“Abbiamo straperso”. È il giudizio condivisibile di Matteo Renzi sulla vittoria del No al referendum, ma la condivisione finisce qui. Il 70% di votanti è una partecipazione d’ altri tempi: ha smentito la previsione che un’ alta affluenza avrebbe favorito il Sì e reso evidente che i cittadini votano quando pensano di contare nelle decisioni. Il No ha superato i 19 milioni di voti, un risultato che si può raggiungere solo sommando ragioni diverse. Vediamole: 1) Insoddisfazione di quanti hanno trovato il racconto ottimistico di Renzi stridente con la realtà; 2) Fastidio per le presenze oltre il limite dell’ ex premier in tv, radio, giornali; 3) Costi esagerati della campagna elettorale in contrasto col proclamato taglio dei costi della politica; 4) Critica di fondo al governo anche da settori della maggioranza; 5) Contrarietà di massa alle deformazioni della Costituzione.
Queste ultime motivazioni sono state sistematicamente ignorate dai media durante la campagna elettorale, salvo lodevoli eccezioni. Prima si è tentato di ridicolizzare gufi e professoroni, poi di ignorarli, col risultato di provocare la moltiplicazione di energie e iniziative: migliaia di iniziative a cui hanno partecipato centinaia di migliaia di persone che a loro volta sono diventate protagoniste della campagna referendaria. La rimozione operata durante quella campagna è ora in atto sui risultati. I cittadini che hanno animato i Comitati del No chiedono però di restare in campo, dopo il voto, come soggetto civico, autonomo, senza farsi partito. La Costituzione è tornata centrale.
La Costituzione oggi è viva e non si potrà con leggerezza proporne modifiche che neghino la centralità del Parlamento, come tentato da Berlusconi e poi da Renzi. Non solo: dal voto esce anche un’ indicazione di merito contro l’ accentramento del potere e forme di presidenzialismo più o meno esplicite, contro la possibilità che una minoranza imponga la sua volontà alla maggioranza degli elettori, rendendo diseguale il voto dei cittadini e che l’ elezione dei parlamentari ridiventi una nomina dall’ alto. Tante associazioni, a partire dall’ Anpi, hanno svolto un ruolo importante: ignorare questa mobilitazione oggi è funzionale all’ obiettivo di giustificare la sconfitta con l’ incapacità di farsi capire, ma è in realtà il rifiuto del risultato del referendum. Il successo del No non è la vittoria dell’ antipolitica, ma la sconfitta della prepotenza e della presunzione. Il movimento referendario, 750 comitati locali che avevano a riferimento il Comitato per il No e il Comitato gemello contro l’ Italicum, oggi deve rispondere a chi vuole restare in campo in piena autonomia.
La richiesta di proseguire dopo il 4 dicembre è corale. Per questo è stata convocata un’ assemblea nazionale il 21 gennaio. Dopo il referendum del 2006, la Costituzione fu di nuovo dimenticata, né venne superato il Porcellum: questi errori non debbono ripetersi. Capitalizzare la rinnovata attenzione alla Costituzione non significa escludere suoi miglioramenti, come sul nuovo articolo 81 che ci obbliga al pareggio di bilancio. Così è necessario rilanciare l’ attuazione dei diritti sanciti nella prima parte della Carta: è in coerenza con quei principi che si motiva l’ appoggio ai referendum promossi dalla Cgil a tutela dei diritti di chi lavora. Occorre poi arrivare all’ approvazione di una legge elettorale che seppellisca il Porcellum e il suo erede Italicum.
L’imminente sentenza della Corte sulle istanze di incostituzionalità dell’ Italicum – presentate dal centinaio di avvocati che fanno riferimento ai nostri Comitati – è un appuntamento rilevante, ma non assolve il Parlamento dalla responsabilità di approvare una nuova legge. Questo Parlamento, frutto di una legge incostituzionale, ha tentato di stravolgere la Costituzione e approvato l’ Italicum: oggi sarebbe un opportunismo inaccettabile la sua rinuncia ad approvare una nuova legge elettorale rispettosa del referendum, coerente per entrambe le Camere. Per questo non rinunciamo alla nostra iniziativa.
Avanzeremo una proposta sul sistema elettorale, che può diventare la base per un’ iniziativa di massa sulla base di tre punti: rispetto dei principi costituzionali, proporzionalità sostanziale, elezione di tutti i parlamentari. Anche nel 2011 i risultati dei referendum furono ignorati. Eppure la crisi di Berlusconi è iniziata dopo la sua sconfitta su acqua pubblica e nucleare, malgrado i 100 deputati di maggioranza. Purtroppo anche il centrosinistra non seppe raccogliere il messaggio dei referendum e nel 2013 ha ottenuto una non vittoria, i cui effetti nefasti durano ancora oggi. Grillo si presentò all’ incasso di questo patrimonio politico trascurato ed è cresciuto come sappiamo. Oggi questi errori non debbono ripetersi e la via più sicura è che chi ha vinto il referendum resti in campo come soggetto sociale autonomo, costruendo un movimento di massa, fondato su una partecipazione volontaria e consapevole.
(*) L’autore è vicepresidente del Comitato per il No.
Il Fatto Quotidiano , 06 Gennaio 2017
Condivido e, nel mio piccolo, appoggio la proposta di Alfiero Grandi di avanzare una proposta, equa e conforme, di legge elettorale.
