Il corto circuito tra politica e istituzioni

09 Feb 2017

La pronuncia della Corte costituzionale non ha sciolto i nodi politici, ma ha certamente aperto una fase nuova passando la palla alle forze in parlamento. E mentre è vero per i giuristi che la lettura di una sentenza richiede le motivazioni, così non è necessariamente per i politici. Per quel che serve, il risultato è già definito: no al ballottaggio, sì al premio con soglia e ai capilista bloccati.

Dei tre elementi essenziali dell’Italicum, solo uno cade. Si discuterà molto della continuità della pronuncia sull’Italicum rispetto alla sentenza 1/2014 sul Porcellum. Ma conta che con la normativa di risulta il disegno politico-istituzionale di Renzi – concentrazione del potere sul leader e sull’esecutivo, asservimento delle assemblee elettive, riduzione degli spazi di partecipazione democratica – è intaccato ma non cancellato. La disproporzionalità possibile tra voti e seggi rimane molto – troppo– alta. E il voto bloccato sui capilista può comunque produrre l’effetto che i deputati siano in granparte sottratti alla scelta degli elettori.

In queste ore traspaiono i calcoli di convenienza delle forze politiche. Renzi ha immediatamente assunto come obiettivo primario il 40% e il premio conseguente. Lo stesso Grillo, per M5S. Ma anche la Lega guarda con interesse al premio con soglia, come strumento di potere contrattuale verso Forza Italia. Lo stesso vale per quella parte della sinistra fuori del Pd che considera inevitabile muoversi insieme al Pd in una prospettiva di governo. E possiamo anche aggiungere quelli che nel Pd alzano i toni contro il segretario. È dubbio che – ad oggi – ci siano in parlamento i numeri per cancellare il premio, o per innalzare la soglia sopra il 40%.

Quanto ai capilista bloccati, nessuno può dirlo in chiaro, ma a molti non dispiace affatto che siano sopravvissuti. Tutto questo spiega l’accordo raggiunto alla Camera tra Pd, M5S, Lega e FdI per iniziare il 27 febbraio le danze, con l’intenzione di estendere il Consultellum camera al senato e minimi aggiustamenti. Un accordo che poi Grillo ha denunciato, avendo capito – magari un po’ in ritardo – che a M5S, per le sue peculiarità, i capilista bloccati non interessano. E che le ultime convulse ore forse hanno già superato.

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Politica e istituzioni sono entrate in un corto circuito dal quale faticano a uscire. Il parlamento delegittimato una prima volta nel 2014, e nuovamente delegittimato nel 2017 perché recidivo nella volontà di forzare gli argini costituzionali, è ancora chiamato a scrivere con la legge elettorale la più alta regola della democrazia. Come può cogliere il senso del voto referendario del 4 dicembre, che è stato soprattutto il rigetto di un modo arrogante e chiuso all’ascolto di esercitare il potere, di ridurre il governo al comando? È proprio questa filosofia del governare che può alla fine trovarsi confermata se si accetta la normativa di risulta per la camera così com’è, magari estendendola al senato. A questo obiettivo punta Renzi quando chiede il voto subito, con argomenti collaterali quali lo slittamento dei referendum Cgil, e il voto prima di una legge di stabilità che quest’anno si preannuncia dura. Cresce la fronda nel Pd, e persino un ministro prende posizione contro il voto subito.

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Ma il disegno in campo si contrasta davvero in altro modo: costruendo a sinistra un progetto politico alternativo rispetto a quello portato avanti, e in parte realizzato, dagli ultimi governi. Un progetto che dia una nuova centralità ai diritti e ai bisogni della persona, come la Costituzione vuole, sul quale far convergere tutta la sinistra degna di questo nome e quella parte del paese che si è riaccostata all’impegno civile con il voto del 4 dicembre. Un progetto che sia competitivo nel paese, qualunque sia la regola elettorale che alla fine si sceglierà.

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Per un progetto e una sinistra di tal genere è utile una robusta correzione in chiave proporzionale della normativa di risulta. Non basta ad escluderla il trito argomento della governabilità, come ha argomentato Floridia su queste pagine. Se tale fosse l’esito della confusione di oggi, avremmo ritrovato – quale che fosse la data del voto – un paese civile che pensavamo di avere perduto.

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Il manifesto, 3 febbraio 2017

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