Riflessioni sul rapimento e assassinio di Moro

24 Gen 2017

 

  1. Il breve articolo “Moro, la ‘verità ’ delle lettere e il ruolo del mondo cattolico” dello storico del cristianesimo Gian Luca Potestà che appare nel num. 6, 2016, del bimestrale dell´Università Cattolica Vita e Pensiero è stato fatto rientrare nella sezione Polemiche culturali, ma non vi è alcunche’ di polemico in esso, ne’ esso prende lo spunto da qualche pubblicazione recente sul tema per commentarla criticamente. E’ piuttosto un breve riesame dei fatti, che resta senza alcuna risposta quanto alla domanda “Quale valore fu realmente attribuito alla vita del prigioniero, quale prezzo si voleva, si poteva o si doveva pagare per cercare di salvarla?”, ma che diventa una meditazione sul messaggio religioso delle famose lettere.
    Vorrei considerare brevissimamente il primo aspetto, il riesame dei fatti, per poi passare un po’ più diffusamene al secondo, che invece si propone di illustrare una tesi impegnativa e interessante: le lettere del disgraziato uomo politico dal covo sarebbero “tra i documenti letterari e teologici più vivi del Novecento italiano.”
  2. Il giudizio di Potestà è che il mondo cattolico non seppe trovare un´iniziativa unitaria capace di imporsi e di salvare Moro. Tuttavia Potestà non rileva che nella frenesia e incertezza di quei giorni risuonò la parola di Paolo VI, che chiese agli “uomini delle Brigate Rosse” di liberare Moro, un innocente, senza condizioni. Io credo che quell´atto fu la risposta cristiana e cattolica più profonda ed efficace a cui si potesse pensare, anche se Potestà riferisce che Moro non ne fu soddisfatto.
  3. I cattolici che si occuparano del caso a vario titolo e con varie iniziative e dichiarazioni erano anch´essi, come tutti, divisi sul problema dell´autenticità delle lettere. Perche’ la richiesta di resa alle Brigate Rosse, soprattutto immediatamente dopo l´efferata strage della scorta di Moro, sembrava incredibile. E cosi’ l´acrimonia di quell´uomo solitamente tanto misurato e cortese. Francesco Cossiga, allievo e amico di Moro, nonche’ in quei momenti Ministro dell´Interno, affermò che “non erano moralmente autentiche”, un giudizio condiviso da molti, democristiani e non, cattolici e non. Questo irritò e amareggiò Moro profondamente. Egli era sempre stato, osserva Potestà interpretando Moro e temo consentendo con lui, per una “politica come sforzo di mediazione e di inclusione di soggetti sempre più ampi e lontani entro l´orizzonte di una democrazia partecipativa, il cui fondamento deve restare saldamente ancorato al mondo della vita”, un commento alquanto… moroteo nella sua intollerabile ambiguità. Il “fondamento” dell´accordo con le Brigate Rosse resterebbe “saldamente ancorato al mondo della vita” di Moro, e al mondo della morte per strage della scorta di Moro.
  4. Possiamo chiederci se valga la pena di morire per lo Stato. Possiamo prenderla più alla larga, e chiederci se vi siano cose per le quali valga la pena di morire. Ma certo. Per salvare la vita del suo amato nipotino, lo stesso Moro non avrebbe esitato. Dopo tutto sacrificare la propria vita per la salvare quella di altri e’ visto addirittura come una prova di elevata virtù e una forma di eroica santità. Ma per lo Stato? Lo Stato e’ una pura astrazione. E, si potrebbe dire, non occorre essere Moro per rifiutarsi di morire per un´astrazione. E` qui che soccorre un po’ di filosofia del diritto, di cui era esperto conoscitore e che aveva anche insegnato all´Università. Occorre distinguere le astrazioni che siamo portati a fare per descriverlo, e la sua natura, la sua… realtà. Spettrale e glaciale, se vogliamo, perche’ fatta di norme. Norme coordinate e gerarchizzate, al fine di rendere possibile la civile convivenza di gente intermittentemente soggetta a spaventosi richiami barbarici. Se dunque lo Stato è l´infrastruttura giuridica che non solo, secondo il pensiero liberale, rende possibile la pace e l´ordine, ma anche, secondo il pensiero progressista anche cattolico, il perseguimento di grandi fini collettivi di solidarietà sociale, squadernati davanti ai nostri occhi nella Prima Parte della nostra Costituzione, risultato dell´elaborazione di quella Assemblea Costituente di cui Moro, allora giovanissimo ma già autorevole giurista, fu membro, allora si può e forse addirittura si deve, in circostanze estreme, sacrificargli la vita.
