del circolo LeG di Bologna. Il testo si riferisce al suicidio del trentenne friulano che nel suicidarsi, ormai due mesi fa, ha lasciato una lettera-denuncia contro il precariato, il disagio di una generazione tradita, il furto di felicità. I suoi genitori hanno deciso di farla pubblicare.

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L’addio di Michele

Ho vissuto (male) per trent’anni, qualcuno dirà che è troppo poco. Quel qualcuno non è in grado di stabilire quali sono i limiti di sopportazione, perché sono soggettivi, non oggettivi.

Ho cercato di essere una brava persona, ho commessi molti errori, ho fatto molti tentativi, ho cercato di darmi un senso e uno scopo usando le mie risorse, di fare del malessere un’arte.

Ma le domande non finiscono mai, e io di sentirne sono stufo. E sono stufo anche di pormene. Sono stufo di fare sforzi senza ottenere risultati, stufo di critiche, stufo di colloqui di lavoro come grafico inutili, stufo di sprecare sentimenti e desideri per l’altro genere (che evidentemente non ha bisogno di me), stufo di invidiare, stufo di chiedermi cosa si prova a vincere, di dover giustificare la mia esistenza senza averla determinata, stufo di dover rispondere alle aspettative di tutti senza aver mai visto soddisfatte le mie, stufo di fare buon viso a pessima sorte, di fingere interesse, di illudermi, di essere preso in giro, di essere messo da parte e di sentirmi dire che la sensibilità è una grande qualità.

Tutte balle. Se la sensibilità fosse davvero una grande qualità, sarebbe oggetto di ricerca. Non lo è mai stata e mai lo sarà, perché questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità. Non la posso riconoscere come mia.

Da questa realtà non si può pretendere niente. Non si può pretendere un lavoro, non si può pretendere di essere amati, non si possono pretendere riconoscimenti, non si può pretendere di pretendere la sicurezza, non si può pretendere un ambiente stabile.

A quest’ultimo proposito, le cose per voi si metteranno talmente male che tra un po’ non potrete pretendere nemmeno cibo, elettricità o acqua corrente, ma ovviamente non è più un mio problema. Il futuro sarà un disastro a cui non voglio assistere, e nemmeno partecipare. Buona fortuna a chi se la sente di affrontarlo.

Non è assolutamente questo il mondo che mi doveva essere consegnato, e nessuno mi può costringere a continuare a farne parte. È un incubo di problemi, privo di identità, privo di garanzie, privo di punti di riferimento, e privo ormai anche di prospettive.

Non ci sono le condizioni per impormi, e io non ho i poteri o i mezzi per crearle. Non sono rappresentato da niente di ciò che vedo e non gli attribuisco nessun senso: io non c’entro nulla con tutto questo. Non posso passare la vita a combattere solo per sopravvivere, per avere lo spazio che sarebbe dovuto, o quello che spetta di diritto, cercando di cavare il meglio dal peggio che si sia mai visto per avere il minimo possibile. Io non me ne faccio niente del minimo, volevo il massimo, ma il massimo non è a mia disposizione.

Di no come risposta non si vive, di no si muore, e non c’è mai stato posto qui per ciò che volevo, quindi in realtà, non sono mai esistito. Io non ho tradito, io mi sento tradito, da un’epoca che si permette di accantonarmi, invece di accogliermi come sarebbe suo dovere fare.

Lo stato generale delle cose per me è inaccettabile, non intendo più farmene carico e penso che sia giusto che ogni tanto qualcuno ricordi a tutti che siamo liberi, che esiste l’alternativa al soffrire: smettere. Se vivere non può essere un piacere, allora non può nemmeno diventare un obbligo, e io l’ho dimostrato. Mi rendo conto di fare del male e di darvi un enorme dolore, ma la mia rabbia ormai è tale che se non faccio questo, finirà ancora peggio, e di altro odio non c’è davvero bisogno.

Sono entrato in questo mondo da persona libera, e da persona libera ne sono uscito, perché non mi piaceva nemmeno un po’. Basta con le ipocrisie.

Non mi faccio ricattare dal fatto che è l’unico possibile, io modello unico non funziona. Siete voi che fate i conti con me, non io con voi. Io sono un anticonformista, da sempre, e ho il diritto di dire ciò che penso, di fare la mia scelta, a qualsiasi costo. Non esiste niente che non si possa separare, la morte è solo lo strumento. Il libero arbitrio obbedisce all’individuo, non ai comodi degli altri.

Io lo so che questa cosa vi sembra una follia, ma non lo è. È solo delusione. Mi è passata la voglia: non qui e non ora. Non posso imporre la mia essenza, ma la mia assenza si, e il nulla assoluto è sempre meglio di un tutto dove non puoi essere felice facendo il tuo destino.

Perdonatemi, mamma e papà, se potete, ma ora sono di nuovo a casa. Sto bene.

Dentro di me non c’era caos. Dentro di me c’era ordine. Questa generazione si vendica di un furto, il furto della felicità. Chiedo scusa a tutti i miei amici. Non odiatemi. Grazie per i bei momenti insieme, siete tutti migliori di me. Questo non è un insulto alle mie origini, ma un’accusa di alto tradimento.

P.S. Complimenti al ministro Poletti. Lui sì che ci valorizza a noi stronzi.

Ho resistito finché ho potuto.

Il link del quotidiano che pubblicò la lettera-denuncia del giovane

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2017/02/07/news/non-posso-passare-il-tempo-a-cercare-di-sopravvivere-1.14839837

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