IL RICORDO DI GIOVANNI FERRARA. LO STORICO CHE INSEGNAVA AD ESSERE LIBERI

IL RICORDO DI GIOVANNI FERRARA. LO STORICO CHE INSEGNAVA AD ESSERE LIBERI

Tante volte mi aveva detto che la morte di un insegnante è leggera se arriva nell’aula di una università, nel mezzo di una discussione fra studenti e maestri, comunque individui che stanno dedicando tempo e passione ai grandi problemi irrisolti della democrazia.

Così, quando dieci anni fa, Giovanni Ferrara ci lasciò sulle ultime parole pronunciate contro la diseguaglianza sociale, in un seminario di Libertà e Giustizia all’università di Pavia, pensai per un attimo che il destino gli era stato amico.

Giovanni amava l’insegnamento e il dialogo più d’ogni altra cosa, era stato per molti soprattutto a Firenze il maestro che tutti vorremmo aver avuto.

Sulla scrivania, al mio ritorno e nell’angoscia di quei giorni trovai un biglietto, come spesso faceva. Ma questo era speciale, perché lo aveva firmato. Dice: «In Italia la libertà è abbastanza vecchia da esser dimenticata e troppo giovane per essere forte».

La libertà, per lui che da ragazzo aveva conosciuto la dittatura fascista, fu insieme una vocazione e un tormento. Era alla base di ogni pensiero, come consolidarla, come vigilare, come raccontarla. Lui lo sapeva fare. Suo padre lo aveva chiamato Giovanni in ricordo di Giovanni Amendola, amico e collega di giornalismo nella battaglia decisiva per la libertà.

Non so ricordarlo che così, ora che dieci anni difficili sono passati e che in tanti ci sentiamo ancora in dovere di essergli grati per le sue parole indimenticabili, per il suo sorriso, per la comprensione dell’animo umano.

Oggi sarò con i ragazzi di un liceo.

Umilmente parlerò di libertà, per far sì che sia un pochino più forte, come avrebbe voluto e come avrebbe saputo fare, molto meglio di me, Giovanni Ferrara.

La Repubblica ed. Firenze, 23 Febbraio 2017

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