PD, UNA CRISI ANNUNCIATA

18 Mar 2017

Il deputato Emanuele Fiano ha in poche ore accertato che i guai del Pd si riducono a pochi episodi isolati, e che gli anticorpi del partito sono in piena efficienza. Pare di sentire il Don Ferrante dei Promessi Sposi, che nega con dovizia di dotti argomenti l’esistenza della peste. Ma, come ci narra Manzoni, la peste “gli s’attaccò; andò a letto, a morire”.

Anzitutto, la malattia non è limitata a pochi casi di oggi. Vediamo personaggi che abbiamo conosciuto nelle famigerate primarie del 2011, o ancor prima. La febbre era ed è alta, e la dirigenza del partito non ha voluto o saputo fare nulla per sradicarla. Del resto, come poteva andare diversamente quando i leaders nazionali sopravvivono appoggiandosi a capi e capetti locali, che organizzano consensi e tessere e contrattano il proprio sostegno al miglior offerente? Essenzialmente per questo i commissari / plenipotenziari sono sempre tornati a casa con le pive nel sacco. Quelli venuti a Napoli prima di Fiano erano autorevoli e capaci. Ma le armi, lanciafiamme inclusi, sono sempre rimaste inutilizzate.

È poi evidente che la malattia non è limitata a specifici territori. Notizie di mercimoni in corso filtrano da altre città e regioni. E non dimentichiamo vicende come quella ligure con l’abbandono di Cofferati, o il voto cinese nelle primarie per il candidato sindaco a Milano. A tutto questo si aggiunge il fangoso impasto tra politica e affari che si è raggrumato intorno a Palazzo Chigi negli anni del renzismo, anch’esso sintomo inequivocabile di una degenerazione in atto nel Pd. La condanna di Verdini segnala come possano essere spregiudicate e pericolose le alleanze e la scelta dei compagni di strada. È una vera fortuna che il popolo sovrano gli abbia negato la medaglia di padre costituente.

Qualcuno parla di una tempesta perfetta sollevata contro Renzi. Non è così. È l’essenza stessa del partito che è in discussione. La radice del problema si trova nel dissolvimento del radicamento territoriale e della militanza, e nella riduzione del partito a comitato elettorale da sollecitare in questa o quella occasione al servizio di questo o quel candidato. Che il Pd stesse correndo verso un disastro si poteva già dire guardando alle porte dei circoli desolatamente chiuse, salvo che all’approssimarsi di un voto. I veri guardiani di un partito non sono le commissioni di garanzia date in subappalto a clan e correnti, ma i militanti che si riconoscono in una comunità che discute, si confronta, e contribuisce al progetto politico del partito. Sono loro i primi controllori di un tesseramento corretto. E un partito vive se riconosce questa militanza, la assume e la valorizza. Se tutto questo manca, rimangono solo clientelismo, familismo, scambi di favori, lotta per poltrone e strapuntini. I bisogni delle persone, delle famiglie, dei territori, le speranze di vita, la domanda di un futuro migliore scompaiono, o nel migliore dei casi diventano oggetto specifico del mercimonio.

Qualcosa si poteva fare per evitare il peggio. Il gruppo dirigente del Pd ha sbagliato scegliendo la via della primaria aperta, per di più al di fuori di qualsiasi regolamentazione normativa generale. Già la primaria aperta è intrinsecamente contraddittoria con qualunque idea di partito. Perché mai qualcuno dovrebbe impegnarsi a contribuire alla vita del partito, se poi quando conta davvero decide qualcun altro? Scegliere le primarie aperte ha significato scambiare il partito con l’apparente legittimazione personale derivante una tantum dal voto popolare. Una legittimazione destinata a dissolversi al primo soffio di vento. Ed è stata offerta una autostrada alla degenerazione, quando non alla corruzione tout court.

Inoltre, la buona vecchia regola suggeriva che in tempi congressuali il tesseramento fosse bloccato mesi prima della data fatidica. Ammettere nuove tessere fino all’ultimo momento può solo provocare guai, e aprire la strada a pratiche e scambi inaccettabili. Forse, l’affanno che ha segnato l’avvio del congresso ha impedito scelte meditate. Ed è davvero un paradosso che ci si scanni ora sulle tessere, quando poi il segretario sarà eletto da chiunque si trovi a passare e versi un obolo.

Tutto era scritto, e non da oggi. Non pochi assistono a quel che accade con dolore e rabbia, ma non con meraviglia. Soprattutto chi ha creduto nel partito come strumento essenziale e non sostituibile della democrazia e di una politica pulita. A quel partito è difficile tornare. Ma di certo bisogna provarci.

 

La Repubblica Napoli, 04 Marzo 2017

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