Università, anno zero/Roma Tre, Emma Nardi: “Bisogna insegnare a scrivere una mail”

08 Feb 2017

“Non posso credere che non abbia superato neanche questa volta l’esame del 8 febbraio. Inoltre vorrei sapere con quanto non lo superato. Tenevo molto a quest’esame e aspettando in una sua risposta la ringrazio”. Cosa deve fare un professore universitario quando si trova questo messaggio di posta elettronica nel suo computer? Se lo è chiesto nel 2010, ben prima dell’appello-denuncia dei seicento professori sull’incapacità degli studenti di scrivere in italiano, la professoressa Emma Nardi, docente di Docimologia e direttrice del Centro di Didattica Museale al Dipartimento di Pedagogia sperimentale dell’Università Roma Tre.

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Invece di lasciarsi prendere dallo sconforto, o di incolpare chi l’aveva preceduta, ha deciso invece di creare lei stessa un progetto per re-insegnare l’italiano ai suoi studenti, progetto che ha scelto di chiamare “Silenziosa luna”, come un verso del noto “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia” di Leopardi (Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi che fai, silenziosa luna?: “Sono versi perfetti nella semplicità della forma, del lessico, della punteggiatura”).

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Il punto di partenza sono stati proprio i messaggi di posta elettronica che riceveva, pieni di errori di forma, sintassi e persino ortografia. “Ho sentito di dover fare qualcosa per i miei studenti: me li immaginavo scrivere ai futuri datori di lavoro messaggi mal formulati e sgrammaticati, quando le poche righe che accompagnano il curriculum sono il loro primo biglietto da visita”. Dalla cartellina del progetto escono, uno dopo l’altro, strafalcioni di vario genere, riscritti pazientemente da Nardi in forma corretta e rinviati allo studente con tanto di spiegazione. Anzitutto, errori di registro.

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Ad esempio “Salve prof”, una delle formule di saluto più utilizzate (“Registro sbagliato, ai professori non ci si rivolge in tono solenne, né scherzoso”), così come “Le chiedo gentilmente”, che vuole dire “con gentilezza” (“Ma che senso ha dire ‘Le chiedo con gentilezza’? Avrebbe senso ‘chiedere scortesemente?’”). Anche il continuo scusarsi per il disturbo è un errore, “perché”, continua Nardi, “o gli studenti chiedono cose legittime e hanno quindi diritto a una risposta, oppure chiedono informazioni che avrebbero potuto reperire senza scrivere ai docenti e allora non dovrebbero scrivere affatto”.

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Gettonatissimi, poi, gli errori di sintassi. Ad esempio c’è chi usa una frase interrogativa indiretta, e piazza il punto interrogativo alla fine (“Le volevo chiedere se le Sue lezioni sono sempre il lunedì a Piazza della Repubblica?”). Oppure chi inciampa in una frase surreale: “Mi scusi professoressa per il mio disturbo”. Infine, ci sono gli errori di ortografia veri e propri, come “Mi sono iscritta al laboratorio ma non ho capito in cosa coinsiste”, oppure “Non ho finito in tempo da trascrivere sul foglio di correzzione le risposte”, o ancora “Professoressa vorrei portare il programma vecchio perché non ce tempo per quello nuovo”.

“Gli errori più frequenti”, spiega Nardi, “riguardano gli accenti, i monosillabi che richiedono accento o apostrofo come ‘ce n’è’ (scritto di volta in volta ‘c’è ne’, ‘ce ne’, ‘c’è n’è’), ancora la virgola tra soggetto e predicato, ormai un fatto comune.

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A noi capita di riderci, ma il problema è che questi studenti non si rendono conto del ridicolo in cui possono cadere. I professori, però, non devono solo scandalizzarsi ma sdrammatizzare, evitare di assumere un atteggiamento paternalista. A una studentessa che dimenticava le virgole, feci questo esempio: ‘Vado a mangiare nonna’, e sotto le scrissi: ‘Usa una virgola, salva una vita, salva la nonna!’. D’altra parte, il problema è che gli studenti universitari troppo spesso arrivano alla tesi senza aver mai scritto una riga. Nessuno insegna loro a scrivere, né negli atenei, né nelle scuole superiori. Insomma, è chiaro che poi arrivano in quelle condizioni. Per chiudere con una nota positiva: talvolta li salva l’ironia. Penso a quello studente che parafrasò Leopardi così: ‘Che fai tu, prof, al tuo pc? Dimmi che fai, noiosissima prof?’”.

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Il Fatto Quotidiano, 7 febbraio 2017

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