Discorso per l’elezione a presidente

Cari amici di Libertà e Giustizia,

vi ringrazio per la vostra fiducia, che cercherò di meritare servendo l’associazione come un pari tra i pari.

Lo scambio di ruoli tra me e Nadia Urbinati è il segno di una perfetta continuità, quella di una presidenza collegiale che continuerà ad essere composta dalle stesse persone (Tomaso Montanari, Nadia Urbinati, Sandra Bonsanti, Lorenza Carlassare, Roberta De Monticelli, Paul Ginsborg, Valentina Pazè, Elisabetta Rubini), alle quali ha accettato di aggiungersi Salvatore Settis: che saluto e ringrazio con affetto.

Vorrei salutare e ringraziare anche i nostri garanti, tra i quali permettemi di ricordare con affetto Alberto Vannucci.

Vorrei, poi, ringraziare soprattutto Nadia, per lo splendido lavoro che ha fatto in questo duro anno di presidenza: l’anno della durissima, faticosa quanto esaltante, campagna referendaria. Un anno che il 4 dicembre ha avuto il suo faustissimo culmine anche grazie al suo impegno.

Vorrei quindi ringraziare calorosamente, e salutare con affetto, il nostro presidente onorario (e per così dire nume tutelare) Gustavo Zagrebelsky, la nostra presidente emerita Sandra Bonsanti (cuore pulsante di Libertà e Giustizia), e quindi tutti coloro che lavorano per e insieme a noi. Permettetemi di ricordare almeno Stefano Innocenti (l’uomo macchina di Libertà e Giustizia), Gioia Baggio (il cui lavoro di segreteria è ogni giorno più prezioso), Rossella Guadagnini (la nostra voce!).

E poi Francesco Pallante, cioè l’anima organizzativa ma soprattutto culturale e morale delle Scuole: che sono lo strumento più importante, tra i tanti di Libertà e Giustizia. Ed è per questo che chiedo a Francesco di voler essere stabilmente associato al lavoro del Consiglio di Presidenza.

Infine, grazie al meraviglioso Circolo di Bologna che ha organizzato in modo impeccabile, generoso e festoso (goloso, direi anche), questa nostra bellissima giornata.

A proposito dei circoli, vorrei dire subito che, durante la mia presidenza, li visiterò personalmente tutti (insieme ai membri della presidenza che vorranno e potranno accompagnarmi), con incontri di circoli e incontri pubblici, secondo modalità che vi proporrò presto. I circoli sono la vista stessa di Libertà e Giustizia, e il mio primo impegno sarà per la loro crescita, la loro salute, il loro proficuo lavoro.

E ora, vorrei dire poche parole sul cammino che ci aspetta.

Non tanto sui temi, sulle sfide, sui nodi che affronteremo: perché su questo il bellissimo, altissimo, discorso che Nadia ha appena pronunciato trova la mia totale, sperticata, approvazione.

I quattro punti focali allineati da Nadia – il lavoro (la sua dignità e il suo nesso intimo con la democrazia), la scuola pubblica (che bisogna avere il coraggio di ‘deriformare’), l’uguaglianza (la vera grande questione del nostro tempo), e l’Europa (con una sovranità europea da costruire su strade diverse da quelle che sembrano ora portarla alla fine) – e quelli fissati dal messaggio di Gustavo bastano a dirci cosa dobbiamo fare, e come vogliamo farlo.

Da parte mia vorrei solo offrire alla nostra riflessione comune, quattro testi che mi paiono altrettante torce, utili a illuminare il nostro cammino prossimo.

Il primo è un passo delle Città invisibili di Italo Calvino:

«L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio».

Ebbene, ci siamo opposti fieramente a chi minacciava di fare tabula rasa della civile convivenza attaccando la nostra Costituzione. Abbiamo combattuto una buona battaglia. Ora, in questo tempo di pace – per quanto è possibile che lo sia e per quanto durerà – credo che Libertà e Giustizia debba investire altrettanta energia nella ricerca, nell’aiuto e nel sostegno di ciò che «non è inferno». L’articolo 2 del nostro Statuto – e a noi piace attuarli, gli statuti! – dice che Libertà e Giustizia «dà impulso a rapporti e intese con persone fisiche e giuridiche, enti, organizzazioni, movimenti, associazioni, fondazioni che perseguono fini analoghi». Ecco, è quello che dobbiamo fare: intraprendendo un cammino comune con ciò che «non è inferno». Penso all’Anpi (e qua saluto con deferente affetto il suo presidente Carlo Smuraglia, uno dei punti di riferimento morale del Paese), a Libera e a molte altre realtà. Più in generale, Libertà e Giustizia deve essere capace di vedere, incoraggiare, abbracciare gli annunci di futuro, le promesse di cambiamento che punteggiano il Paese senza che nessuno presti loro attenzione.

Accanto alla costruzione del futuro, la critica del presente. «Uno degli idoli più comuni – scrive Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere – è quello di credere che tutto ciò che esiste è naturale esista». Ecco, Libertà e Giustizia non deve stancarsi di sottoporre ad una critica radicale tutto ciò che esiste.