Sul tema della centralità del Parlamento mi permetto di fare due osservazioni. Siamo sicuri che oggi – a costituzione vigente- il Parlamento sia davvero centrale? Non dovrebbe per essere centrale essere anche capace di decidere? Un parlamento che non è in grado di definire e approvare una legge elettorale conforme alla costituzione va sciolto. Servono quindi delle misure che rendano il parlamento responsabile. D’altra parte non sono centrali piuttosto i partiti, anzi i capo-parititi, per merito della normativa elettorale? La centralità del Parlamento presuppone il rispetto scrupoloso, garantito e attivamente protetto, del libero mandato dei deputati e senatori, a scapito del potere di fatto dei partiti. Da tre legislature i parlamentari sono nominati e che rischiano di rimanere (anche con l’Italicum corretto dalla Corte, se confermasse le motivazioni in parte discutibili della sentenza 1/2014) alle dipendenze di chi di fatto controlla le liste elettorali. Le liste come tali sono un rischio per il libero mandato; qualsiasi legge elettorale può ignorare, sfruttare o minimizzare questo rischio. Il rispetto del libero mandato, non la rappresentazione proporzionale ad oltranza o la governabilità forzata, dovrebbe essere, assieme alla libertà delle candidatura e alla libera scelta degli elettori, il principale criterio delle futura normativa.
Le mie riflessioni sul tema sono state pubblicate qua:
http://www.giurcost.org/studi/schmit2.pdf
http://www.lavoce.info/archives/44383/proporzionale-o-maggioritario-la-soluzione-e-un-compromesso/
Sulla sentenza 1/2014
http://www.forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/pdf/documenti_forum/giurisprudenza/2014/0011_nota_1_2014_schmit.pdf
E sull’Italicum:
http://www.giurcost.org/studi/schmit.pdf
Dissento tuttavia sulla questione della riforma del diritto del lavoro; non mi convince chi contesta la riforma già attuata come contraria in toto agli interessi dei lavoratori. Perché non accettare la necessità di maggiore flessibilità nei licenziamenti assieme a precisi obblighi 1. dell’azienda di compensare chi viene licenziato, e 2. dello stato di garantire un reddito minimo a chi avendone bisogno non riesce a reinserirsi ? Non appoggio il referendum contro la riforma dell’articolo 18; potrei sostenere solo delle misure contro l’abuso dei voucher.
IL MODO MIGLIORE DI RESTARE IN CAMPO E’ PRODURRE I CAMBIAMENTI CHE LA CITTADINANZA ATTENDE E DI CUI IL PAESE ABBISOGNA!
A.G. “La richiesta di proseguire dopo il 4 dicembre è corale.”
La richiesta è più che corale: essa viene da quel 95% di Cittadinanza che non ha più alcuna fiducia nell’offerta politica come ci raccontano le qualificate indagini demoscopiche del CENSIS e delle DEMOS di I. Diamanti http://www.demos.it/rapporto.php .
A.G. “Occorre poi arrivare all’ approvazione di una legge elettorale che seppellisca il Porcellum e il suo erede Italicum.”
E’ un “obbligo democratico” sottrarre all’arroganza della maggioranza pro tempore di turno, la scelta di una sempre nuova legge elettorale conforme al proprio tornaconto, per una scelta definitiva e neutrale. Ma la prima domanda a cui essa deve rispondere, è la capacità di costringere i partiti a scegliere candidati eccellenti e non famigli, servi o complici, la capacità di impedire alla mediocrità l’accesso al Parlamento, che deve essere riservato a portatori di storico rigore morale e culturale. E quella che più s’avvicina è l’uninominale di collegio che induce il confronto più tra le persone, che tra gli orientamenti socio-politici dei partiti. Se poi fosse a doppio turno, al primo salverebbe il pluralismo e al secondo la governabilità.
A.G. “…e la via più sicura è che chi ha vinto il referendum resti in campo come soggetto sociale autonomo, costruendo un movimento di massa, fondato su una partecipazione volontaria e consapevole.”
Il “movimento di massa” esiste già ed ha un alto potenziale di cambiamento! Non lasciamolo decadere, ma galvanizziamolo con iniziative capaci di entusiasmare. Splendido esempio sarebbe dare una spinta impositiva, oltre che alla nuova legge elettorale, a quelle 2 giacenti in Senato richiamate dal magistrato Gratteri lunedì 09/01 a Presa Diretta capaci di ridurre del 70% le prescrizioni dei processi penali e di 70 milioni l’anno le spese di accompagnamento dei detenuti ai vari processi in corso. http://www.raiplay.it/video/2016/12/Presa-diretta—Il-sacco-di-Roma-d24468ef-4599-42a6-908d-7a04d1981708.html
NON ESISTE UN MODO MIGLIORE!
Paolo Barbieri
p.s. Lei, moderatore degli interventi che è costretto a leggere le nostre grafomanie, almeno Lei esprima un parere in merito, si prenda la libertà (o il coraggio se vogliamo chiamarlo così) di mandarmi motivatamente a quel paese…
La lotta per la sola legge elettorale é riduttiva. Occorre una lotta piú ampia per l’attuazione della Costituzione, come sta proponendo Paolo Maddalena e la Confederazione per la Sovranitá Popolare.