  5. Moro obietta che la realtà dello Stato è un´altra: al riparo della violenza legalizzata dell´apparato delle Stato, si svolgono intrighi, frodi, ladrocinii e ricatti di ogni tipo. Profondamente disgustosa è la realtà dello Stato. All´idealismo ingenuo dei costituenti democristiani, succede o si alterna nel pensiero di Moro il profondo disincanto di Agostino: lo Stato è la struttura di potere dei gangster che sono riusciti a eliminare i concorrenti. Del resto in quegli anni anche Enrico Berlinguer ebbe, come è noto (la sua posizione della “questione morale” è del 1981, la strage della scorta e assassinio di Moro del 1978), una simile rivelazione. Che accolse con orrore e profonda angoscia. Allora, per che cosa si muore quando si muore per lo Stato?
  6. Il partito. C´era in quegli anni, c´era stato dagli inizi della Repubblica, costruita come una partitocrazia, uno Stato nello Stato, il partito democristiano: la struttura portante dello Stato. Prima ancora che uomo di Stato, Moro fu un grande leader di partito, uno dei più eminenti democristiani. Nelle sue lettere dal covo delle BR, riversa sul partito e sui suoi uomini una insofferenza e un disprezzo, intellettuale e morale, inaudito per l´ intensità del risentimento. Come se nei decenni precedenti solo un dovere superiore, di cui solo lui avesse conosciuto l´origine, ma che era venuto meno dal momento del suo rapimento , lo avesse costretto a militarvi e assumervi posizioni dirigenti.
  7. Vi sono nella vita delle circostanze in cui si pongono delle alternative ineludibili e inevitabili: tra l´essere un eroe e un vile. Senza alcuna via di mezzo. Forse Moro disponeva veramente di una dottrina secondo la quale, in una società democratica almeno, ma forse anche più generalmente, non c´è bisogno di eroi e soprattutto non c´è bisogno che nessuno sacrifichi la vita. Dopo tutto, è puro Hobbes. Ma quando una società con una parvenza almeno di regime democratico è sotto attacco, questa tesi potrebbe reggere? Non solo. Anche nel migliore degli Stati avvengono sequestri di persone, ricatti mortali, tentativi di scambiare vite con vite. Uno può trovarsi coinvolto in una di queste situazioni senza averlo voluto, del tutto impreparato. Ma non negare che esistano.
  8. Si potrebbe sostenere che il cristianesimo è in se anti-eroico. Il cristianesimo ad esempio non spinge ne a mantenere ne’ a conquistare ex novo un principato. Ma, come Machiavelli osserva, altre virtù sono potenziate nel cristianesimo: la pietà, la compassione, l´accettazione della sofferenza…
  9. Potestà sostiene che Moro respingeva la prospettiva di essere lasciato ai suoi carnefici per la salvezza dello Stato proprio in quanto cristiano. E sembra anche condividere questa tesi. Anzi Moro vedeva nell´atteggiamento dei suoi compagni di partito che tendevano a respingere i suoi inviti a trattare con le Brigate Rosse per salvargli la vita, e che infine li respinsero, una manifestazione del loro cinismo e della degenerazione ormai estrema del partito e dello Stato. In ogni caso, una manifestazione di mancata intelligenza cristiana della situazione in cui si trovano. Scrive Potestà: “Le lettere suonano come la contestazione più ferma nei confronti … di un´ideologia della rassegnazione come del sacrificio”, ancora, ahime’, alquanto vago: quale sarebbe questa “ideologia”? Forse si può osare di essere più espliciti di Potestà. Si potrebbe dire di Andreotti, Zaccagnini, ecc. che stavano facendo lo stesso demoniaco ragionamento di Caifa: meglio che perisca uno piuttosto che tutto il popolo… Dunque per Moro, e forse anche per Potestà, il cristianesimo comporterebbe come componente decisiva del suo messaggio l´affermazione incondizionata dell´etica dell´intenzione. Ma in politica le alternative tragiche ci sono, non si può in nome del cristianesimo rifiutarsi di ammetterlo. Vi è un lato demoniaco della politica. Rifiutarsi di prenderne atto porta al ritiro non solo dalla politica, ma dalla vita sociale, alla ricerca di un impossibile solitario rifugio neutralizzante.
  10. Forse questo spiega perche’ Moro non discute delle conseguenze politiche dell´accettazione di una trattativa con le Brigate Rosse, in quel particolare momento storico. Come se la cosa non lo riguardasse. Di fronte alla forza, si cede, sempre e comunque, sperando che poi tutto passi. Questa si‘ è “ideologia della rassegnazione”, anche se non del sacrificio. E’, se vogliamo, l´atteggiamento della Repubblica italiana, condiviso da tutti i partiti politici, verso i rapimenti con richiesta di riscatto di cittadini italiani   da parte di gruppi banditeschi e terroristici vari. In tutto il mondo, sequestrare un italiano, e poi chiederne e ottenerne un riscatto, è diventato uno sport piacevole e redditizio. Ma, per fortuna, ancora non si pratica all´interno dei nostri confini.

(*) Economista, già docente all’Università di Pisa.

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