Riusciremo a convincere i nostri concittadini? Non è forse questa la domanda giusta, come ci ricorda un passo dedicato a Martin Buber dal magnifico saggio di Michael Walzer sull’intellettuale militante:

«Il successo così come viene misurato dal mondo non è il metro adatto a valutare la critica sociale. Il critico si misura dalle tracce che recano coloro che lo ascoltano e leggono le sue opere, dai conflitti che egli li costringe a sperimentare, non solo nel presente, ma anche nel futuro, e dai ricordi che quei conflitti lasciano. Egli non riscuote successo convincendo la gente – poiché a volte ciò è semplicemente impossibile – quanto mantenendo viva la discussione critica. Buber si sentì abbastanza spesso come un profeta nel deserto, ma la reazione giusta a questa sensazione, egli scrisse, non «è ritirarsi nel ruolo dello spettatore silenzioso, come fece Platone». Il profeta deve continuare a parlare «deve trasmettere il suo messaggio. Verrà frainteso, mal interpretato, usato in maniera impropria, o potrà persino rafforzare e indurire la gente nella sua mancanza di fede. Ma il suo pungiglione brucerà dentro di loro per tutto il tempo»

In una società, e in una politica, in cui il ‘successo’ è l’unico metro di giudizio, il minimo che ci deve aspettare da un’associazione come Libertà e Giustizia è la conoscenza e la pratica di un metro alternativo. La reazione alla marginalizzazione del pensiero critico non può essere l’abbandono della critica, e l’endorsement del reale: o l’unico risultato sarà privare i nostri concittadini di una delle funzioni fondamentali di una democrazia moderna complessa. Ebbene, noi vogliamo garantire questa funzione.

Ma la critica è sufficiente? In moltissimi, dopo il 4 dicembre, chiedono – a molti di noi singolarmente e a Libertà e Giustizia come associazione – di ‘scendere in campo’, cioè di candidarci, o trasformarci in una lista, o in un partito. Nadia e Gustavo hanno già detto perché non lo faremo.

Io qua vorrei aggiungere, grazie ad una magnifica riflessione di Norberto Bobbio, che noi facciamo già politica, ma una ‘politica diversa’:

Solo chi crede che la politica non sia tutto giunge a convincersi che la cultura svolge un’azione a lunga scadenza, anch’essa politica, ma di una politica diversa. La politica ordinaria, piacerà o non piacerà, è la sfera dei rapporti umani in cui si esercita la volontà di potenza, anche se coloro che la esercitano credono che la loro potenza – beninteso non quella degli altri – sia a fin di bene. Ne abbiamo esempi sotto gli occhi tutti i giorni. E del resto che altro è la storia dei conflitti politici che hanno insanguinato la storia umana se non la storia di classi dominanti che schiacciano le classi dominate e altre classi dominanti, in una catena senza fine di cui conosciamo il primo anello – Caino che uccide Abele – ma non siamo in grado di prevedere l’ultimo (Caino che uccidendo Abele finirà per uccidere anche se stesso?). Solo chi crede in un’altra storia – vi crede perché la vede correre parallelamente alla storia della volontà di potenza –, può concepire un compito della cultura diverso da quello di servire i potenti per renderli più potenti, o da quello, ugualmente sterile, di appartarsi e di parlare con se stesso. Io personalmente credo, ho sempre creduto, in quest’altra storia.

Ecco, anche noi vediamo correre quest’altra storia, non fatta di volontà di potenza, ma di conoscenza, critica, ricerca. E sentiamo di farne parte. E sentiamo anche che la prima politica – quella attiva, quella elettiva: che è una cosa nobile e necessaria – ha bisogno di quest’altra politica, intorno a sé. Insomma, se vogliamo evitare che la politica si trasformi in potere, è necessario un continuo, attivissimo, esercizio critico diffuso: e questa è la nostra missione. Forgiare gli strumenti attraverso i quali i cittadini possano esercitare la loro sovranità.

Abbiamo detto cosa vogliamo fare, e come vogliamo farlo. Vorrei aggiungere – infine – perché vogliamo farlo. Un ‘perché’ che ha a che fare con la dedizione, vorrei dire con l’amore, che spinge ciascuno di voi ad essere qua, oggi, e a dedicare una parte delle vostre energie e della vostra vita a Libertà e Giustizia.

Vorrei dirlo con alcune delle parole che Platone, nell’Apologia, presta a Socrate:

Ora mi si potrebbe dire: «Ma una volta via di qui, Socrate, non potreste startene zitto e quieto?» Ecco precisamente il punto su cui è più difficile persuadere alcuni di voi … Perché se affermo che ciò significherebbe disubbidire al dio, per cui di stare quieto non i riuscirebbe, non mi crederete e penserete che sto scherzando … Ancor meno mi crederete se dico che il più grande bene dato all’uomo è proprio questa possibilità di ragionare quotidianamente sulla virtù e sui vari temi su cui mi avete sentito discutere o esaminare me stesso e altri, e che una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta dall’uomo. Ma le cose stanno così, e ve lo ripeto anche se non è facile persuadervene.

Socrate potrebbe salvarsi, se acconsentisse a farsi i fatti propri: tacendo, una buona volta. E ciascuno di noi potrebbe ‘salvare’ tempo, energie – e forse anche occasioni e rapporti e piccoli e grandi poteri – tacendo, e smettendo di occuparsi del bene comune.

Ma la verità è che non possiamo farlo: il senso morale – la nostra aspirazione alla libertà e il nostro senso di giustizia – ce lo impediscono, come il ‘dio’ lo impediva a Socrate.

E, con Socrate, anche noi di Libertà e Giustizia pensiamo che «una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta dall’uomo».

Buon lavoro, buon viaggio insieme, e grazie!

Tomaso Montanari

(*)  Il testo è stato letto a Bologna, sabato 11 marzo, in occasione dell’assemblea annuale dei soci

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